Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19409 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19409 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Monza il 28/04/1964
avverso la sentenza emessa il 18 settembre 2024 dalla Corte d’appello di Milano
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dai Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 322, comma terzo, cod. pen., così riqualificata sin dalla sentenza di primo grado l’iniziale contestazione ai sensi degli articoli 81, 56 e 319-quater cod. pen.
La condotta ascritta all’imputato attiene ai suo ruolo di medico di base di medicina generale convenzionato con il servizio sanitario nazionale e alla richiesta di danaro per il rilascio di certificati medici di astensione dal :avoro, richiesta formulata in due occasioni
con la quantificazione del compenso in euro 30 e in altre occasioni senza indicazione di uno specifico compenso.
2. NOME COGNOME ricorre per cassazione deducendo due motivi di ricorso.
2.1. Manifesta illogicità della motivazione e erronea applicazione dell’art. 322, comma terzo, cod. pen. in relazione alla inidoneità e non serietà delle sollecitazioni rivolte dall’imputato ai propri pazienti. Sostiene il ricorrente che la sentenza impugnata, pur dando atto che le sollecitazioni rivolte dal ricorrente a quattro pazienti sono sempre state effettuate con toni amichevoli e scherzosi, ha omesso di valutarne, come sollecitato con l’atto di appello, l’incidenza sulla idoneità della condotta. Ciò soprattutto, i considerazione dei molteplici elementi risultanti da entrambe le sentenze di merito che, in tesi difensiva, appaiono sintomatici della non serietà della richiesta, rendendo, sotto tale profilo, illogica la motivazione in merito al giudizio di responsabilità. Si segnalano in particolare, oltre ai toni scherzosi ed amichevoli con i quali le richieste sono state formulate, i seguenti elementi: a) la circostanza che molti testi escussi in dibattimento abbiano fatto riferimento a battute ovvero abbiano avuto difficoltà a ricordare l’accaduto o dichiarato di non avere percepito il disvalore della condotta; b) il fatto che nessuno dei pazienti abbia scelto di cambiare il medico di base; c) l’irrisorietà della somma chiesta in due sole occasioni (30 euro); d) l’assenza di reiterazione delle richieste una volta ricevuto il diniego del paziente o in assenza di una sua risposta.
2.2. Manifesta illogicità della motivazione relativa al diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. Rileva, al riguardo, il ricorrente che la sentenza impugnata ha illegittimamente ritenuto il carattere ostativo del reato ascritto, applicando retroattivamente la specifica previsione introdotta all’art. 131-bis cod. pen. successivamente alla commissione dei fatti per cui si procede. Si deduce, inoltre, l’illogicità della motivazione in relazione agli altri elementi valorizzati dalla Cor territoriale, ovvero: i) il “contesto medico” in cui è avvenuta la condotta e la sua gravità, contraddetta dagli elementi già indicati nel primo motivo; ii) la non esiguità del danno cagionato, in quanto contraddetta dalla irrisorietà della somma liquidata alla parte civile; iii) la reiterazione della condotta in quanto non coincidente con la sua abitualità, tenuto conto della giurisprudenza di legittimità che riconosce la compatibilità della causa di non punibilità con il reato continuato. Ad avviso del ricorrente la tenuità del fatto è, invece, desumibile dal numero esiguo dei pazienti ai quali, a fronte del più elevato numero di assistiti, il ricorrente ha rivolto le sue richieste.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si limita ad insistere, formulando censure di merito, sulla inidoneità della condotta sulla sola base del tono
scherzoso con il quale sarebbero state richieste le utilità per il rilascio dei certificati. Ta censura omette di confrontarsi criticamente con la sentenza impugnata che, con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici, pur considerando gli elementi fattuali indicati dal ricorrente, ha ritenuto l’idoneità e l’univocità della condotta, consistita ne sollecitare una dazione di denaro in cambio dei certificati medici richiesti dai pazienti, sulla base sia dei messaggi acquisti che delle dichiarazioni rese dai pazienti, uno solo dei quali ha riferito che i toni erano scherzosi e non prepotenti (cfr., in particolare, le pagine da 9 a 11). Si tratta di un giudizio non solo ineccepibile dal punto di vista logico, ma coerente con la costante giurisprudenza di questa Corte, qui ribadita, secondo la quale, ai fini della configurabilità del delitto di istigazione alla corruzione per un atto contrar ai doveri di ufficio, l’idoneità dell’offerta deve essere valutata con giudizio ex ante, sicché la condotta può ritenersi inoffensiva solo se manchi l’idoneità potenziale dell’offerta stessa a conseguire lo scopo perseguito dall’autore, non rilevando la tenuità di essa, purché non sia del tutto irrisoria (così, da ultimo, Sez. 6, n. 46494 del 23/10/2019, Faleburle, Rv. 277680).
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
In primo luogo, va chiarito che la sentenza impugnata non ha applicato retroattivamente la disposizione introdotta all’art. 131-bis, comma terzo, cod. pen. dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, disposizione che ha solamente richiamato nel corpo della motivazione sottolineando la sua entrata in vigore successivamente alla commissione del fatto.
Il diniego della causa di non punibilità si fonda, invece, sulla abitualità della condotta, desunta dalla reiterazione e dalla frequenza delle condotte, reputate sintomatiche della «diffusa tendenza dell’imputato a violare i doveri di correttezza e lealtà nello svolgimento del proprio incarico».
Coerentemente con la giurisprudenza di questa Corte, si è sostanzialmente ritenuto che la reiterazione di condotte della stessa indole, quali quelle commesse dal ricorrente, sia sintomatica della abitualità del comportamento.
Va, al riguardo rammentato che, come affermato dalle Sezioni Unite, la locuzione “più reati della stessa indole” utilizzata dal legislatore quale indice sintomatico di abitualità del comportamento, non può essere intesa esclusivamente con riferimento alla presenza di precedenti sentenze irrevocabili di condanna irrevocabili. Si è, infatti, affermato che la pluralità dei reati può concretarsi anche nel caso in cui gli illeciti s trovino al cospetto del medesimo giudice che, dunque, è in grado di valutarne l’esistenza «come ad esempio nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui» (cfr.Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591).
Tale principio, benché non oggetto di specifica massimazione, è stato successivamente confermato anche da Sez. U, n, 18891 del 27/01/2022, COGNOME, Rv.
283064, allorché il Supremo Consesso ha affermato l’astratta compatibilità tra la causa di non punibilità in esame e il reato continuato. Le Sezioni Unite hanno, infatti, precisato
che l’istituto della continuazione non può essere considerato come sinonimo della nozione di “abitualità”, né appare coincidente o necessariamente sovrapponibile
all’ipotesi – che continua ad assumere valenza ostativa – in cui l’autore abbia commesso
“più reati della stessa indole”. Si è, a tal fine, chiarito che la nozione di “reati della stess indole” fa riferimento a un duplice ambito di valutazione, sia oggettivo (“la natura dei
fatti”) che soggettivo (“i motivi che li determinarono”), da cui desumere la ricorrenza di quei “caratteri fondamentali comuni” che, ai sensi dell’art. 101 cod. pen., qualificano
l’indole criminale di un soggetto. Tale categoria di reati, pertanto, si estende con un raggio d’azione più ampio rispetto a quello coperto dal medesimo disegno criminoso,
includendovi anche i reati colposi (ontologicamente incompatibili con il reato continuato)
e quelli commessi per effetto degli stessi impulsi o motivi a delinquere, ossia di quelle
“singole causali” che, ai fini dell’accertamento della unicità del disegno criminoso, costituiscono, di contro, solo uno dei molteplici indici rivelatori che il giudice deve in
concreto valorizzare nell’ambito di un’approfondita e generale verifica del caso (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, cit.).
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. non può, dunque, essere dichiarata nell’ipotesi in cui, come nella fattispecie in esame, le condotte criminose, oltre a violare la medesima disposizione di legge, presentano caratteri fondamentali comuni tali da poterle ritenere espressione di una tendenza o inclinazione al crimine.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 28 febbraio 2025.