Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1912 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1912 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME FILOFTEIA IONELA (CUI CODICE_FISCALE) nata il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 16/01/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato le istanze di affidamento in prova al servizio sociale e di detenzione domiciliare, presentate da NOME condannata per il reato di cui all’art. 497-bis cod. pen., commesso nell’anno 2019, a carico della quale risulta da espiare la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione. Tali richieste non sono state ritenute meritevoli di accoglimento, in considerazione dello stato di irreperibilità nel quale versava la condannata e, consequenzialmente, della impossibilità di effettuare qualunque accertamento istruttorio, nonché, infine, in considerazione del disinteresse manifestato dalla medesima, rispetto al procedimento. Quanto al profilo dell’irreperibilità, le Forze dell’ordine, recates presso l’indirizzo nel quale l’istante aveva chiesto di espiare la pena (ubicato in Orta Nova, alla INDIRIZZO), hanno accertato come la donna – oltre a risultare non presente in quella residenza – non risulti nemmeno censita presso il Comune. I militari, inoltre, non hanno potuto reperire alcuna persona convivente, o qualsivoglia familiare della condannata; è rimasto ignoto, altresì, l’attuale luogo di dimora della stessa. Per tale motivo, è stato redatto un verbale di vane ricerche, a seguito del quale il decreto di citazione per l’udienza dinanzi al giudice a quo è stato notificato al difensore di fiducia, nella qualità di domiciliatario. Dal certificato penale è infine emersa – a carico della COGNOME – la pendenza di un procedimento instaurato per evasione, sospeso a causa della irreperibilità della stessa.
Ricorre per cassazione NOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, deducendo un motivo unico – sebbene articolato sotto un duplice profilo di doglianza – che viene di seguito riassunto entro i limit strettamente necessari per la motivazione, a norma dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., mediante il quale viene anzitutto denunciata la nullità dell’ordinanza impugnata, per difetto di notifica all’interessata dell’avviso di fissazio dell’udienza. Le ricerche effettuate per rintracciare la NOME sono state largamente insufficienti, tanto che la medesima era stata regolarmente individuata, all’atto della notifica dell’ordine di esecuzione e, successivamente, al momento della notifica del provvedimento di rigetto, emesso dal Tribunale di sorveglianza. A tale vizio consegue – in ipotesi difensiva – l’illegittimità provvedimento anche nel merito, posto che l’unico motivo di rigetto della richiesta consisteva nella paventata, ma insussistente, condizione di irreperibilità della condannata. Lamenta poi la difesa come alla condannata non sia stato correttamente notificato l’avviso di fissazione dell’udienza camerale dinanzi al
Tribunale di sorveglianza e, pertanto, non le sia stata data la possibilità di presenziare all’udienza medesima (per esser stata effettuata la notifica presso lo studio del difensore, a norma dell’art. 161, comma 4 cod. proc. pen., piuttosto che presso il nuovo domicilio indicato).
Il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, avendo l’ordinanza compiutamente motivato, in ordine all’irreperibilità della condannata.
In data 17/08/2023 è pervenuta una memoria, allegata alla quale il difensore ha depositato – a supporto delle argomentazioni contenute nell’impugnazione – il provvedimento con il quale il Tribunale di sorveglianza di Milano, in data 20/03/2023, su richiesta della Procura della Repubblica del Tribunale di Como, ha disposto la sospensione dell’efficacia dell’ordinanza impugnata, ravvisando il periculum in mora nella carcerazione dell’esecutata, nonché il fumus boni iuris. Il Tribunale ha osservato che – in data 04/11/2022, ossia nelle more della fissazione dell’udienza, all’esito della quale l’ordinanza impugnata veniva pronunciata – era pervenuta una seconda istanza di misura alternativa inoltrata dalla ricorrente, nella quale veniva eletto un diverso domicilio (sito in INDIRIZZO Sant’Antonio, alla INDIRIZZO), laddove le ricerche non erano state estese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
L’art. 677, comma 2-bis, cod. proc. pen. prevede che, al procedimento avente ad oggetto l’applicazione di misura alternativa alla detenzione, debbano essere applicate le disposizioni dettate dall’art. 161 cod. proc. pen.; nel caso di inidoneità, insufficienza o mancanza della dichiarazione o elezione di domicilio, dunque, le notificazioni devono essere eseguite mediante consegna al difensore. (Sez. 1, n. 26334 del 11/04/2023, COGNOME, Rv. 284890). Grava dunque sul condannato l’onere, secondo la medesima disposizione codicistica sopra citata, di dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni, nonché di comunicare all’Autorità procedente ogni mutamento del dornicilio dichiarato o eletto.
2.1 Secondo quanto emergente dagli atti, che il Collegio è legittimato a compulsare in ragione della natura processuale della censura (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092), la condannata, richiedente dallo stato
di libertà una misura alternativa alla detenzione, non ha comunicato nell’ambito del presente procedimento – l’asserito mutamento di domicilio.
2.2. Secondo il giudizio del Tribunale di sorveglianza di Milano, l’onere di dichiarare o eleggere domicilio, previsto a pena di inammissibilltà, è stato invece soddisfatto, risultando la ricorrente domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia, laddove la notifica dell’avviso di fissazione di udienza è stata effettuata. L’elezione di domicilio non risulta dagli atti disponibili a questa Corte, ma è riconosciuta dal Tribunale di sorveglianza, con giudizio non osteggiato dalla ricorrente.
2.3. La prima questione sollevata dalla difesa inerisce, dunque, alla possibilità che una seconda istanza di misura alternativa – del tutto slegata dalla prima e nella quale si indichi un domicilio diverso, rispetto a quello originariamente indicato – possa svolgere la funzione di comunicare procedente l’avvenuto mutamento del domicilio dichiarato o eletto, quantomeno laddove la seconda istanza risulti versata nell’incarto processuale; deriverebbe da ciò, secondo la tesi prospettata dalla difesa, la nullità dell’avviso notificato al primo domicilio eletto, in quanto divenuto non più attuale. Giova tuttavia osservare, in chiave dirimente, che – secondo una consolidata giurisprudenza di legittimità, alla quale questo Collegio intende dare continuità (Sez. U, n. 7697 del 24/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269028-01; Sez. 2, n. 48610 del 23/10/2019, COGNOME, Rv. 277932-01; Sez. 2, n. 48260 del 23/09/2016, COGNOME, Rv. 268431-01) – l’eventuale nullità, conseguente alla notificazione all’interessato dell’atto di citazione presso lo studio del difensore di fiducia, anziché presso il domicilio dichiarato, assumerebbe comunque la connotazione della nullità di ordine generale a regime intermedio, in quanto detta notificazione – anche a volerla considerare irritualmente eseguita – non sarebbe idonea a precludere la conoscenza dell’atto, da parte dell’interessato medesimo, in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore (Sez. 1, n. 189 del 22/09/2021, dep. 2022, Ligabue, n. m.). E dunque, la pretesa nullità odierna, in quanto asseritamente verificatasi in un momento antecedente, rispetto alla celebrazione dell’udienza, sarebbe ormai sanata a norma dell’art. 180 cod. proc. pen., per non essere stata dedotta prima della deliberazione del provvedimento, adottato all’esito dell’udienza stessa (Sez. 1, n. 29647 del 29/04/2022, COGNOME, n.m.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.4. La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente chiarito come la inammissibilità della richiesta di misura alternativa, proveniente da condannato non detenuto, in caso di omessa dichiarazione o elezione di domicilio, a norma dell’art. 677, comma 2-bis, cod. proc. pen., non possa essere traslata alla diversa ipotesi della omessa comunicazione del mutamento del domicilio dichiarato o eletto (Sez. 1, n. 10739 del 27/01/2009, Raffio, Rv, 242882; Sez. 1,
n. 15137 del 03/03/2011, COGNOME, Rv. 249738; Sez. 1, n. 48337 del 13/11/2012, Sarr, Rv. 253977; Sez. 1, n. 26334 del 11/04/2023, NOME, Rv. 284890).
2.5. Del tutto differente, però, è la situazione ora sottoposta al vaglio d questa Corte. Nel caso di specie, infatti, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato (non dichiarato inammissibili) le istanze di affidamento in prova a servizi sociali e di detenzione domiciiliare, sul presupposto della non nneritevolezza della prevenuta; l’attuale condizione di irreperibilità del condannata, infatti, impediva l’effettuazione dei necessari accertamenti istruttori, oltre a risultare chiaramente evocativa della mancanza di interesse della richiedente, nei confronti della procedura. Ha dunque spiegato il Tribunale di sorveglianza, adottando un apparato argomentativo logico, congruente, privo di contraddittorietà e, in quanto tale, destinato a restare al riparo da qualsivogli stigma in sede di legittimità, come la irreperibilità valga a rendere radicalmente insussistenti le condizioni concrete di applicabilità delle misure alternativ incidendo sulla effettività e praticabilità delle stesse, soprattutto sotto il pr della impossibilità di attuazione della doverosa vigilanza.
2.6. La decisione negativa sussunta nell’ordinanza impugnata, in ordine alla richiesta di misure alternative, si allinea del resto ad un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, a mente del quale la mancanza di una stabile e conosciuta residenza inibisce il necessario supporto ed il costante controllo, ad opera del servizio sociale e del magistrato di sorveglianza del luogo, competente ad adeguare le prescrizioni alle concrete esigenze trattamentali attinenti al condannato. Tale beneficio, infatti, postula un contatto diretto e continuo, fra l persona fisica dell’interessato ed il servizio sociale al quale – a norma dell’ar 47, nono comma, Ord. pen. – spetta il compito di controllare la condotta del soggetto, nonché di aiutarlo a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale. Risulta del tutto legittimo, pertanto, il rigetto della richiesta, laddove decisione sia basata sulla irreperibilità della persona condannata, ossia su una mancanza di stabile residenza, atta a incidere negativamente sulla effettività della misura alternativa invocata (Sez. 1, n. 4023 del 14/10/1992, Rv. 192363; Sez. 1, n. 27347 del 17/05/2019, Lupu, Rv. 276198).
2.7. Nel caso di specie, in definitiva, ciò che viene in rilievo non è il pro della necessità di una reperibilità di tipo processuale, da soddisfare mediante l’onere – previsto sotto comminatoria di inammissibilità – di dichiarare o eleggere domicilio al momento della presentazione della domanda, bensì il diverso tema della reperibilità di tipo sostanziale. Sotto quest’ultimo aspetto, la mancat comunicazione del mutamento del domicilio incide profondamente, in punto di possibilità di mantenimento dei contatti del condannato con il servizio sociale, oltre che di possibilità di espletamento dei necessari controlli, finalizzati
verifica del rispetto delle prescrizioni e della prosecuzione del percorso di risocializzazione e reinserimento. Non risultando effettuata, nella presente procedura, tale comunicazione di mutamento del domicilio della NOME, la decisione reiettiva impugnata si appalesa giuridicamente ineccepibile.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; segue ex lege la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che di una somma, che si stima equo fissare in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende (non ricorrendo elementi per ritenere la ricorrente esente da colpe, nella determinazione della causa di inammissibilità, conformemente a quanto indicato da Corte cost., sentenza n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2023.