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Irreperibilità testimone: quando è lecita la lettura?

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio. Decisiva la corretta applicazione del concetto di irreperibilità testimone, che ha permesso la lettura delle sue dichiarazioni, e la distinzione tra reato continuato e mera abitualità criminale. La condanna si fondava primariamente sulla testimonianza diretta degli agenti.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Irreperibilità Testimone: Quando è Legittima la Lettura degli Atti?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7548/2024, offre chiarimenti cruciali su un tema procedurale di grande rilevanza: l’irreperibilità del testimone e le sue conseguenze sulla validità del processo. La decisione analizza quando sia corretto procedere alla lettura in dibattimento delle dichiarazioni rese da un teste durante le indagini, e traccia una linea netta tra il reato continuato e la mera abitualità criminale. Questo caso, nato da una condanna per spaccio di stupefacenti, diventa un’importante guida per comprendere i limiti e le condizioni della prova testimoniale.

I Fatti del Processo: Cessione di Droga e un Teste Scomparso

Il caso riguarda un uomo condannato in appello per la cessione di una modica quantità di marijuana. La condanna era aggravata da una recidiva specifica e reiterata. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Un vizio procedurale legato all’acquisizione della testimonianza dell’acquirente della sostanza.
2. Una presunta illogicità della motivazione della sentenza di condanna.
3. Il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione con un altro reato simile.

Il punto centrale del ricorso verteva sull’assenza in aula del testimone chiave, l’acquirente. Quest’ultimo, dopo una prima notifica, si era reso irreperibile. La Corte d’Appello aveva quindi disposto la lettura delle sommarie informazioni che egli aveva reso alla polizia giudiziaria durante le indagini, una decisione fortemente contestata dalla difesa.

L’analisi sulla corretta irreperibilità del testimone

Il primo motivo di ricorso si concentrava sulla presunta violazione dell’art. 512 del codice di procedura penale. La difesa sosteneva che le ricerche del testimone non fossero state sufficientemente approfondite, limitandosi a controlli anagrafici e tentativi di contatto telefonico. Secondo il ricorrente, l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto estendere le ricerche al territorio milanese, dove il teste risultava aver avuto contatti e controlli in passato.

La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo la natura del concetto di irreperibilità del testimone. I giudici hanno specificato che l’irreperibilità che giustifica la lettura degli atti non è quella “tecnica” descritta dall’art. 159 c.p.p. (che disciplina le notifiche all’imputato), ma una “impossibilità sopravvenuta” di natura pratica. Si tratta di accertare che, nonostante le ricerche accurate e appropriate alla situazione, sia materialmente impossibile rintracciare il teste e condurlo, anche coattivamente, in giudizio. Nel caso di specie, le ricerche effettuate dal giudice di primo grado (verifiche anagrafiche, contatti telefonici ripetuti e infruttuosi) sono state ritenute adeguate e sufficienti a dimostrare tale impossibilità oggettiva.

La Solidità della Prova Indipendente

Superato lo scoglio procedurale, la Corte ha esaminato il secondo motivo, relativo alla presunta debolezza del quadro probatorio. La difesa lamentava l’assenza di prove decisive come il rinvenimento di denaro o di altro stupefacente.

Anche questo motivo è stato giudicato infondato. La Cassazione ha sottolineato che la condanna non si basava esclusivamente sulle dichiarazioni lette del testimone assente. Al contrario, il pilastro dell’accusa era la deposizione degli agenti di polizia che avevano assistito direttamente (de visu) allo scambio. Essi avevano osservato la consegna della sostanza dall’imputato all’acquirente e avevano riconosciuto senza dubbio l’imputato in aula. Le dichiarazioni dell’acquirente, quindi, fungevano solo da elemento di conferma, non da prova principale.

Reato Continuato o Abitualità Criminale?

L’ultimo punto del ricorso riguardava il diniego del “vincolo della continuazione”. L’imputato chiedeva che il reato in esame fosse unito a una precedente condanna per un fatto simile, commesso nello stesso luogo. Il riconoscimento della continuazione avrebbe comportato un trattamento sanzionatorio più mite.

La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, rigettando la richiesta. La motivazione si basa principalmente sul significativo lasso temporale tra i due episodi, quasi due anni. Questo elemento, secondo la Corte, interrompe l’unicità del “disegno criminoso” richiesta per la continuazione. La somiglianza nelle modalità e nel luogo non è sufficiente a dimostrare una programmazione unitaria, potendo invece essere indice di una semplice “abitualità criminale”, ovvero una tendenza a commettere reati dello stesso tipo in modo sistematico ma non pianificato sin dall’inizio. La Corte ha ribadito che l’onere di provare l’esistenza di un unico disegno criminoso spetta al condannato, onere che in questo caso non è stato assolto.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni sua parte. La motivazione principale risiede nel fatto che le doglianze sollevate erano o infondate in diritto o miravano a una rivalutazione del merito dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Sull’irreperibilità del testimone, la Corte ha applicato un principio di concretezza, ritenendo sufficienti le ricerche ragionevolmente esperibili. Sulla responsabilità penale, ha valorizzato la prova diretta e testimoniale degli agenti operanti, relegando le dichiarazioni dell’assente a un ruolo meramente confermativo. Infine, sul reato continuato, ha ribadito l’importanza del fattore temporale come indice della frammentarietà del proposito criminale, distinguendolo dall’abitualità.

Conclusioni

La sentenza offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, consolida un’interpretazione pragmatica dell’irreperibilità del testimone, legandola a un’impossibilità di fatto e non a formalismi eccessivi. In secondo luogo, riafferma la piena valenza probatoria della testimonianza degli agenti di polizia che assistono direttamente a un reato. Infine, fornisce un criterio chiaro per distinguere il reato continuato dall’abitualità, sottolineando come la semplice ripetizione di condotte illecite, seppur simili e distanziate nel tempo, non integri automaticamente un unico disegno criminoso, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di calcolo della pena.

Quando un testimone è considerato “irreperibile” ai fini della lettura in dibattimento delle sue dichiarazioni?
Un testimone è considerato “irreperibile” quando, nonostante ricerche accurate e adeguate, risulta materialmente impossibile rintracciarlo fisicamente o condurlo in giudizio, anche coattivamente. Questa è un’impossibilità di fatto, non una nozione puramente tecnica, e la sua valutazione è rimessa al giudice di merito.

La testimonianza diretta degli agenti di polizia è sufficiente per una condanna per spaccio?
Sì. Secondo la sentenza, la deposizione degli agenti che hanno constatato “de visu” (cioè direttamente con i propri occhi) la cessione dello stupefacente e hanno riconosciuto l’imputato costituisce un elemento di prova solido e sufficiente per fondare un’affermazione di responsabilità, anche in assenza della testimonianza dell’acquirente.

Qual è la differenza tra “reato continuato” e “abitualità criminale” secondo la Corte?
Il “reato continuato” richiede un unico disegno criminoso, cioè una programmazione iniziale di tutti i reati commessi. L'”abitualità criminale”, invece, è l’espressione di una tendenza a delinquere, una scelta di vita criminale in cui i reati sono commessi in modo contingente e sistematico, ma senza una pianificazione unitaria ab origine. Un notevole lasso di tempo tra un reato e l’altro è un forte indicatore contro l’ipotesi del reato continuato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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