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Istigazione alla corruzione: medico condannato

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per istigazione alla corruzione di un medico di base che chiedeva denaro ai pazienti per il rilascio di certificati di malattia. La Corte ha respinto la tesi difensiva secondo cui le richieste, fatte con tono scherzoso, non fossero serie. Ha inoltre escluso l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a causa della natura ripetuta e abituale delle condotte illecite.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Istigazione alla corruzione: anche una richiesta “scherzosa” può essere reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 19409/2025, affronta un caso di istigazione alla corruzione che coinvolge un medico di base, offrendo spunti cruciali sulla serietà della condotta e sui limiti della non punibilità per particolare tenuità del fatto. La decisione chiarisce che anche una richiesta di denaro formulata con toni amichevoli o scherzosi può integrare il reato, se potenzialmente idonea a raggiungere lo scopo illecito.

I fatti del caso: un medico di base a processo

Il caso riguarda un medico di medicina generale convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, condannato in primo e secondo grado per aver richiesto denaro ad alcuni suoi pazienti per il rilascio di certificati medici di astensione dal lavoro. In due occasioni, la somma era stata quantificata in 30 euro, mentre in altre non era stato specificato un importo. La contestazione iniziale è stata riqualificata nel reato di istigazione alla corruzione, previsto dall’art. 322, terzo comma, del codice penale.

I motivi del ricorso: tra scherzo e tenuità del fatto

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:

1. Inidoneità della condotta: Secondo la difesa, le richieste erano state avanzate con toni “amichevoli e scherzosi” e, pertanto, non erano serie né idonee a configurare il reato. A supporto di questa tesi, venivano citati elementi come la difficoltà dei testimoni a ricordare i fatti, la mancata percezione del disvalore della condotta da parte loro e l’irrisorietà della somma richiesta.
2. Errata applicazione dell’art. 131-bis c.p.: La difesa sosteneva che i giudici di merito avessero erroneamente negato la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ritenendo la condotta abituale. Secondo il ricorrente, il numero esiguo di pazienti coinvolti rispetto al totale degli assistiti avrebbe dovuto portare a una valutazione diversa.

L’analisi della Corte: la serietà dell’istigazione alla corruzione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: la valutazione dell’idoneità di un’offerta o di una sollecitazione corruttiva deve essere effettuata con un giudizio ex ante, cioè basandosi sulle circostanze esistenti al momento del fatto.

Una condotta può essere considerata inoffensiva solo se manca completamente della potenziale idoneità a conseguire lo scopo illecito. Il tono “scherzoso”, pur considerato dai giudici di merito, non è stato ritenuto sufficiente a far venir meno l’univocità e l’idoneità della richiesta di denaro in cambio di un atto contrario ai doveri d’ufficio (il rilascio di un certificato medico non veritiero o comunque indebito). La Corte ha sottolineato come la valutazione dei giudici di merito fosse logica e coerente, basata su messaggi e testimonianze.

L’abitualità della condotta e l’esclusione della non punibilità

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Cassazione ha chiarito che il diniego della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non si basava su un’applicazione retroattiva di norme successive, ma sulla natura abituale della condotta.

Seguendo l’orientamento delle Sezioni Unite, la Corte ha specificato che la pluralità di reati della stessa indole, anche se giudicati nello stesso procedimento, è un indice sintomatico dell’abitualità del comportamento. La reiterazione delle richieste illecite a diversi pazienti è stata interpretata come una “diffusa tendenza dell’imputato a violare i doveri di correttezza e lealtà”, configurando così una vera e propria inclinazione al crimine che osta all’applicazione dell’art. 131-bis c.p.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di valutare la condotta corruttiva non solo nel suo aspetto formale, ma anche nella sua potenziale efficacia. Il tono utilizzato dall’agente è solo uno degli elementi da considerare e non può, da solo, escludere la rilevanza penale del fatto se la richiesta è chiara e diretta a un fine illecito. Per quanto riguarda la non punibilità, la decisione riafferma che la “tenuità del fatto” non può essere invocata in presenza di comportamenti seriali che, nel loro insieme, rivelano una tendenza a violare la legge, anche se i singoli episodi possono apparire di modesta entità. La reiterazione diventa quindi un elemento qualitativo che definisce la non occasionalità e, di conseguenza, la maggiore gravità complessiva del comportamento.

Le conclusioni

La sentenza consolida due importanti principi in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione. In primo luogo, l’istigazione alla corruzione è un reato di pericolo la cui configurabilità dipende dall’idoneità ex ante della condotta, non dal suo esito o dalle modalità “leggere” con cui viene posta in essere. In secondo luogo, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è applicabile quando la condotta, sebbene composta da singoli atti di modesto valore, risulta abituale e sintomatica di una sistematica violazione dei doveri d’ufficio. Il ricorso è stato quindi rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Una richiesta di denaro fatta “per scherzo” a un pubblico ufficiale può costituire reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la valutazione della condotta va fatta con un giudizio ex ante, cioè basandosi sulla sua potenziale idoneità a raggiungere lo scopo illecito al momento del fatto. Un tono scherzoso non è sufficiente a rendere la condotta penalmente irrilevante se la richiesta è chiara e univoca.

Quando un comportamento criminale può essere considerato “abituale” ai fini dell’esclusione della non punibilità per tenuità del fatto?
Un comportamento è considerato abituale quando vi è la reiterazione di condotte della stessa indole, anche se giudicate nello stesso procedimento. Questa ripetizione, secondo la Corte, è sintomatica di una “diffusa tendenza” a violare la legge e impedisce di qualificare il fatto come di particolare tenuità.

L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) si applica al reato di istigazione alla corruzione?
In linea di principio sì, ma la sentenza chiarisce che non può essere applicata quando la condotta è abituale. La ripetizione di più episodi, anche se di lieve entità, dimostra un’inclinazione al crimine che è incompatibile con i presupposti della norma, che richiede l’occasionalità del comportamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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