Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 12179 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 12179 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/09/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria depositata dal Pubblico Ministero, in persona del Sostitut Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
letta la memoria di replica depositata dall’AVV_NOTAIO per il ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza del 22 luglio 2022, con la quale NOME COGNOME è stato condannato per il reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), commi 2-bis e 2-sexies, per avere guidato in ora notturna un veicolo in stato di ebbrezza (tasso alcolemico pari a 2,07 g/I alla prima misurazione ed a 1,82 g/I alla seconda), in Cosenza, il 19 febbraio 2021 alle ore 1,40.
L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, formulando un articolato motivo di ricorso con il quale deduce:
nullità della sentenza per omessa valutazione dell’istanza di rinvio del procedimento ad horas per impedimento legittimo, inoltrata via pec;
vizio della motivazione in relazione al foglio 3 della sentenza impugnata, nella parte in cui è stato trattato il motivo d’appello relativo alla identificazion dell’imputato; si deduce l’inidoneità delle dichiarazioni rese in giudizio dai verbalizzanti al fine di accertare l’effettiva identità del ricorrente.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto AVV_NOTAIO. COGNOME NOME, ha rassegnato conclusioni scritte a norma del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha depositato memoria di replica, insistendo per l’annullamento della sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Va rilevata la manifesta infondatezza del primo motivo.
Nel caso all’esame non si rileva alcuna violazione del diritto di difesa dell’imputato. Secondo pacifico insegnamento giurisprudenziale, è normativamente previsto l’uso della posta elettronica certificata anche nel processo penale, ma con riferimento alle sole notificazioni e comunicazioni a cura della cancelleria, dirette a persone diverse dall’imputato (cfr. D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221); inoltre, la posta elettronica certificata, così come il fax, garantisce la sola riferibilità del provenienza del file dal servizio amministrativo che lo spedisce, né più né meno del fax appartenente al detto servizio (cfr., tra le altre, in motivazione, sez. 4, n. 43872 del 15/05/2018, COGNOME ed altro, non mass., sub p.1.1. del “considerato in diritto”, in cui si opera un rinvio a sez. 6, n. 55444 del 5/12/2017, C., Rv. 271677 e a sez. 4, n. 18823 del 30/3/2016, Mandato, Rv. 266931).
Né può utilmente valorizzarsi il disposto del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 48 che sancisce la equiparazione della trasmissione di un documento informatico con la posta elettronica certificata, alla notificazione a mezzo posta, poiché tale norma fa salva, comunque, la specialità delle normative di settore, specialità che
nel caso delle impugnazioni penali e dei processi penali in genere sono rappresentate dal disposto dell’art. 583 c.p.p. (cfr. le considerazioni svolte alle pp. 2-3 della motivazione in sez. 5, n. 24332 del 5/3/2015, Pmt in proc. Alamaru e altri, Rv. 263900).
Con specifico riferimento, poi, alla richiesta di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento del difensore, inviata a mezzo posta elettronica in cancelleria, si è precisato che la stessa non è di per sé irricevibile, né inammissibile, chiarendosi, al contempo, che l’utilizzo di tale irregolare modalità di trasmissione comporta l’onere, per la parte che intenda dolersi in sede di impugnazione dell’omesso esame della sua istanza, di accertarsi del regolare arrivo della mail in cancelleria e della sua tempestiva sottoposizione all’attenzione del giudice procedente (cfr. Sez. 2, n. 47427 del 07/11/2014, COGNOME, Rv. 260963; sez. 1, n. 17879 del 22/3/2019, NOME, Rv. 276308; in termini, sez. 6, n. 35217 del 19/4/2017, C., Rv. 270912; nello stesso senso, per quanto riguarda lo strumento affine del telefax, cfr. sez. F, n. 45720 del 27/8/2019, NOME, Rv. 277307; sez. 1, n. 1904 del 16/11/2017, dep. 2018, Deriù, Rv. 272049; sez. 2, n. 24515 del 22/5/2015, COGNOME e altro, Rv. 264361, quest’ultima con riferimento sia all’impedimento del difensore che a quello dell’imputato; Sez. 5, n. 7706 del 16/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262835; sez. 2, n. 9030 del 5/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258526).
Da quanto precede consegue intanto che l’uso delle modalità di trasmissione in questione (posta elettronica) al fine di avanzare richiesta di rinvio dell’udienza espone il richiedente al rischio della intempestività, nell’ipotesi in cui l’istanza di rinvio dell’udienza non venga portata a conoscenza del giudice procedente (cfr. Sez. 4, n. 38160 del 23/6/2009, COGNOME, Rv. 245315; sez. 5, n. 14574 del 16/3/2005, COGNOME, Rv. 231102); ma anche che il giudice è tenuto ad esaminare l’istanza di rinvio inoltrata a mezzo fax (cui va equiparata la posta elettronica) soltanto se ne abbia avuto conoscenza in tempo utile (cfr. sez. F., ord. n. 32941 del 25/8/2011, Giugno, Rv. 251089).
Deve, pertanto, darsi continuità al principio di diritto secondo il quale le parti private non possono effettuare comunicazioni, notificazioni ed istanze mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata, fermo restando che, non essendo le stesse irricevibili, possono essere prese in considerazione dal giudice, se poste alla sua attenzione (cfr. sez. 6, n. 2951 del 25/9/2019, COGNOME NOME, Rv. 278127; sez. 2, n. 31314 del 16/5/2017, P., Rv. 270702, in fattispecie relativa ad istanza di rinvio per legittimo impedimento avanzata a mezzo PEC dal difensore di fiducia dell’imputato). Sez. 4, n. 16696 del 13/04/2021.
Nella specie, il ricorrente ha allegato solo stampa dell’invio all’indirizzo pec “EMAIL ” in data 28 settembre alle ore 19,19, dalle quali non è possibile trarre idonea prova dell’effettivo recapito della mail al destinatario, ma al più solo del suo invio.
5. Il secondo profilo sollevato nel motivo è inammissibile. La censura si pone in contrasto con l’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, per cui, invece, l’identificazione dell’indagato ad opera della polizia giudiziaria è validamente operata sulla base delle dichiarazioni dallo stesso fornite, perché il ricorso ai rilievi dattiloscopici, fotografici o antropometrici, o ad altri accertamenti si giustifica soltanto in presenza di elementi di fatto che facciano ritenere la falsità delle indicate dichiarazioni (Sez. 4 n. 19047 del 29/03/2017 Rv. 269887 – 01, COGNOME; Sez. 5, n. 20759 del 05/05/2010, COGNOME, Rv. 24761401; Sez. 2, n. 37103 del 13/06/2003, COGNOME, Rv. 22680501; Sez. 2, n. 8105 del 26/04/2000, COGNOME, Rv. 21652201; Sez. 3, n. 7854 del 03/06/1998, COGNOME E, Rv. 21135601; Sez. 1, n. 9936 del 14/10/1997, COGNOME, Rv. 20876401; Sez. 1, n. 3935 del 13/03/1995, COGNOME, Rv. 20186701).
6. Le menzionate pronunzie ammettono che, in presenza di concreti elementi che consentano di dubitare della veridicità delle dichiarazioni rese dall’indagato o dall’imputato sulla sua identità, sia necessario ricorrere alle procedure oggettive di identificazione fisica disciplinate dall’art. 349 cod. proc. pen., ma escludono che tale adempimento sia comunque necessario quando le generalità vengano acquisite dall’autorità procedente attraverso tali dichiarazioni, affermando in sostanza che l’indagato o l’imputato sono, fino a prova contraria, legittime fonti della loro identità.
7.11 Collegio ritiene che nel caso in esame, in carenza di allegazioni concrete per le quali le dichiarazioni dell’indagato non dovrebbero ritenersi sufficienti, l’orientamento interpretativo da ultimo indicato debba essere privilegiato, ritenendo conseguentemente che la motivazione offerta dalla Corte territoriale, secondo la quale l’indicazione dei dati anagrafici unitamente al nome può costituire valido indice della corrispondenza della persona fermata al nominativo fornito agli agenti di polizia giudiziaria, non sia affetta dal vizio lamentato.
8.In definitiva, il ricorso, in quanto manifestamente infondato, va dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso in Roma, il 29 febbraio 2024.