Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 19386 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19386 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Ouled Youssef (Marocco) il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 3445 della Corte di appello di Milano del 18 aprile 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore g AVV_NOTAIO NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio;
lette, altresì, per l’imputato, le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, del fo Milano, con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano ha, con sentenza pronunziata in data 18 aprile 2023, solo parzialmente riformato, così accogliendo per quanto ritenuto di ragione il gravame presentato dall’imputato, la sentenza cori la quale, i precedente 10 giugno 2010, il Tribunale di Pavia, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito ordinario, aveva dichiarato NOME responsabile del reato di cui all’art. 73 del dPR n. 309 del 1990, per avere lo stesso, concorso con altri, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, detenuto e poi ceduto a molteplici individui diversi quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, eroina ed hashish e lo aveva, pertanto, condannato, ritenuta la continuazione fra le varie condotte delittuose e concesse le attenuanti generiche, alla pena di anni 6 di reclusione ed euri 40.000,00 di multa.
Come detto in sede di gravame – la cui presentazione in data 30 aprile 2020 era stata consentita in quanto, con ordinanza del 4 marzo 2020 il Tribunale di Pavia, in qualità di giudice della esecuzione penale, dichiarata la non esecutività della sentenza di primo grado, aveva rimesso l’imputato nel termine per presentare appello e per formulare istanza di applicazione della diminuente del rito abbreviato – la sentenza emessa dal Tribunale di Pavia stata riformata dalla Corte di appello di Milano, la quale, riqualificati i fa ascritti all’imputato nel novero di quelli di lieve entità, ha rideterminato pena inflitta al prevenuto, avendo essa tenuto con* della diminuente connessa alla scelta del rito, cui il prevenuto era stato ammesso in sede di rimessione in termini per appellare, e della loro unificazione sotto il vincol della continuazione, nella misura di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euri 2.000,00 di multa, disponendo, altresì, la conseguente revoca delle pene accessorie.
Avverso la sentenza della Corte di appello ha interposto tempestivo ricorso per cassazione, peti’ tramite della sua difesa fiduciaria, il NOME affidando le proprie doglianze a tre motivi di impugnazione.
Un primo motivo riguarda, con riferimento alla violazione di legge, il tema, già sollevato di fronte al giudice del gravame, della ritenuta erroneità della dichiarazione di latitanza del prevenuto e la conseguente nullità della notificazione del decreto con il quale fu, a suo tempo, disposto il giudizio d primo grado a carico dell’odierno ricorrente.
Il secondo motivo ha ad oggetto il vizio della motivazione sulla base della quale la Corte di appello aveva rigettato le doglianze formulate in sede di gravame in ordine alla legittimità sia del provvedimento dichiarativo della latitanza dell’imputato sia delle conseguenti modalità di notificazione al medesimo della vocatio in jus di fronte al Tribunale di Pavia.
Il terzo motivo di ricorso attiene alla ritenuta violazione dell’art. 59 comma 3, cod. proc. pen. espressivo del principio del divieto della reformatío in pejus, in quanto con la sentenza della Corte di appello non sarebbe stata determinata la pena a suo carico tenendo conto dell’avvenuto riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche già a suo tempo disposto dal Tribunale di Pavia, la cui decisione non è stata impugnata, né sul punto, né per altr aspetti, dalla pubblica accusa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e lo stesso deve, pertanto, essere accolto, con i conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Fondato è, infatti, il primo motivo dì ricorso con il quale si censura la sentenza emessa dalla Corte distrettuale milanese in relazione al rigetto del motivo di gravame concernente la legittimità dell’avvenuta dichiarazione di latitanza del prevenuto e la conseguente illegittimità del procedimento notificatorio seguito in occasione della notificazione del decreto che dispone il giudizio di primo grado a carico dell’imputato.
Si osserva al riguardo che la Corte ambrosiana, compulsata con uno specifico motivo di appello, dopo avere affermato che “la doglianza avanzata in sede di incidente di esecuzione riguardava la mancata formazione del giudicato non tanto per l’erronea dichiarazione di latitanza non preceduta da adeguate ricerche, ma per la notifica dell’estratto contumaciale della sentenza in un luogo non idoneo ad essere ivi eseguita” ed avere, altresì, precisato, richiamando e facendo propria la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale con lo strumento dell’incidente di esecuzione non è consentito “far valere forme di patologia degli atti processuali (…) che siano occorse prima della formazione del giudicato” (il precedente specificamente richiamato dalla Corte di Milano è costituito da: Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 23 aprile 2021, n. 15498), ha, successivamente, aggiunto che la difesa dell’imputato non avrebbe potuto dedurre con l’atto di gravame “ia richiesta di verificare la sequenza notificatoría del procedimento di primo grado perché, la richiesta è irricevibile”, ulteriormente precisando che non si sarebbe trattat
della nullità del decreto di latitanza per inadeguatezza delle ricerche ch avrebbe riverberato le proprie conseguenze anche sulla notifica dell’estratto contumaciale della sentenza, essendo stato quest’ultimo non notificato ai sensi dell’art. 165 cod. proc. pen. al difensore del latitante, ma presso un recapito non correttamente ritenuto, come rilevato dal giudice della esecuzione penale, luogo di dimora dell’attuale ricorrente.
Ha, pertanto, concluso la Corte territoriale, segnalando che “la dedotta nullità della notifica (…) riguardava solo quella eseguita con la procedura del compiuta giacenza ed in sede di incidente di esecuzione altro non era stato dedotto” e che da tanto sarebbe derivato che non potevano più “essere fatte valere nullità endoprocessuali che avrebbero dovuto trovare la loro naturale risoluzione in sede di cognizione”.
Una tale motivazione appare, intanto, intimamente contraddittoria, in quanto, per un verso, è lo stesso giudice del gravame che rileva che di fronte al giudice della esecuzione possono essere fatti valere solamente questioni afferenti alla validità formale e sostanziale del titolo esecutivo, non potend essere fatte valere doglianze afferenti alla fase di cognizione de procedimento, salvo poi dichiarare irricevibile la doglianza formulata con l’atto di gravame (che, é il caso di segnalare, è stato presentato dalla difesa de prevenuto solamente dopo che in relazione ad esso la stessa difesa era stata rimessa in termini con provvedimento del giudice della esecuzione del 4 marzo 2020) sebbene questa, laddove si esamini il motivo di impugnazione presentato in grado di appello dalla difesa dell’odierno imputato, non aveva ad oggetto il tema, già esaminato in sede di incidente di esecuzione, riferito all regolarità della notificazione dell’estratto contumaciale della sentenza di condanna del NOME, ma quello, di ben altra portata, riguardante la legittimità del decreto con il quale il COGNOME era stato dichiarato latitante e conseguente adozione del procedimento notificatorio non tanto della sentenza emessa a carico del medesimo dal giudice di primo grado, quanto dello stesso decreto di latitanza adottato dal Gip del Tribunale di Pavia 7 aprile 2007 e delle notificazioni ad esso conseguenti, eseguite ai sensi dell’art. 165 cod proc. pen., cioè questione concernenti proprio la fase di cognizione del procedimento.
Infatti, si rileva, impregiudicata la fondatezza o meno della eccezione, che – essendo stata dedotto un vizio della notificazione di tutti gli a susseguenti alla, asseritamente illegittima, dichiarazione di latitanza de prevenuto – oggetto del gravame della difesa del NOME era appunto la
nullità (derivante immediatamente da tale illegittima dichiarazione di latitanza) delle notificazione eseguite sulla scorta di detta dichiarazione essendo evidente che la procedura di notificazione degli atti ai sensi dell’art 165 cod. proc. pen. in tanto è legittimamente adottata in quanto la dichiarazione di latitanza sia stata correttamente pronunziata.
Premesso quanto ora rilevato, si osserva che il vizio dedotto è tale, ove risultante, da determinare una nullità incidente sull’intervento dell’imputato nel giudizio (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 30 marzo 2023, n. 13458), suscettibile, non essendo emersi nella fattispecie elementi che possano fare ritenere che l’imputato abbia avuto conoscenza effettiva dell’atto essendo stata eseguita la notificazione ai sensi dell’art. 165 cod. proc. pen presso un difensore di ufficio e non presso un difensore fiduciario (si veda, infatti, il diverso ragionamento fatto da questa Corte nella ipotesi in cu invece, la notificazione era stata eseguita, pur in presenza di una irritua dichiarazione di latitanza, presso il difensore di fiducia dell’imputato, tanto ch quello, munito di procura speciale, aveva fatto, già in primo grado, anche istanza di celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 23 dicembre 2014, n. 53599; Corte di cassazione, Sezione I penale, 20 dicembre 2005, n. 46537), di essere dedotta anche in sede di formulazione dei motivi di gravame.
La doglianza formulata, appunto, in sede di gravame dalla difesa del ricorrente avrebbe giustificato una adeguata risposta da parte del giudice dell’appello, il quale – sebbene abbia ritenuto che la ricorrente difesa foss stata rimessa in termini anche per la presentazione della richiesta di applicazione della diminuente prevista dall’art. 442 cod. proc. pen. avendo dichiaratamente affermato la Corte di Milano di dovere applicare il principio di diritto sostenuto da questa Corte secondo il quale “l’imputato, il quale non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento, può chiedere al giudice dell’appello di essere ammesso al rito alternativo” (al riguardo si veda: Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 7 dicembre 2016, n. 52274), con ciò ammettendo in pratica, che il NOME non aveva avuto effettiva conoscenza del processo celebrato a suo carico in primo grado – ha semplicemente dichiarato “irricevibile” la richiesta del prevenuto, sostenendo che la naturale sedes materiae di essa sarebbe stata la “sede di cognizione”, senza avvedersi che il processo di appello è, appunto, una delle sedi ove la cognizione del giudicante è, salve le eventuali preclusioni verificatesi, la più ampia.
Neppure vale rilevare che – pur dichiarata la irricevibilità della lagnanza riguardante la legittimità della dichiarazione di latitanza dell’imputato pertanto, delle doglianze concernenti il conseguentemente prescelto regime della notificazioni – la Corte di Milano abbia affermato (“in via incidentale” come dalla stessa sostenuto) la regolarità della emissione del decreto di latitanza emessa nei confronti dell’attuale ricorrente, avendo la C:orte ritenuto siffatta regolarità solo in funzione della affermazione della esistenza di un verbale di vane ricerche eseguito nei luoghi ove il prevenuto poteva verosimilmente trovarsi, senza avere nulla precisato, sebbene il ricorrente avesse formulato al riguardo uno specifico motivo di doglianza, in ordine sia alla individuazione di tali luoghi ed sia alla ragionevolezza della scelta di quel ove effettivamente eseguire le ricerche dell’imputato poi risultate vane, di tal che il rilievo formulato dalla Corte di appello di Milano, data la sua assoluta genericità ed assertività, non appare assolutamente idoneo a dimostrare la adeguatezza delle ricerche operate alla soddisfazione del duplice requisito che deve sussistere ai fini della validità della dichiarazione di latitanza, c l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo all esecuzione della misura emessa nei suoi confronti (Corte di cassazione, Sezione V penale, 5 febbraio 2015, n. 5583).
Ritenuto; a questo punto, assorbito il secondo motivo di doglianza (va, peraltro, rilevato che, in realtà, lo stesso sarebbe stato inammissibile quanto con esso è stata censurata, sotto il profilo del vizio di motivazione, una asserita violazione di legge processuale, operazione questa che, più volta la Corte di cassazione ha rilevato essere impraticabile; fra le alt:re: Corte cassazione, Sezione III penale, 16 novembre 2012, n. 44901), si ritiene opportuno rilevare, sebbene anche questo a rigore dovrebbe intendersi assorbito, che anche con il successivo terzo motivo di impugnazione, attinente alla determinazione della pena, la difesa del ricorrente ha posto in evidenza un errore in cui è caduta la Corte di Milano.
Infatti, premesso che il motivo di doglianza ha ad oggetto la mancata applicazione, in sede di determinazione della pena in concreto, di una qualsivoglia diminuzione di pena in ragione delle attenuanti generiche, fatto che il ricorrente rileva essere idoneo ad integrare la violazione del principio d divieto di reformatio in pejus, si osserva che, effettivamente, il giudice di primo grado aveva ritenuto ricorrere gli elementi per riconoscere in favore del NOME le circostanze attenuanti generiche (applicate quanto ala fattispecie nella misura massima possibile); in sede di determinazione della pena la Corte
di appello di Milano, che ha operato la riqualificazione del reato contestato in violazione dell’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990 ed ha ritenuto altresì applicabile la diminuente per il rito abbreviato cui, come accennato, il ricorrente non aveva potuto accedere in primo grado in quanto non edotto della pendenza del processo a suo carico, ha semplicemente indicato la pena base in anni 1 e mesi 6 di reclusione ed euri 2.500,00 di multa, sulla stessa ha, quindi, operato l’aumento, sino ad anni 2 di reclusione ed euri 3.000,00 di multa, per effetto della continuazione interna, ed ha, infine, calcolato, nell misura fissa di un terzo, la diminuzione per la scelta del rito, nulla pertan disponendo in funzione delle, già riconosciute, attenuanti generiche.
Ritiene il Collegio che, sebbene non vi sia – in ragione della circostanza che, per effetto della intervenuta riqualificazione del fatto operata da part della Conte ambrosiana, si è determinato un sostanziale stravolgimento dei criteri di determinazione della pena – da parte della Corte di merito alcun obbligo, sanzionato ai sensi dell’art. 597, comma 3, cod. prOC. pen. espressivo della regola del divieto di reformatio in pejus, di applicare le circostanze attenuanti generiche né nella stessa misura né con la medesima incidenza proporzionale sulla pena base a suo tempo ritenuta adeguata dal giudice di primo grado, essendo i termini di tale adeguatezza parimenti rivoluzionati in funzione della autonoma e ex novo operata quantificazione della stessa pena base (non si dimentichi al riguardo che la funzione tradizionale delle circostanze attenuanti generiche è proprio quella di consentire, al di là de rigore applicativo delle circostanze tipizzate, la più adeguata quantificazione della pena in concreto alla effettiva gravità del fatto; per tutte: Corte cassazione, Sezione II penale, 10 febbraio 2021, 5247), tuttavia l’affermazione della loro sussistenza, laddove non vi sia stata impugnazione della parte pubblica, non può essere ritrattata e posta ne nulla in grado d appello, di tal che di esse il giudicante deve, sebbene nella misura che egli nella prudenza del suo apprezzamento discrezionale, riterrà più opportuna, necessariamente tenere conto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Una tale statuizione non deve, peraltro ritenersi in contrasto con quanto, in un’altra fattispecie ebbe a rilevare questa Corte, e cioè che non viola divieto di “reformatio in peius” il giudice di appello che, sul gravame del solo imputato, assolve questi dal reato ritenuto più grave nel giudizio di Prima cura e ridetermina la pena per i residui reati senza tuttavia riconoscere ed applicare le circostanze attenuanti generiche già concesse dal giudice di primo grado in relazione al fatto per il quale è intervenuto il proscioglimento (Corte di cassazione, Sezione V penale, 8 maggio 2015, n, 19222) posto che in
siffatta occasione le attenuanti generiche erano state ritenute in relazione a un reato che, nella sua ontologica realtà (comprensiva quindi anche degli elementi accidentali ed accessori) era stato escluso dalla Corte di appello, mentre nella presente occasione il giudice di primo grado, non smentito sul punto da quello del gravame, ha ritenuto che queste fossero da riconoscere al prevenuto in funzione di una caratteristica del fatto a lui contestato – cioè brevità dell’arco temporale nel quale le condotte delittuose contestate si erano manifestate – che costituisce un predicato in fatto sia della imputazione originariamente ascritta al prevenuto sia della diversa qualificazione che della stessa è stata data in sede di gravame.
Di tal che la descritta caratteristica del fatto, idonea a giustificare riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, rimasta immutata ed oramai definitivamente accertata, non poteva non essere considerata dal giudice del gravame, il quale avrebbe dovuto, di conseguenza, tenerne conto sebbene, come detto, nella misura da lui ritenuta, a questo punto, più congrua e non necessariamente in quella già tenuta presente dal giudice di primo grado – in sede di determinazione della pena in concreto.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano che, attenendosi ai principi affermati, provvederà nuovamente sul gravame proposto dal ricorrente.
PQM
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente