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Lavoro di pubblica utilità: consenso e differenze

Un automobilista, condannato per guida in stato di ebbrezza, aveva richiesto la conversione della pena nel lavoro di pubblica utilità previsto dal Codice della Strada. Il Tribunale ha invece applicato la diversa e più gravosa sanzione sostitutiva generale. La Corte di Cassazione ha annullato questa decisione, chiarendo la distinzione tra le due tipologie di sanzione e sottolineando la necessità del consenso specifico dell’imputato per l’applicazione del lavoro di pubblica utilità sostitutivo.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Lavoro di pubblica utilità: il consenso dell’imputato è essenziale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24287/2025, è intervenuta su un tema cruciale in materia di sanzioni per guida in stato di ebbrezza: la distinzione tra il lavoro di pubblica utilità previsto come sanzione speciale dal Codice della Strada e quello introdotto dalla Riforma Cartabia come sanzione sostitutiva generale. La pronuncia sottolinea un principio fondamentale: il giudice non può applicare una sanzione diversa e più afflittiva di quella richiesta senza acquisire il necessario consenso dell’imputato. Vediamo nel dettaglio la vicenda.

I fatti del caso: la condanna per guida in stato di ebbrezza

Un automobilista veniva fermato alla guida della sua auto in orario notturno e sottoposto ad accertamento etilometrico, che rivelava un tasso alcolemico di quasi quattro volte superiore al limite legale (1,97 g/l). All’esito di un giudizio abbreviato, il Tribunale di Monza lo condannava alla pena di sei mesi di arresto ed euro 4.500 di ammenda. La pena detentiva veniva sostituita con 360 ore di lavori di pubblica utilità, con l’aggiunta della sanzione accessoria della sospensione della patente per due anni.

Durante il processo, la difesa aveva chiesto l’applicazione della pena sostituita con il lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, del Codice della Strada, una norma speciale che tratta questa sanzione come una pena principale. Tuttavia, il Tribunale aveva applicato la diversa figura del lavoro di pubblica utilità “sostitutivo”, disciplinata dall’art. 56-bis della legge 689/1981, introdotta dalla recente riforma. Contro questa decisione, l’imputato proponeva ricorso in Cassazione.

Il ricorso e le differenze nel lavoro di pubblica utilità

Il ricorso si fondava principalmente sulla violazione di legge commessa dal giudice di merito. La difesa sosteneva che il Tribunale avesse applicato una sanzione di natura e specie diversa da quella richiesta, senza acquisire il consenso specifico dell’imputato. La differenza non è puramente formale. Il lavoro di pubblica utilità previsto dal Codice della Strada (art. 186, c. 9-bis) è considerato una pena principale ab origine, con modalità esecutive specifiche e modellate sul processo davanti al giudice di pace. Al contrario, il lavoro di pubblica utilità previsto dalla legge 689/1981 è una sanzione meramente sostitutiva della pena detentiva e comporta ex lege prescrizioni più gravose, come il ritiro del passaporto, non previste dalla norma speciale.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno chiarito che le due forme di lavoro di pubblica utilità sono istituti giuridici distinti e non sovrapponibili. La norma generale stessa (art. 20-bis cod. pen.) fa “salvo quanto previsto da particolari disposizioni di legge”, tra cui rientra proprio l’ipotesi del Codice della Strada.

Il legislatore, denominando le nuove pene “sostitutive”, ha voluto distinguerle da istituti analoghi con diversa natura giuridica. Di conseguenza, il lavoro di pubblica utilità ex art. 186, comma 9-bis C.d.s. ha natura di pena principale, mentre quello ex art. 56-bis L. 689/1981 è una sanzione sostitutiva della pena detentiva.

Il punto cruciale, evidenziato dalla Corte, è la mancanza del consenso. L’imputato aveva prestato il proprio consenso solo per l’applicazione della sanzione speciale prevista dal Codice della Strada. Il giudice, applicando d’ufficio la sanzione sostitutiva generale, più afflittiva e non richiesta, ha violato il disposto dell’art. 545-bis cod.proc.pen., che impone di sentire le parti e acquisire, ove necessario, il consenso dell’imputato prima di disporre una sanzione sostitutiva. L’applicazione di una pena diversa da quella richiesta, in assenza dei necessari presupposti procedurali, rende la sentenza illegittima in quella parte.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al punto relativo alla sostituzione della pena. Gli atti sono stati rinviati al Tribunale di Monza per un nuovo giudizio sul punto. Questa decisione riafferma un principio di garanzia fondamentale: il giudice non ha il potere discrezionale di imporre una sanzione sostitutiva differente e più penalizzante rispetto a quella per cui l’imputato ha espresso il suo consenso. Viene così tracciata una linea netta tra le diverse tipologie di lavoro di pubblica utilità, valorizzando la volontà dell’imputato nel processo di determinazione della pena.

Esiste una differenza tra il lavoro di pubblica utilità previsto dal Codice della Strada e quello previsto come sanzione sostitutiva generale?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che sono due istituti giuridici distinti. Quello previsto dall’art. 186, comma 9-bis del Codice della Strada è una pena principale con una disciplina autonoma. Quello previsto dall’art. 56-bis della L. 689/1981 è una sanzione sostitutiva della pena detentiva, con presupposti e conseguenze differenti, come prescrizioni accessorie più gravose.

Il giudice può applicare una sanzione sostitutiva diversa da quella richiesta dall’imputato?
No. La sentenza chiarisce che il giudice non può applicare una pena sostitutiva diversa da quella richiesta se non acquisisce il necessario e specifico consenso da parte dell’imputato. Applicare una sanzione diversa, per di più più gravosa, costituisce una violazione di legge.

La richiesta di “messa alla prova” rigettata dal giudice può essere impugnata immediatamente?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata richiamata nella sentenza, l’ordinanza che rigetta la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova non è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione, ma può essere appellata solo unitamente alla sentenza di primo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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