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Jammer reato: la Cassazione conferma la condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto condannato per il reato di utilizzo di un jammer. La sentenza conferma che l’installazione di un disturbatore di frequenze per impedire comunicazioni altrui costituisce un ‘jammer reato’ di pericolo, che si configura con la sola predisposizione del dispositivo, senza necessità di provare il danno effettivo. La testimonianza delle forze dell’ordine sull’interferenza radio è stata ritenuta prova sufficiente del funzionamento del dispositivo, rendendo superflua una perizia tecnica.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Jammer reato: la Cassazione chiarisce i confini dell’art. 617-bis c.p.

L’utilizzo di un jammer, o disturbatore di frequenze, è una condotta che può avere serie conseguenze penali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali che definiscono il cosiddetto jammer reato, chiarendo quando il possesso e l’uso di tali dispositivi integrano la fattispecie criminosa prevista dall’art. 617-bis del codice penale. Questo caso offre spunti importanti sulla natura del reato, sulle modalità di prova e sui criteri di valutazione della condotta dell’imputato.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dal controllo di un’autovettura, resosi necessario dopo la segnalazione di un rappresentante di gioielli, insospettito dal fatto di essere seguito. Durante l’inseguimento da parte delle forze dell’ordine, gli agenti notavano crescenti disturbi alle loro comunicazioni radio, che si intensificavano man mano che si avvicinavano al veicolo sospetto. Una volta fermata l’auto, all’interno del cassetto portaoggetti veniva rinvenuto un disturbatore di frequenza, comunemente noto come jammer, in funzione.

L’automobilista veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 617-bis c.p., per aver installato e utilizzato un’apparecchiatura atta a impedire comunicazioni. La difesa proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo due principali motivi: l’errata applicazione della legge penale e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

Le Argomentazioni della Difesa

Secondo la tesi difensiva, il reato non sussisteva perché l’intento non era quello di impedire comunicazioni tra altre persone (nello specifico, tra gli agenti di polizia), ma quello di evitare che terzi potessero ascoltare ciò che accadeva all’interno del proprio veicolo. Inoltre, si lamentava l’assenza di una perizia tecnica che accertasse l’effettiva capacità del dispositivo di disturbare le comunicazioni.

L’analisi del jammer reato da parte della Corte

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni della difesa. I giudici hanno chiarito diversi aspetti cruciali relativi al jammer reato.

Innanzitutto, hanno sottolineato che l’art. 617-bis c.p. sanziona chiunque installi apparecchiature al fine di impedire o intercettare comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche altrui. Il delitto, quindi, si configura quando l’azione è diretta a interferire con le comunicazioni tra persone diverse dall’agente. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto logica e corretta la conclusione dei giudici di merito, secondo cui il jammer era stato attivato proprio per ostacolare le comunicazioni tra la pattuglia e la centrale operativa della Questura.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su due pilastri fondamentali.

Il primo riguarda la natura del reato. L’art. 617-bis c.p. configura un reato di pericolo, il che significa che il delitto si perfeziona con la semplice installazione dell’apparecchiatura, a prescindere dal fatto che essa abbia effettivamente funzionato o impedito una comunicazione. La legge punisce la potenziale lesività della condotta. Tuttavia, nel caso in esame, vi era anche la prova concreta del funzionamento del dispositivo: la testimonianza diretta degli agenti, che avevano sperimentato un disturbo crescente e direttamente proporzionale alla vicinanza con l’auto dell’imputato. Questa circostanza, secondo la Corte, ha reso superflua una perizia tecnica, essendo la prova del funzionamento già acquisita in modo logico e inconfutabile.

Il secondo pilastro riguarda le attenuanti generiche. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito di non concederle. La richiesta si basava unicamente sul consenso dell’imputato all’acquisizione di atti, una scelta ritenuta una mera strategia difensiva e non un comportamento meritevole di un trattamento sanzionatorio più mite. Inoltre, la valutazione negativa è stata rafforzata dai non modesti precedenti penali dell’imputato e dal fatto che il reato fosse stato commesso mentre si trovava in regime di detenzione domiciliare per una precedente condanna.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: il possesso e l’utilizzo di un jammer per impedire comunicazioni altrui costituisce reato ai sensi dell’art. 617-bis c.p. La natura di reato di pericolo rende sufficiente la sola installazione del dispositivo con finalità illecita, senza che sia necessario dimostrare il danno effettivo. La prova del funzionamento, inoltre, può essere desunta anche da elementi logici e testimoniali, come l’interferenza subita dalle forze dell’ordine, senza la necessità di un accertamento tecnico specifico. La decisione sottolinea infine come la valutazione per la concessione delle attenuanti generiche debba basarsi su elementi positivi concreti e non su mere scelte processuali.

Quando si configura il reato per l’uso di un jammer secondo l’art. 617-bis c.p.?
Il reato si configura quando un soggetto installa un’apparecchiatura, come un jammer, con lo scopo specifico di intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni che intercorrono tra altre persone. La finalità deve essere quella di interferire con comunicazioni altrui.

È necessaria una perizia tecnica per dimostrare che un jammer funziona e ottenere una condanna?
No, secondo questa sentenza non è sempre necessaria. Se esistono prove concrete e logiche del funzionamento del dispositivo, come la testimonianza diretta di agenti di polizia che hanno subito interferenze radio crescenti avvicinandosi al veicolo con il jammer, queste possono essere considerate sufficienti a dimostrarne l’effettivo funzionamento.

Il solo possesso di un jammer è reato?
La sentenza chiarisce che il reato previsto dall’art. 617-bis c.p. è un ‘reato di pericolo’. Ciò significa che il delitto si perfeziona già con la ‘mera installazione’ degli apparecchi disturbatori, anche se non vengono attivati o non funzionano. La condotta punita è la predisposizione del dispositivo con lo scopo di impedire comunicazioni altrui.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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