Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25919 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25919 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOMENOMECOGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/01/2024 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23 gennaio 2024 /il Tribunale di Roma ha confermato l’ordinanza in data 28 novembre 2023 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva rigettato l’istanza proposta da NOME COGNOME – ristretta agli arresti domiciliari dal mese di ottobre del 2023 perché gravemente indiziata del reato di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 volta ad ottenere l’autorizzazione ad allontanarsi dall’abitazione per svolgere attività lavorativa.
L’indagata ha proposto tempestivo ricorso contro l’ordinanza del Tribunale per mezzo del proprio difensore / deducendo violazione di legge e vizi di motivazione. La difesa osserva che l’ordinanza impugnata ha respinto la richiesta di autorizzazione al lavoro perché ha ritenuto che lo stato di indigenza economica del nucleo familiare della COGNOME non fosse adeguatamente documentato ancorché la busta paga prodotta (relativa all’ultima retribuzione percepita prima dell’esecuzione della misura cautelare) contenesse «i dati necessari» per decidere o, quanto meno, per «formulare una richiesta di documentazione integrativa». Si duole che una tale decisione sia stata adottata in «totale assenza di istruttoria da parte del Pubblico Ministero». Osserva che, una volta accertata la situazione di difficoltà economica, questa valutazione deve prevalere su ogni altra e che, come anche la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto, la nozione di «assoluta indigenza», cui la legge subordina la possibilità di autorizzare chi si trovi agli arresti domiciliari ad uscirne per svolgere attiv lavorativa, non può essere interpretata con riferimento ai soli bisogni primari e alle sole spese necessarie al sostentamento.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte; chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. Ha sostenuto che, «trattandosi di diritti fondamentali e inalienabili della persona», il Giudice merito avrebbe dovuto «operare le necessarie verifiche sulla condizione personale, economica e sociale dell’indagata e del suo nucleo familiare, anche attraverso l’eventuale sollecitazione di attività GLYPH integrative delle parti processuali».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
L’art. 284, comma 3, cod. proc. pen. stabilisce che il giudice della cautela possa autorizzare chi è ristretto agli arresti domiciliarí e versa in una «situazion di assoluta indigenza» ad assentarsi dall’abitazione per svolgere attività lavorativa e la giurisprudenza è costante nel ritenere che «l’eccezionalità» di questa previsione imponga di interpretarla con «criteri di particolare rigore» (fra le tante: Sez. 2, n. 53646 del 22/09/2016, Condorelli, Rv. 268852; Sez. 2, n. 12618 del 12/02/2015, Rv. 262775).
L’autorizzazione può essere concessa se le condizioni reddituali dell’istante sono tali da non consentirgli di provvedere ai propri bisogni primari, ma l’assoluta indigenza che giustifica l’autorizzazione al lavoro non può essere limitata esclusivamente a questi casi. Si è chiarito, infatti, che tale condizion deve essere valutata con riferimento «ai bisogni primari dell’individuo e dei familiari a suo carico, ai quali può essere data risposta solo attraverso il lavoro» (Sez. 4, n. 10980 del 29/01/2007, COGNOME, Rv. 236194; Sez. 3, n. 24995 del 13/02/2018, COGNOME, Rv. 273205). Si è precisato, inoltre, che la nozione di bisogni primari «comprende anche – per l’evolversi delle condizioni sociali – le spese per l’educazione, quelle per la comunicazione o per il mantenimento in salute. (Nella fattispecie la Corte ha censurato l’interpretazione “pauperistica” data dal giudice di merito che aveva negato la sussistenza dell’assoluta indigenza atteso che l’imputato aveva di che nutrirsi e coprirsi)» (Sez. 4, n. 10980 del 29/01/2007, COGNOME, Rv. 236194).
Come emerge dalla lettura dell’ordinanza impugnata, nel caso di specie la richiesta di autorizzazione ad allontanarsi dall’abitazione per svolgere attività lavorativa è stata formulata senza fornire precisa indicazione del luogo e dell’orario di lavoro e deducendo uno stato di indigenza economica che non è stato adeguatamente documentato.
Il Tribunale riferisce, infatti:
che, per documentare la possibilità di svolgere attività lavorativa, la COGNOME ha allegato all’istanza «la copia di un manoscritto proveniente da tale COGNOME NOME, non identificato» il quale ha sottoscritto in qualità di «capo serv degli operai ausiliari in sede RAGIONE_SOCIALE», ma non ha indicato né il luogo né l’orario del lavoro che l’indagata avrebbe dovuto svolgere;
che alla richiesta è stata allegata una busta paga del mese di agosto 2023 (relativa all’ultima retribuzione percepita dalla COGNOME), inidonea, da sola, dar conto della situazione patrimoniale e finanziaria dell’indagata e del suo nucleo familiare, cui si aggiunge un documento attestante che il padre della COGNOME ha contratto un debito nei confronti dell’ente proprietario della RAGIONE_SOCIALE popolare Mi quale la famiglia vive, ma da questo documento non emerge quale
sia l’origine del debito.
4. La difesa della ricorrente richiama l’orientamento giurisprudenziale che attribuisce al giudice, investito di una richiesta di sostituzione di misu cautelare, anche in sede di appello, il potere di «disporre tutti gli accertament ritenuti necessari per verificare la concreta possibilità di esecuzione di un provvedimento coercitivo meno afflittivo». Questa giurisprudenza ritiene che il giudice di merito possa sciogliere eventuali dubbi sulla disponibilità e idoneità dell’immobile indicato ai fini della applicazione degli arresti domiciliari svolgen accertamenti sul punto (Sez. 2, n. 17795 del 11/04/2014, COGNOME, Rv. 259580). Nella medesima prospettiva si è affermato che, ogniqualvolta li ritiene necessari ai fini della decisione (e dunque anche in fase di appello), il giudice può svolgere accertamenti di carattere sanitario ai sensi dell’art. 299, comma 4 ter, cod. proc. pen., che espressamente attribuisce al giudice questo potere “in ogni stato e grado del procedimento” (Sez. 1, n. 5379 del 14/12/2007, dep.2008, Forestiero, Rv. 238944; Sez. 1, n. 2088 del 01/04/1996, Nuvoletta, Rv. 204939).
Questi principi possono astrattamente trovare applicazione anche in un caso, come quello in esame, in cui vi sia stata richiesta di allontanarsi dal luogo degli arresti domiciliari per svolgere attività lavorativa. Nel caso di specie, tuttav l’inidoneità della documentazione prodotta era già stata messa in luce dal Giudice per le indagini preliminari, sicché l’interessata era già stat indirettamente sollecitata ad integrarla e non vi ha provveduto, né con l’atto di appello né durante l’udienza. In assenza di una tale integrazione, non può chiedersi al giudice di appello di sopperire all’inerzia dell’appellante, tanto più un caso come quello in esame, nel quale la carenza della documentazione non investe solo lo stato di indigenza idoneo a legittimare l’autorizzazione al lavoro, ma – prima ancora – l’indicazione del luogo e dell’orario di lavoro. Ed invero, la conoscenza di questi dati è indispensabile per poter valutare se l’autorizzazione richiesta sia compatibile con le esigenze cautelari che hanno determinato l’applicazione degli arresti domiciliari e lo è a maggior ragione quando – come nel caso in esame – la misura sia stara disposta in presenza di gravi indizi della partecipazione ad una associazione finalizzata al narcotraffico ex art. 74 d.P.R. n. 309/90.
Come la giurisprudenza di legittimità ha più volte sottolineato, chi sia ristretto agli arresti domiciliari, non è titolare di un diritto a vedersi conc l’autorizzazione a recarsi al lavoro. Nell’autorizzare l’allontanamento dal domicilio per attività lavorative, infatti, il giudice non può prescindere dalla valutazio della compatibilità di tali attività con le esigenze cautelari poste alla base de
misura (Sez. 2, n. 1556 del 08/11/ 2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233143, in un caso in cui è stata negata l’autorizzazione, perché l’attività lavorativa si sarebbe svolta in un luogo che avrebbe consentito all’imputato di avere contatti con chiunque). Non sono consentite, inoltre, attività lavorative che snaturano il regime cautelare, svolgendosi con continui spostamenti difficilmente controllabili (Sez. 1, n. 103 del 01/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 235341; Sez. 3, Sentenza n. 3472 del 20/12/2012, dep. 2013, Barbullushi, Rv. 254428).
Per quanto esposto, il ricorso non merita accoglimento. Ne consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 22 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente