Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 43140 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 43140 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Conzano il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/05/2024 del Tribunale di La Spezia, Sez. riesame udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, con le quali ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso letta la memoria scritta dell’AVV_NOTAIO, difensore del ricorrente, in replica alle conclusioni del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, con la quale si è insistito nell’annullamento dell’ordinanza impugnata
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’8 maggio 2024 il Tribunale di La Spezia, Sez. Riesame, ha rigettato l’appello ex art. 322-bis cod. proc. pen. proposto da NOME COGNOME, in qualità di legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, avverso l’ordinanza, emessa in data 11 aprile 2024, con la quale il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di La Spezia aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere, ai sensi dell’art. 321, comma 3, cod. proc. pen., la revoca del sequestro preventivo di merce in relazione ai reati di cui agli artt. 81 cpv, 48 e 470 cod. pen., 70 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, (capo A dell’imputazione provvisoria) e agli artt. 292, 293 e 295, comma 2, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, (capo B dell’imputazione provvisoria), perché importata, in violazione della normativa doganale, al fine di
evadere i diritti di confine dovuti, quantificati in un ammontare complessivo pari ad euro 5.363,90 di cui euro 8,44 di contributo RAGIONE_SOCIALE ed euro 5.355,46 a titolo di IVA.
Avverso l’ordinanza dell’8 maggio 2024 il difensore di NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, ha presentato ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 34, 292, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, 70 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con riferimento alla qualificazione dell’IVA all’importazione come diritto di confine e non come tributo interno e alla conseguente configurabilità, nella vicenda in esame, della fattispecie di contrabbando.
Osserva il difensore che in caso di mancato pagamento dell’IVA all’importazione non si configura il reato di contrabbando, in ossequio all’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità che, superando il precedente, vuole parificata VIVA all’importazione a quella interna, così inquadrandola come tributo interno (si indica Sez. 3, del 22/03/2023 n. 32111) sicchè la sottrazione di merci all’IVA all’importazione non configurerebbe un’ipotesi di contrabbando doganale, non venendo in rilievo un diritto di confine, in quanto estranea all’obbligazione doganale (si indicano una serie di pronunce della Cassazione civile, di recente anche Cass civ, Sez. tributaria, 23 giugno 2023 dep. 7 marzo 2024, n. 6153, oltre ad una serie di pronunce di questa Corte, tra cui Sez. 3, del 13 aprile 2017, n. 18501).
Si osserva, altresì, che le pronunce indicate dal Tribunale in sede di appello cautelare reale a sostegno della tesi minoritaria e risalente (tutte della Corte di cassazione civile e non penale), che qualificherebbe VIVA all’importazione come un diritto di confine, configurando così il reato di contrabbando in caso di omesso pagamento della stessa, affermano altro e al più da esse si può desumere che VIVA all’importazione viene assimilata ai diritti di confine, ma solo ed esclusivamente “quanto ai meccanismi applicativi”, non certo ai fini penali.
Si contesta la pronuncia del Tribunale laddove, a sostegno della propria tesi, richiama “il tenore letterale dell’art. 34 TULD” che, invece e diversamente da quanto affermato dai giudici della cautela, non ricomprenderebbe nel novero dei diritti di confine, oltre ai dazi, anche ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato, come si desume anche dalla nuova normativa di settore, posto che solo con la riforma segnata dalla legge delega 9 agosto 2023, n. 111, il legislatore ha manifestato espressamente la precisa ed esplicita volontà di inserire l’imposta sul valore aggiunto nel catalogo dei diritti di confine, modificando l’assetto normativo precedente.
Si sostiene quindi l’inapplicabilità della confisca, prevista dall’art. 301 TULD (e quindi del sequestro preventivo alla stessa finalizzato), posto che tale misura va applicata solo in caso di contrabbando, mentre, nel caso di specie, viene in rilievo l’illecito di omesso versamento dell’IVA all’importazione, in relazione al quale la società legalmente rappresentata dal ricorrente ha già provveduto a corrispondere sia il tributo dovuto che le relative sanzioni.
Né la merce sarebbe sequestrabile ai sensi dell’art. 240 cod. pen. in quanto non è corpo del reato di falso ideologico per induzione, che investe esclusivamente la bolletta doganale e non è neanche corpo del reato di evasione dell’IVA all’importazione, che coincide unicamente con il “quantum di imposta non versata all’erario” (si cita Sez. 3, del 2/10/1997, n. 3131, Rv 209634-01).
Caduta quindi l’ipotesi del contrabbando, la merce non è sequestrabile e conseguentemente il sequestro va annullato.
1.2 Con il secondo motivo di censura, la parte lamenta la violazione degli artt. 125, comma 3, 322-bis, 310 cod. proc. pen per omessa motivazione in ordine alla natura giuridica del contributo RAGIONE_SOCIALE.
Si rappresenta che in sede di appello si era evidenziato che tali contributi non potevano rientrare tra i diritti di confine, ai sensi dell’art. 34 TULD, in quanto trib interni, dal momento che non costituiscono dazi di importazione, né diritti di monopolio, né rientrano tra le sovrimposte di confine, né tra le imposte o sovrimposte di consumo a favore dello Stato: essi, secondo la prospettazione difensiva, rilevano esclusivamente sul versante amministrativo, e non possono integrare la fattispecie di contrabbando di cui agli artt. 292, 293 e 295 TUDL, ma nulla sul punto ha detto la Corte di appello.
Con memoria scritta il pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO generale ha chiesto dichiararsi inammissibile l’appello.
Con memoria scritta il difensore del ricorrente ha replicato alle conclusioni del AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO insistendo sulla circostanza che oggetto del devolutum fosse la possibilità di includere VIVA all’importazione e il contributo RAGIONE_SOCIALE nella nozione di “diritti di confine”, insistendo per il richiesto annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato per le ragioni di seguito esplicate.
1.1 La parte, nel primo motivo di ricorso, lamenta la violazione di legge con riferimento alla qualificazione dell’IVA all’importazione come diritto di confine e non come tributo interno e alla conseguente configurabilità, nella vicenda in esame, della fattispecie di contrabbando, contestato al capo B della incolpazione provvisoria.
Si deduce, in particolare, che il giudice della cautela reale ha inquadrato VIVA all’importazione nell’ambito dei diritti di confine, in adesione ad un orientamento giurisprudenziale ormai superato, posto che le pronunce, sia della Corte di cassazione civile che della Corte di cassazione penale, ritengono, in termini consolidati, che si tratti di un tributo interno, con riferimento al quale non configurabile il delitto di contrabbando e quindi la confisca della merce sdoganata.
1.2. La questione su cui questa Corte deve confrontarsi, oggetto del devolutum, riguarda dunque la natura dell’IVA all’importazione e, come si vedrà, anche quella del contributo RAGIONE_SOCIALE, oggetto del secondo motivo di gravame, ed in particolare la loro riconducibilità o no nei diritti di confin o nei tributi interni, questione che il giudice dell’ordinanza impugnata affronta unitariamente.
E’ bene chiarire in premessa che la questione relativa alla riconducibilità dell’IVA (e del contributo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) alla categoria dei “diritti di confine” assume nel caso in esame rilevanza, essendo contestato al ricorrente, in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, di aver indotto in errore, mediante l’allegazione di falsa documentazione commerciale, i funzionari doganali di Genova e La Spezia, che formavano così dichiarazioni doganali ideologicamente false in quanto indicanti base imponibile inferiore a quella reale, con conseguente evasione dei diritti doganali (IVA e contributo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) corrisposti in misura inferiore a quanto dovuto.
In particolare, secondo il costrutto accusatorio, l’evasione dei diritti doganali e quindi il delitto di contrabbando riguardava merce importata in via definitiva dalla società RAGIONE_SOCIALE in Italia, di origine e provenienza cinese, dichiarata in regime CFR (ossia, con il prezzo di vendita comprensivo anche delle spese di trasporto dal luogo di origine a quello di destinazione, nel caso di specie, del nolo marittimo) mentre, dagli accertamenti eseguiti sui bonifici pagati dalla società del ricorrente e su una fattura emessa dalla società cinese, la stessa avrebbe dovuto essere dichiarata con condizione di resa FOB (ossia, con spese di trasporto a carico dell’acquirente importatore, da aggiungersi all’importo della fattura, posto che secondo il costrutto accusatorio il ricorrente le aveva realmente sostenute).
In ragione del meccanismo fraudolento descritto, si contesta dunque alla parte di aver omesso, sulle spese di trasporto effettivamente sostenute, il pagamento dell’IVA (e del contributo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) che, se inquadrato nell’ambito dei diritti di confine, configura il delitto di contrabbando doganale, con conseguente sequestro e confisca della merce.
1.3 Ebbene sul tema si configurano, in ambito penale, due orientamenti giurisprudenziali, come affermato nei motivi di ricorsi e anche nell’ordinanza impugnata.
1.3.1 Sembra aderire, in un paio di incisi, all’opzione ermeneutica che inquadra VIVA all’importazione nell’ambito dei tributi interni, Sez. 3, n. 56264 del 18/12/2017, NOME, Rv 272330-01, non massimata sul punto, in un processo in cui veniva in rilievo la natura permanente o no del delitto di evasione all’IVA sulle importazioni (in tale decisione – ripresa in termini conformi da Sez. 3, Sentenza n. 19233 del 20/02/2019 Cc., Piccolo, Rv. 275792-01 – si è infatti ritenuto che il delitto avesse natura di reato permanente in quanto il tributo grava sulla merce abusivamente introdotta nello Stato fino a che non viene assolta l’obbligazione tributaria, sicchè il reato è configurabile in ogni vicenda successiva e coinvolge ogni susseguente atto di vendita o di trasporto della merce medesima).
Nell’indicata decisione questa Corte – in una fattispecie in cui la Corte di appello aveva ritenuto che VIVA all’importazione non rientrasse tra i diritti di confine e che l’omesso versamento non configurasse il reato di contrabbando ma solo il reato di cui all’art. 70 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per il quale, prev riqualificazione, era stata emessa sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione – ha così testualmente affermato:
«2.2. L’assunto della Corte territoriale non è condivisibile perché la natura di tributo interno dell’Iva all’importazione, che pure è stata affermata dalla recente giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 28251 del 28/05/2015, COGNOME, non mass.), non giustifica di per sé l’inquadramento del reato, ai fini della consumazione della fattispecie incriminatrice, all’interno della categoria dei reati istantanei ad effetti permanenti.
E’ dunque esatta l’affermazione del ricorrente secondo la quale, sul piano logico, l’Iva all’importazione, anche se ritenuta tributo interno sostitutivo di u diritto di confine, è caratterizzata dalla medesima finalità del dazio doganale: impedire che, mediante l’acquisto all’estero e l’importazione nel territorio dell’Unione, gli interessi economici e fiscali dello Stato, o meglio dell’Unione Europea, vengano pregiudicati.»
Più netta nell’affermare la natura di tributo interno, Sez. 3, n. 18501 del 09/02/2017, COGNOME, non nnassimata, laddove ha affermato: «Come da tempo univocamente affermato da questa Corte, l’IVA all’importazione non può farsi rientrare, come sembra ritenere il Tribunale, tra i diritti di confine. La risalen interpretazione giurisprudenziale che riteneva che nella contestazione del reato di cui agli art.292, 293 e 295 DPR 43/1973 ben potesse ricomprendersi all’importazione, ritenuta “uno dei diritti doganali di confine, avendo natura di imposta di consumo a favore dello Stato, la cui imposizione e riscossione spetta esclusivamente alla dogana in occasione della relativa operazione di imputazione” (Sez. 3 n.1298 dell’8.7.1992), è stata da tempo superata perché in contrasto con
lo stesso dato normativo che rimanda alle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine soltanto “quoad poenam”, prevedendo l’art.70 DPR 26.10.1972 che si applichino, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine. E’ stato, infatti, sulla scia decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea risalente al 25.2.1988, reiteratamente affermato da questa Corte, per lo più in riferimento all’Accordo tra la Confederazione Elvetica e la Comunità Europea la cui disposta soppressione dei dazi doganali e la conseguente inconfigurabilità del reato di contrabbando è stata reputata non potesse estendersi all’IVA sull’importazione, dovuta all’atto di ingresso delle merci nello Stato, che l’imposta sul valore aggiunto ha natura di tributo interno, trattandosi d’imposta il cui presupposto economico e finanziario è del tutto diverso da quello dei dazi doganali e non costituisce perciò duplicazione di questi, pur essendo per motivi di opportunità e di politica fiscale ad essi accomunata nel sistema di riscossione e nel regime sanzionatorio (Sez. 3, n. 2 22555 del 30/04/2002 – dep. 10/06/2002, COGNOME G, Rv. 22188401, Sez. 3, n. 34256 del 12/07/2012 – dep. 07/09/2012, NOME, Rv. 253661; Sez. 3, Sentenza n. 16860 del 17/03/2010 – dep. 04/05/2010, PG in proc. Sirtori, Rv. 246990). Il fatto che l’IVA sull’importazione costituisca una componente del tributo dovuto allo Stato per effetto dell’importazione delle merci che vi fanno ingresso, così come afferma l’ordinanza impugnata, non autorizza a desumere, come fa invece il tribunale capitolino, l’assimilabilità ai dazí, trattandosi di un tributo interno e già un diritto di confine, come conferma la già citata disposizione di cui all’art.70 DPR 633/1972. Non potendo pertanto il relativo importo essere considerato ai fini dell’ammontare dei diritti di confine nella specie dovuti, sul cui importo va parametrata la configurabilità della contestata aggravante, applicabile stante il disposto dell’art.295, 3 0 comma T.U.L.D., allorquando l’ammontare di tali diritti superi i 49.993 euro, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Roma, che dovrà riconsiderare alla luce dei diritti di confine in concreto dovuti, senza comprendere in essi l’importo dell’IVA, il fumus commissi delicti, in tanto ravvisabile in quanto venga superata la soglia indicata, al di sotto della quale il reato è stato con stato depenalizzato dal d. Igs. 8/2016». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In conclusione, secondo l’orientamento in esame, VIVA all’importazione è estranea all’obbligazione doganale, pur condividendo con i dazi la caratteristica di trarre origine dall’importazione di beni nell’Unione Europea e dalla loro introduzione nel circuito economico degli Stati membri, e non si configura, quindi, come diritto di confine, avendo piuttosto natura di tributo interno e non di dazio doganale, sicchè, in caso di sottrazione di merci all’IVA all’importazione, non sono applicabili le disposizioni di cui all’art. 292 del d.P.R. n. 43 del 1973 ma solo l’ipotesi criminosa di cui all’art. 70 D.P.R. 633/1972, posto che il rinvio ivi previs
alle leggi doganali opera solo con riferimento al trattamento sanzionatorio e non al novero dei soggetti sanzionabili.
Sembra porsi in questa stessa opzione ermeneutica, più di recente, anche Sez. 3, n. 28502 del 08/03/2024, COGNOME, non massimata sul punto, laddove afferma: «Come noto, l’IVA all’importazione non è un diritto di confine ed è estranea all’obbligazione doganale, pur condividendo con i dazi la caratteristica di trarre origine dall’importazione di beni nell’Unione Europea e dalla loro conseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri (ex multis, Cass. civ., Sez. 5, n. 5962 del 28/02/2019, Rv. 653033; Cass. civ., Sez. 5, n. 7951 del 21/03/2019, Rv. 653332; Cass. civ., Sez. 5, n. 8473 del 9/01/2018).
1.3.2 L’opposto orientamento ritiene che l’IVA all’importazione, pur essendo estranea all’obbligazione doganale, rientra tra i tributi che vanno corrisposti in occasione delle operazioni doganali e, pertanto, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 70 d.P.R. n. 633 del 1972, è soggetta alle disposizioni delle leggi doganali dettate per diritti di confine, nei quali essa è inclusa.
Tale decisione, tuttavia, precisa che, in ragione del richiamo contenuto nell’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972, VIVA all’importazione e i diritti di confin (che sono di natura doganale) presentano, quanto a meccanismi applicativi, una disciplina comune al punto che l’IVA all’importazione condivide con i dazi la caratteristica di trarre origine dal fatto dell’importazione nell’Unione e dell susseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri (si cita CGUE 11 luglio 2013, in causa C-272/12, NOME COGNOME SA, punto 41). Poiché, dunque, il fatto generatore e l’esigibilità dell’IVA all’importazione sono collegati a quelli d dazi, ne consegue, secondo la decisione in esame, che la prima non possa che seguire le procedure che caratterizzano i diritti di confine. In ragione di queste connotazioni, la Corte giunge ad affermare, condividendo con ciò una conclusione cui perviene l’opposta opzione ermeneutica che «l’IVA all’importazione, pur essendo estranea all’obbligazione doganale, deve farsi rientrare nei tributi che vanno corrisposti in occasione delle operazioni doganali e, pertanto, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 70 d.P.R. n. 633 del 1972, deve ritenersi soggetta alle disposizioni procedurali dettate per i diritti di confine (Cass. civ., Sez. 5, n. 2165 del 29/07/2021, Rv. 661951-01)». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Diversamente da quanto affermato nel ricorso, si sono espresse in tal senso numerose decisioni, tra cui già Sez. 5 civ., n. 21659 del 29/07/2021, Rv. 66195101; Sez. 5 civ., n. 20468 del 06/09/2013, Rv. 628114-01, ma, soprattutto, in ambito penale, Sez. 5, n. 7750 del 09/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 27245601; Sez. 3, n. 24525 del 27/02/2013, COGNOME, Rv. 256422-01; Sez. 3, n. 5870 del 27/01/2011-COGNOME, Rv. 249538-01, Sez. 3, n. 13102 del 21/01/2003, COGNOME,
Rv. 224238-01, in fattispecie nelle quali, l’omesso pagamento dell’IVA all’importazione si è ritenuto che integrasse, appunto, il delitto di contrabbando.
1.4. Ritiene questa Corte di condividere l’orientamento da ultimo indicato, cui più di recente ha aderito anche Sez. 3, n. 4978 del 13/01/2022, COGNOME, Rv. 282921-01, espressamente massimata sul punto, e successivamente richiamata, in adesione, dalle recentissime Sez. 1, n. 24784 del 12/03/2024, Cortese; Sez. 3, n. 22297 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286553-01, massimata su altro; Sez. 3, n. 44467 del 03/11/2022, COGNOME, Rv. 283775-01, massimata su altro; Sez. 3, n. 4459 del 05/10/2022, COGNOME.
Va in premessa chiarito che, ai fini dell’inquadramento – se nell’ambito dei diritti di confini o nell’ambito dei tributi interni – dell’IVA importazione vengono rilievo gli artt. 34 e, per quanto di interesse, 36, commi 1 e 2 TULD che, nella formulazione in vigore al momento dei fatti, antecedente al nuovo d.lgs. 26 settembre 2014, n. 141, rispettivamente prevedevano che «Si considerano “diritti doganali” tutti quei diritti che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali. Fra i diritti doganali costituiscono “diritti confine”: i dazi di importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le alt imposizioni all’importazione o all’esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione ed inoltre, per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato.» (art. 34 TULD); «Per le merci soggette a diritti di confine il presupposto dell’obbligazione tributaria è costituit relativamente alle merci estere, dalla loro destinazione al consumo entro il territorio doganale e, relativamente alle merci nazionali e nazionalizzate, dalla loro destinazione al consumo fuori del territorio stesso. Si intendono destinate al consumo entro il territorio doganale le merci estere dichiarate per l’importazione definitiva e si intendono destinate al consumo fuori del predetto territorio le merci nazionali e nazionalizzate dichiarate per l’esportazione definitiva; l’obbligazione sorge alla data apposta sulla dichiarazione, in presenza dell’operatore, dal funzionario incaricato dell’accettazione.» (art 36, commi 1 e 2, TULD). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’indirizzo interpretativo cui questo collegio aderisce fa leva, in particolare, sull’art. 34 TULD e configura VIVA all’importazione come uno dei diritti di confine trattandosi di imposta di consumo a favore dello Stato. In base a questo orientamento giurisprudenziale la sottrazione all’IVA all’importazione equivale alla sottrazione ad un diritto doganale di confine e configura il reato contrabbando. Ulteriore riscontro normativo si trae dall’art. 70 d.P.R. n. 633 del 1970, in base al quale le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine si applica “per quanto concerne le controversie e le sanzioni” anche alle violazioni dell’IVA all’importazione.
A questo orientamento ha aderito, come già anticipato, Sez. 3, n. 4978 del 13/01/2022, COGNOME, Rv. 282921-01, così massimata: «In tema di contrabbando doganale, la nozione di “diritti di confine” di cui all’art. 34 del d.P.R. 23 gennai 1973, n. 43, la cui evasione integra il delitto di cui all’art. 292 del citato d.P. comprende anche l’I.V.A. all’importazione».
La decisione ripercorre la normativa pertinente facendo riferimento, in particolare al regolamento UE n.952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, 9 ottobre 2013, che ha istituito il Codice doganale dell’Unione (CDU); al Regolamento delegato UE 2015/2446, che ha integrato il CDU; al d.P.R. n. 43 del 1973 (c.d. TULD); alla direttiva 2006/112 CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’imposta sul valore nonché al d.P.R. n. 633 del 1972, c.d. “decreto IVA”, che istituisce e disciplina VIVA in Italia.
Si premette che ai sensi della normativa CDU l’importazione e l’esportazione di merci nel e dal territorio doganale unionale è subordinato al pagamento della c.d. “obbligazione doganale” consistente nell’obbligo di una persona di corrispondere l’importo del dazio all’importazione o all’esportazione applicabile a una determinata merce in virtù della normativa doganale in vigore (art. 5, n.18, CDU). Si chiarisce che l’obbligazione doganale all’importazione sorge quando merci “extra UE” siano vincolate a uno dei regimi doganali di cui all’art. 77 CDU: il regime dell’importazione definitiva ovvero il regime della c.d. importazione provvisoria. La destinazione prescelta per la merce che si desidera importare deve essere esplicitata nella “dichiarazione in dogana”, consistente nell’atto con il quale una persona, al momento dell’importazione, manifesta alle autorità doganali, nelle forme e modalità prescritte, la volontà di vincolare le merci a un determinato regime doganale, con l’indicazione, se del caso, dell’eventuale specifica procedura da applicare (art. 5, n.12 CDU); l’obbligazione doganale sorge al momento dell’accettazione di tale dichiarazione da parte delle autorità competenti.
Soffermandosi sull’importazione definitiva – che è quella che rileva nel caso di specie, in quanto il regime prescelto per la merce proveniente dalla Cina, e dunque di un bene extra UE, è stato appunto quello dell’importazione definitiva essa, come chiarito nella Sentenza COGNOME si concretizza in due distinti “passaggi”: l’immissione del bene in libera pratica e l’immissione dello stesso bene al consumo. Si afferma sul punto: «Orbene, ai sensi dell’art. 201 CDU, l’immissione della merce in libera pratica consegue al pagamento dei dazi doganali dovuti all’importazione e tale adempimento consente alla merce importata di acquisire la posizione doganale di merce unionale.
Affinché si perfezioni l’importazione definitiva della merce, tuttavia, occorre che la stessa sia immessa al consumo, cioè che sia immessa nel circuito economico
del Paese membro di importazione, assolvendo al pagamento della c.d. Iva all’importazione.
Ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, lett. d) della direttiva 2006/112, infat l’importazione di beni costituisce un’operazione soggetta all’IVA e, ai sensi dell’articolo 30, primo comma, della stessa direttiva, per “importazione di beni” si intende l’ingresso nella Comunità di un bene che non è in libera pratica ai sensi dell’art. 24CE.
La giurisprudenza della CGUE ha chiarito il significato da attribuire a tali norme specificando che l’IVA, essendo per sua natura un’imposta sul consumo, si applica ai beni e ai servizi che entrano nel circuito economico dell’Unione e che possono essere oggetto di consumo (GCUE sent. 18 maggio 2017, NOME Dzelzcels, C154/16, EU:C:2017:392, punto 69 e giurisprudenza ivi citata); la ratio impositiva è quella di «porre i prodotti importati nella stessa situazione dei prodotti nazionali analoghi per quanto riguarda gli oneri fiscali gravanti sulle due categorie di merci» (cfr. CGUE, 25 febbraio 1988, NOME COGNOME).
La natura dell’I.v.a. all’importazione non ne consente, dunque, la totale assimilazione ai dazi, con cui tuttavia l’imposta condivide il presupposto impositivo, individuato nel fatto dell’importazione nell’Unione e della susseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri (cfr. CGUE, 11 luglio 2013, NOME COGNOME, C-273/12, EU:C:2013:466, punto 41).
Ai sensi del D.P.R. n.633/1972, in Italia assumono rilievo ai fini IVA le importazioni da chiunque effettuate (art.1), dovendosi considerare tali – tra le altre specificatamente indicate – sia le operazioni di immissione in libera pratica che le operazioni di ammissione temporanea aventi per oggetto beni, destinati ad essere riesportati tal quali, che, in ottemperanza alle disposizioni della Comunità economica europea, non fruiscano della esenzione dai dazi di importazione; ciò vale purché dette operazioni abbiano ad oggetto beni introdotti nel territorio dello Stato che siano originari da Paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità e che non siano stati già immessi in libera pratica in altro Paese membro della Comunità medesima (art. 67, comma 1).
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito il significato di tali norm affermando che, nell’ambito del generale divieto di doppia imposizione che discende dal Trattato costitutivo delle Comunità, l’assenza di imposizione all’ingresso in Italia sussiste solo qualora risulti provato che i beni importati sian già stati immessi al consumo in altro Paese membro dell’Unione europea con conseguente assolvimento del debito IVA (in tal senso, Sez. 4, n. 25765 del 9/06/2021 – dep. 07/07/2021, Tarquini, Rv. 281494; Sez. 3, n. 11976 del 09/01/2014 – dep. 13/03/2014, COGNOME, Rv. 258731; Sez. 1, n.4274 del 23/06/1997, ry.208418; Sez. 3, n.923 del 18/12/1990, Rv. 186313).
Sono altresì rilevanti ai fini IVA le operazioni di reimportazione a scarico di esportazione temporanea fuori dalla Comunità economica europea e quelle di reintroduzione di beni precedentemente esportati fuori dalla Comunità medesima. (art. 67, comma 2).»
Tanto premesso, la Sentenza COGNOME nell’analizzare il caso in cui la merce sia destinata al consumo in un Paese membro diverso da quello di importazione (ipotesi, questa, in cui l’obbligo di assolvere al pagamento dell’IVA sorgerà solo nel Paese di destinazione finale), richiama CGUE, 10 luglio 2019 – Commissione europea/ RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, Causa C-26/18 sottolineando che tale pronuncia – che assume eguale rilievo anche nel caso di specie in cui il nostro è il Paese di destinazione finale della merce «è da considerarsi particolarmente rilevante in quanto, tramite essa, la CGUE ha in sostanza sottolineato che l’obbligo al pagamento dell’IVA all’importazione sorge esclusivamente nel Paese membro di destinazione finale del bene importato, ossia nel Paese membro nel quale il bene è destinato ad essere immesso al consumo. La Corte è giunta a tale conclusione richiamando, in particolare, la propria giurisprudenza secondo cui l’esigibilità dell’IVA può aggiungersi all’obbligazione doganale qualora si possa ritenere, sulla base della condotta da cui è sorta l’obbligazione, che le merci in questione siano entrate nel circuito economico dell’Unione e possano quindi essere state oggetto di consumo, configurandosi pertanto l’assoggettamento all’IVA (sentenza del 2 giugno 2016, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C-226/14 e C-228/14, EU:C:2016:405,punto 65, nonché del 10 giugno 2017, RAGIONE_SOCIALE, C571/15, EU:C:2017:417, punto 54)».
Ebbene, nel dare conto dell’opposto orientamento (si citano, Sez.5 civ., n. 7951 del 21/03/2019, Rv. 653332 – 01; Sez. 5 civ., n. 5962 del 28/02/2019, Rv. 653033 – 01; Sez. 5 civ., n. 8473 del 06/04/2018, Rv. 647691 – 02; Sez. 3, n. 13040 del 17/01/2014 – 20/03/2014, Emendatori, non massimata; Sez. 3, n. 34256 del 12/07/2012, NOME, Rv.253661), la sentenza COGNOME aderisce all’orientamento, ritenuto condivisibile da questo collegio, secondo cui l’IVA all’importazione, pur essendo estranea all’obbligazione doganale, rientra tra i tributi che vanno corrisposti in occasione delle operazioni doganali e, pertanto, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 70 d.P.R. n. 633 del 1972, è soggetta alle disposizioni delle leggi doganali dettate per diritti di confine (si indicano, tra altre già segnalate, Sez. 5 civ., n. 21659 del 29/07/2021, Rv. 661951 – 01; Sez. 5 civ., n. 20468 del 06/09/2013, Rv. 628114 – 01).
Afferma in proposito la sentenza COGNOME; « il Collegio ritiene di dover dare continuità all’orientamento giurisprudenziale che qualifica l’IVA all’importazione quale diritto di confine ai sensi dell’art. 34 T.U.L.D., la cui evasione integra il rea
di contrabbando ex art. 292 T.U.L.D., e ciò in quanto detta soluzione interpretativa si presenta più aderente alla lettera dell’art. 34 T.U.L.D. che, come visto, relativamente alle merci in importazione, ricom prende tra i diritti di confine non solo i dazi ma anche “ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato”. Del resto tale interpretazione non risulta entrare in conflitto con sentenza CGUE, 25 febbraio 1988, COGNOME, C-299/86, posto che, con detta pronuncia, la Corte di Lussemburgo, lungi dall’assimilare l’Iva all’importazione all’Iva interna, ha piuttosto riconosciuto le differenze intercorrenti tra le du tipologie di imposte. Si legge infatti testualmente in sentenza: «Occorre constatare a questo proposito che le due categorie di infrazioni di cui trattasi si distinguono per diverse circostanze che attengono tanto agli elementi costitutivi dell’infrazione quanto alla difficoltà maggiore o minore di scoprirla. Infatti, l’IVA all’importazione è riscossa all’atto del semplice ingresso fisico del bene nel territorio dello Stato membro interessato, piuttosto che in occasione di uno scambio. Dette differenze implicano che gli Stati membri non sono obbligati ad istituire un regime identico per le due categorie di infrazioni» (par. 22). Così riconosciute le differenze intercorrenti tra l’IVA all’importazione e l’IVA interna, la CGUE ha affermato che dette diversità non possono tuttavia giustificare un divario manifestamente sproporzionato nella severità delle sanzioni comminate per le due categorie di in frazioni (par. 23)».
1.5 Ebbene, a queste considerazioni, tutte condivisibili, si può aggiungere una ulteriore riflessione che trae spunto da quanto affermato dalla difesa del ricorrente nel proposto riesame.
Nel concordare sulla lettura che l’orientamento in esame fornisce degli artt. 34 e 36 TULD, nella formulazione antecedente all’ultima riforma fiscale, applicabile al caso in esame, va considerato, da un lato, che quest’ultima norma individua(va) nella destinazione al consumo il presupposto in presenza del quale sorge l’obbligazione tributaria per le merci soggette ai diritti di confine, il cui omess pagamento integra appunto, ai sensi dell’art. 292 T.U.L.D., il reato di contrabbando; dall’altro, che la recente modifica dell’art. 34 TULD realizzata dalla nuova normativa di settore, non può ritenersi indicativa della esclusione, fino a quel momento, dell’IVA all’importazione dal novero dei diritti di confine, come sostiene la difesa, potendo anzi essere indicativa dell’esatto contrario, ossia dell’intenzione del legislatore di chiarire ciò che era stato oggetto di contrastanti orientamenti, ossia che VIVA all’importazione rientra nell’ambito dei diritti di confine.
La circostanza che solo con la riforma segnata dalla legge delega 9 agosto 2023, n. 111, il legislatore abbia manifestato espressamente la precisa ed esplicita volontà di inserire l’imposta sul valore aggiunto nel catalogo dei diritti di confin
(oggi espressamente previsto dall’art. 27, comma 2, d.lgs. 26 settembre 2024, n. 141, con il quale è stata esercitata la delega in materia), modificando l’assetto normativo precedente, a dimostrazione che prima della riforma tale imposta non potesse ritenersi un diritto di confine, prova troppo, considerando che, proprio le più recenti riforme normative (si pensi alla riforma Orlando, ma anche, più di recente, alla riforma RAGIONE_SOCIALEbia) recepiscono spesso, inserendoli nelle disposizioni normative di nuova introduzione, gli approdi interpretativi cui è pervenuta, fino a quel momento, la giurisprudenza delle Corti superiori.
1.6 Per converso, proprio il d.lgs. n. 141 del 2024 con il quale è stato abrogato il TULD, sono state introdotte nuove regole nazionali complementari al CDU ed è stato chiarito che VIVA all’importazione – salvo alcune eccezioni specifiche che, come si vedrà, non riguardano il caso di specie – è un diritto di confine, dimostra la validità dell’opzione ermeneutica prescelta da questo collegio, che è stata, per l’appunto, convalidata dal legislatore delegato.
Se è pur vero che la questione dell’inclusione dell’IVA all’importazione nell’ambito dei diritti di confine, o dei tributi interni, ha impegnato giurisprudenza di legittimità non solo penale (espressione ne sono i due contrapposti orientamenti sopradescritti) ma anche civile (le cui Sezioni Unite, con ordinanza interlocutoria n. 18284 del 27/02/2024, dep. 04/07/2024 – nel premettere, in linea con quanto affermato dalla Corte di giustizia del 7 aprile 2022, causa C-489/20, UB, punti 47 e 48, che VIVA all’importazione non è un diritto di confine – hanno rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost. e 49 della Carte dei diritt fondamentali dell’Unione europea, dell’art. 70 d.P.R. n. 633 del 1972, laddove non esclude l’applicabilità dell’art. 301 d.P.R. n. 43 del 1973, così ponendo all’attenzione della Consulta l’applicazione della “confisca doganale” all’IVA all’importazione), è altrettanto innegabile che la scelta legislativa non può essere trascurata e neanche letta a definitiva riprova della differente natura, rispetto a quella prescelta poi dal legislatore, dell’IVA all’importazione prima della novellazione, come suggerisce la difesa.
Il 4 ottobre 2024, come noto, è entrato in vigore il d.lgs. 26 settembre 2024, n. 141 (Disposizioni nazionali complementari al codice doganale dell’Unione e revisione del sistema sanzionatorio in materia di accise e altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi) con il quale è stata esercitata la delega di cui alla I. 9 agosto 2023, n. 111 e con esso, per quanto rileva in questa sede, è stato previsto che VIVA all’importazione è un diritto di confine («Fra i diritti doganali di cui al comma 1 costituiscono diritti di confine, oltre ai dazi all’importazione e all’esportazione previsti dalla normativa unionale, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o all’esportazione, i diritti di monopolio, le accise, l’imposta su
valore aggiunto e ogni altra imposta di consumo, dovuta all’atto dell’importazione, a favore dello Stato»), regola, questa, a cui fanno eccezione i «casi di: a) immissione in libera pratica di merci senza assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto per successiva immissione in consumo in altro Stato membro dell’Unione europea; b) immissione in libera pratica di merci senza assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto e vincolo a un regime di deposito diverso dal deposito doganale.» (in questo senso l’art. 27, commi 2 e 3, d.lgs. cit., che riproduce, con modifiche, il disposto dell’art. 34 TULD, a cui si sostituisce).
Dal 4 ottobre 2024, dunque, VIVA all’importazione, in quanto collocata tra i diritti di confine (che costituiscono species del genus diritti doganali), fatte salve le ipotesi eccezionali del “regime 42” (trasferimento del bene importato in Italia con immissione in consumo in altro Stato membro) e del “regime 45” (vincolo del bene importato al regime del deposito IVA), nelle quali tuttavia non rientra il caso di specie, va accertata, liquidata e riscossa secondo le più stringenti disposizioni doganali unionali: è questa una scelta legislativa che, come si evince dalla relazione illustrativa al decreto, esplicita quanto disposto dall’art. 34 TULD e chiarisce che, in riferimento alle operazioni di importazione, all’IVA si applica la normativa doganale UE con riferimento all’individuazione del debitore e all’estinzione dell’obbligazione doganale, cosi aderendo all’opzione ermeneutica della sentenza COGNOME e al percorso argomentativo in essa seguito.
Alla luce di queste considerazioni, dunque, anche la scelta del legislatore di aderire all’indirizzo ermeneutico della sentenza COGNOME e la ratio legis, evincibile dalla relazione illustrativa, dell’intervento di riforma, confermano la validit dell’opzione ermeneutica che qui si condivide e che il legislatore ha fatto propria, comportando ciò una continuità normativa tra gli articoli 34 – 292 5s. – 301 d.P.R. n. 43 del 1973 (ora abrogato) e rispettivamente gli articoli 27 – 78 95. – 94 del d.lgs. n. 141 del 2024, con conseguente superamento dei rilievi difensivi mossi sul punto.
1.7 In conclusione, nessuna censura può essere mossa all’ordinanza impugnata che dà conto delle due opzioni ermeneutiche e che, con argomentazione adeguata e motivata, aderisce all’orientamento condiviso da questo Collegio, e convalidato oggi dal legislatore delegato, ritenendo configurabile, nel caso di specie, tra gli altri, il reato di contrabbando doganale e la legittimità del conseguente sequestro preventivo della merce, funzionale alla confisca.
Inammissibile è il secondo motivo, con cui la parte lamenta il difetto di motivazione in ordine alla qualificazione del contributo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, se come diritto di confine o come tributo interno.
2.1 Ritiene questa Corte che alcun vizio di motivazione attinga l’ordinanza impugnata quanto alla qualificazione del contributo RAGIONE_SOCIALE. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, il giudice della cautela risponde, congiuntamente, alle doglianze postegli, sia in ordine alla natura dell’IVA all’importazione che con riferimento all’ulteriore contributo: si legge infatti (pag. 9 dell’ordinanza) che la questione posta al vaglio del giudice afferisce alla riconducibilità alla nozione di diritto di confine sia dell’IVA all’importazione che del contributo RAGIONE_SOCIALE, che, nella prospettiva della difesa (pag 8) non rientrerebbe nel novero dei diritti di confine, alla stregua della definizione di cui all’art. 34 TULD, in quanto qualificabili come tributi interni. In ordine a tal questione, il giudice dell’ordinanza impugnata motiva, con argomentazioni immuni da censure, analizzando congiuntamente VIVA all’importazione e il contributo in questione, così inquadrando quest’ultimo nella stessa categoria dell’IVA all’importazione, ossia nell’ambito dei diritti di confine, con argomentazioni analizzate, e ritenute condivisibile, come già visto nella parte relativa al primo motivo di ricorso. La censura sul punto è pertanto inammissibile, non ravvisandosi alcun vizio di carenza o contraddittorietà della motivazione sul punto.
Alla luce di tutte le considerazioni espresse il proposto ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 14/10/2024