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Istanza via PEC: rischi e oneri per l’avvocato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per guida in stato di ebbrezza. La sentenza chiarisce due principi fondamentali: primo, chi invia una istanza via PEC, come una richiesta di rinvio, ha l’onere di dimostrare non solo l’invio ma anche l’effettivo e tempestivo recapito nella cancelleria del giudice. Secondo, l’identificazione di un indagato sulla base delle sue stesse dichiarazioni è considerata valida, a meno che non emergano elementi concreti che ne mettano in dubbio la veridicità.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

L’Istanza via PEC nel Processo Penale: Un Rischio a Carico del Mittente

L’evoluzione digitale ha introdotto strumenti come la Posta Elettronica Certificata (PEC), che hanno modificato le comunicazioni legali. Tuttavia, il loro utilizzo nel processo penale presenta delle specificità che è fondamentale conoscere per evitare conseguenze negative. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: chi invia una istanza via PEC, come una richiesta di rinvio per legittimo impedimento, si assume la responsabilità di provare non solo l’invio, ma anche l’effettiva e tempestiva ricezione da parte dell’ufficio giudiziario. Analizziamo il caso per comprendere le implicazioni pratiche di questa decisione.

I Fatti del Caso

Un automobilista veniva condannato in primo e secondo grado per guida in stato di ebbrezza, un reato previsto dall’art. 186 del Codice della Strada. Il tasso alcolemico riscontrato era significativamente superiore ai limiti di legge (2,07 g/l alla prima misurazione). L’imputato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. La nullità della sentenza d’appello per non aver considerato una richiesta di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento, che era stata inviata tramite PEC alla cancelleria della Corte.
2. Un vizio di motivazione riguardo alla sua identificazione, ritenuta incerta e non supportata da accertamenti oggettivi.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato su entrambi i fronti. La decisione ha offerto importanti chiarimenti sull’uso degli strumenti telematici e sulle procedure di identificazione nel processo penale.

L’onere della prova sull’istanza via PEC

Il punto centrale della sentenza riguarda la validità e l’efficacia delle comunicazioni inviate dalle parti private alla cancelleria tramite PEC. La Corte ha ribadito che, sebbene l’uso della PEC non sia di per sé inammissibile, esso costituisce una modalità di trasmissione irregolare per le parti private. Di conseguenza, chi sceglie questa via si assume l’onere di accertarsi che la comunicazione non solo sia stata inviata, ma che sia effettivamente pervenuta e stata portata all’attenzione del giudice in tempo utile.

Nel caso specifico, il ricorrente aveva allegato solo la stampa dell’invio della PEC, senza fornire la prova dell’effettivo recapito al destinatario. Questa mancanza è stata fatale: la semplice prova dell’invio non è sufficiente a dimostrare che il giudice fosse stato messo nelle condizioni di conoscere la richiesta di rinvio.

La validità dell’identificazione dell’imputato

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Cassazione ha confermato il proprio orientamento consolidato secondo cui l’identificazione di un indagato o imputato ad opera della polizia giudiziaria è valida se basata sulle dichiarazioni fornite dalla persona stessa. Il ricorso a procedure più complesse come i rilievi dattiloscopici, fotografici o antropometrici si giustifica solo in presenza di elementi concreti che facciano dubitare della veridicità delle generalità fornite. In assenza di tali elementi, le dichiarazioni dell’interessato sono considerate fonte legittima della sua identità, fino a prova contraria.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che l’uso della PEC nel processo penale è normativamente previsto solo per le notificazioni e comunicazioni a cura della cancelleria. L’utilizzo da parte dei privati, pur non essendo vietato, espone al rischio che l’istanza non venga tempestivamente processata. Il sistema non garantisce la stessa certezza di ricezione e protocollazione di un deposito fisico. Pertanto, la responsabilità di un mancato esame dell’istanza ricade sul mittente che ha scelto una modalità di trasmissione non standard, senza preoccuparsi di verificarne il buon fine.

Per quanto riguarda l’identificazione, i giudici hanno ribadito che l’ordinamento si basa su un principio di presunzione di veridicità delle dichiarazioni rese dall’individuo sulla propria identità all’autorità pubblica. Sovvertire questa presunzione richiede la presenza di specifici e concreti elementi di dubbio, che nel caso di specie non erano stati né allegati né dimostrati.

Le Conclusioni

La sentenza consolida due principi importanti per la pratica forense. Primo, l’avvocato che decide di utilizzare la PEC per comunicazioni urgenti, come una richiesta di rinvio, deve essere estremamente diligente e premurarsi di ottenere la prova del recapito, magari contattando telefonicamente la cancelleria per assicurarsi che l’atto sia stato ricevuto e sottoposto al giudice. Affidarsi alla sola ricevuta di invio è un rischio che può costare caro. Secondo, la contestazione sull’identificazione dell’imputato deve essere supportata da elementi concreti di falsità, non potendo basarsi su una mera richiesta di accertamenti più approfonditi in assenza di specifici indizi.

È possibile inviare una richiesta di rinvio udienza via PEC nel processo penale?
Sì, è possibile, ma la giurisprudenza la considera una modalità di trasmissione irregolare per le parti private. Non essendo di per sé irricevibile, il giudice può prenderla in considerazione solo se ne viene a conoscenza in tempo utile.

Se invio un’istanza via PEC, chi deve provare che sia stata ricevuta dal giudice?
L’onere della prova grava interamente sul mittente. Non è sufficiente dimostrare di aver inviato la PEC; è necessario provare che la comunicazione sia stata effettivamente recapitata e portata all’attenzione del giudice procedente in tempo utile per la sua valutazione.

L’identificazione di una persona basata solo sulle sue dichiarazioni alla polizia è valida?
Sì, secondo l’orientamento consolidato della Cassazione, le dichiarazioni rese dall’indagato o imputato sulla propria identità sono considerate una fonte valida e sufficiente, a meno che non esistano elementi di fatto concreti che facciano dubitare della loro veridicità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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