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Lavoro di pubblica utilità: chi deve avviare l’iter?

Un uomo condannato a svolgere il lavoro di pubblica utilità si vede negare la rimessione in termini per non essersi attivato autonomamente. La Corte di Cassazione annulla la decisione, stabilendo che l’onere di avviare l’esecuzione della pena spetta esclusivamente all’autorità giudiziaria (Pubblico Ministero e UEPE) e non al condannato, la cui unica responsabilità è adempiere una volta convocato.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Lavoro di Pubblica Utilità: L’Onere di Avvio è del Giudice, non del Condannato

Quando una sentenza dispone la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, sorge una domanda cruciale: a chi spetta fare il primo passo? Molti credono che sia responsabilità del condannato attivarsi per iniziare il percorso, ma una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce definitivamente che l’onere di avviare la procedura esecutiva ricade interamente sull’autorità giudiziaria. Analizziamo insieme questo importante principio.

I Fatti del Caso

Un automobilista, condannato per essersi rifiutato di sottoporsi ad accertamenti sull’uso di stupefacenti, otteneva la sostituzione della pena (quattro mesi di arresto e 1.000 euro di ammenda) con il lavoro di pubblica utilità per una durata di due mesi e ventotto giorni. La sentenza, divenuta definitiva il 2 dicembre 2021, stabiliva che il lavoro dovesse iniziare entro un termine preciso e incaricava l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (U.E.P.E.) di verificarne lo svolgimento.

Il difensore dell’imputato, diligentemente, inviava una PEC all’U.E.P.E. il 14 dicembre 2021, chiedendo la convocazione del suo assistito per concordare le modalità del servizio. Tuttavia, a questa richiesta non seguiva alcuna convocazione o comunicazione. Trascorsi quasi due anni, nel dicembre 2023, il difensore presentava un’istanza al Tribunale per ottenere una rimessione in termini. Sorprendentemente, il Tribunale rigettava la richiesta, attribuendo la responsabilità dell’inerzia al condannato, il quale, a suo dire, avrebbe dovuto attivarsi per dare inizio ai lavori.

La Decisione della Corte sul Lavoro di pubblica utilità

La Corte di Cassazione, investita del ricorso, ha completamente ribaltato la decisione del Tribunale, annullando l’ordinanza impugnata. I giudici supremi hanno riaffermato un principio fondamentale della procedura penale: l’esecuzione delle pene è un compito che spetta allo Stato, non un onere a carico del privato cittadino condannato.

La Corte ha stabilito che è l’autorità giudiziaria – e non il condannato – ad avere il dovere di avviare il procedimento finalizzato allo svolgimento dell’attività lavorativa. Attribuire al condannato l’onere di dare inizio all’esecuzione della sentenza è un errore di diritto, poiché contrasta con le norme procedurali che affidano questo compito al Pubblico Ministero.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Cassazione si fonda su argomentazioni chiare e consolidate. In primo luogo, l’articolo 655 del codice di procedura penale assegna al Pubblico Ministero la competenza esclusiva per la cura dell’esecuzione di tutti i provvedimenti di condanna. Questo principio si estende anche alle sanzioni sostitutive come il lavoro di pubblica utilità.

In secondo luogo, il ruolo dell’U.E.P.E. è quello di controllare e verificare il corretto svolgimento del lavoro, non di attendere passivamente un’iniziativa del condannato. Per poter svolgere la sua funzione, l’U.E.P.E. deve essere messo in condizione di operare, ricevendo un impulso formale dall’autorità giudiziaria e provvedendo a convocare l’interessato per definire le modalità operative. È illogico pensare che l’U.E.P.E. possa controllare un’attività di cui non conosce neppure l’inizio.

La Corte ha sottolineato che l’inerzia del condannato non è giuridicamente rilevante, poiché su di lui non incombe alcun obbligo di attivarsi. La sua unica responsabilità è quella di rispondere alla convocazione e svolgere il lavoro secondo le modalità concordate. Di conseguenza, revocare la sanzione sostitutiva o rigettare un’istanza basandosi sulla presunta passività del condannato costituisce un provvedimento illegittimo.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre un chiarimento fondamentale per tutti coloro che si trovano ad affrontare un percorso di lavoro di pubblica utilità. Il condannato non è un soggetto attivo nella fase di avvio dell’esecuzione della pena, ma un soggetto passivo che attende l’impulso dell’autorità giudiziaria. L’inerzia degli uffici competenti non può mai tradursi in un pregiudizio per chi è stato condannato.

Le implicazioni pratiche sono significative: il difensore ha agito correttamente nel sollecitare l’U.E.P.E., ma anche in assenza di tale sollecito, la responsabilità di avviare la procedura sarebbe rimasta in capo al Pubblico Ministero. La decisione del Tribunale è stata quindi giustamente annullata, ripristinando il corretto equilibrio di doveri e responsabilità nel processo di esecuzione penale.

A chi spetta l’onere di avviare l’esecuzione della pena del lavoro di pubblica utilità?
Spetta esclusivamente all’autorità giudiziaria, e in particolare al Pubblico Ministero, dare impulso alla fase esecutiva. Il condannato non ha alcun onere di attivarsi autonomamente.

Cosa deve fare il condannato dopo una sentenza che dispone il lavoro di pubblica utilità?
Il condannato deve attendere la convocazione da parte dell’autorità competente, come l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (U.E.P.E.), per concordare le modalità di svolgimento del lavoro. Il suo unico dovere è adempiere a quanto prescritto una volta che il procedimento è stato avviato.

L’inerzia dell’autorità giudiziaria nel convocare il condannato può avere conseguenze negative per quest’ultimo?
No, la mancata attivazione da parte degli uffici giudiziari non può ricadere sul condannato. La pena sostitutiva non può essere revocata né si può considerare il condannato inadempiente a causa di un ritardo o di un’omissione da parte dell’autorità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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