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Lavoro di pubblica utilità: no al bis per guida in ebbrezza

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un automobilista condannato per essersi rifiutato di sottoporsi all’alcoltest dopo aver causato un incidente. La Corte ha confermato il diniego della sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, motivandolo con la gravità dei fatti, la personalità negativa del reo (già condannato per reati simili) e il divieto specifico, previsto dal Codice della Strada, di concedere tale beneficio più di una volta.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Lavoro di pubblica utilità non concesso al recidivo: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha ribadito la linea dura nei confronti di chi si mette alla guida in stato di alterazione e, soprattutto, di chi è recidivo. Il caso analizzato riguarda il diniego della sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità per un conducente che, dopo aver provocato un incidente, si era rifiutato di sottoporsi ai test per la verifica del tasso alcolemico. La decisione sottolinea come la concessione di benefici non sia un automatismo, ma una valutazione che tiene conto della gravità del fatto e della personalità del reo.

I fatti del processo

Un conducente di un autocarro veniva condannato in primo e secondo grado alla pena di sei mesi di arresto e 1500 euro di ammenda. L’accusa era quella prevista dall’art. 186, comma 7, del Codice della Strada: aver rifiutato di sottoporsi agli accertamenti sullo stato di ebbrezza dopo aver causato un sinistro stradale in circostanze che facevano presumere uno stato di alterazione.

L’imputato presentava ricorso in Cassazione, lamentando principalmente la mancata sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità. A suo dire, la Corte d’Appello non aveva motivato adeguatamente il diniego, basandosi su una valutazione errata della sua richiesta.

La questione del bis per il lavoro di pubblica utilità

Il punto centrale del ricorso verteva sulla possibilità di accedere nuovamente al beneficio del lavoro di pubblica utilità. La difesa sosteneva che le norme introdotte dalla Riforma Cartabia avrebbero dovuto essere interpretate in maniera più favorevole, non ostando a una nuova concessione del beneficio.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto completamente questa linea difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile per la sua genericità e manifesta infondatezza. Gli Ermellini hanno evidenziato come la Corte d’Appello avesse, al contrario, fornito una motivazione logica, coerente e giuridicamente ineccepibile.

Le motivazioni della Suprema Corte

La decisione della Corte di Cassazione si fonda su tre pilastri fondamentali che hanno giustificato il diniego del beneficio:

1. Le condizioni generali della vicenda: I giudici hanno sottolineato l’oggettiva gravità del comportamento dell’imputato, il quale non solo si trovava in uno stato di presunta alterazione, ma aveva anche provocato un incidente stradale, mettendo a rischio la sicurezza pubblica.
2. La valutazione negativa della personalità del reo: L’imputato non era un soggetto incensurato. Al contrario, risultava già condannato per vari reati, dimostrando una personalità non incline al rispetto delle regole.
3. Il divieto specifico di reiterazione del beneficio: Questo è l’elemento decisivo. La Corte ha evidenziato come l’imputato avesse già beneficiato in passato della sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità per una precedente condanna per guida in stato di ebbrezza. L’articolo 186, comma 9-bis, del Codice della Strada stabilisce chiaramente che tale beneficio non può essere concesso più di una volta. Pertanto, la richiesta dell’imputato si scontrava con un divieto normativo esplicito.

La Suprema Corte ha inoltre criticato l’atto di ricorso, definendolo di ‘non agevole intellegibilità’ a causa della sua formulazione confusa e della trascuratezza espositiva, elementi che hanno contribuito a renderlo inammissibile.

Conclusioni

La sentenza in esame offre un importante chiarimento: il lavoro di pubblica utilità, pur essendo uno strumento fondamentale per la rieducazione del condannato, non è un diritto acquisito né un beneficio concedibile a prescindere dal contesto. La valutazione del giudice deve tenere conto della gravità del reato, della pericolosità sociale del soggetto e, come in questo caso, di specifici divieti di legge. Per il reato di guida in stato di ebbrezza, la normativa è particolarmente severa: chi ha già usufruito di questa misura alternativa non può sperare di ottenerla una seconda volta. La decisione riafferma il principio secondo cui la concessione di benefici premiali è subordinata a una valutazione complessiva e rigorosa, volta a tutelare la collettività e a garantire che le sanzioni penali mantengano la loro efficacia deterrente.

È possibile ottenere il lavoro di pubblica utilità più di una volta per il reato di guida in stato di ebbrezza?
No. La sentenza chiarisce che, in base all’art. 186, comma 9-bis, del Codice della Strada, il beneficio della sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità non può essere concesso più di una volta per questa specifica tipologia di reato.

Perché la Corte ha negato la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità in questo caso?
La Corte ha negato il beneficio per tre ragioni principali: l’oggettiva gravità della vicenda (aver causato un incidente stradale), la valutazione negativa della personalità del reo (già condannato per altri reati) e, soprattutto, il fatto che l’imputato avesse già beneficiato in passato della stessa misura per una precedente condanna per guida in stato di ebbrezza.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. La sentenza impugnata diventa definitiva e, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende. Inoltre, l’inammissibilità impedisce il decorso della prescrizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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