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Irreperibilità di fatto: no alla misura alternativa

La Corte di Cassazione ha confermato il rigetto di un’istanza di affidamento in prova al servizio sociale a causa dell’irreperibilità di fatto del condannato. La mancanza di una residenza stabile e di un progetto di reinserimento sociale, secondo i giudici, rende impossibile l’applicazione della misura, a prescindere da una formale dichiarazione di irreperibilità processuale.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Irreperibilità di Fatto: Quando la Mancanza di Residenza Stabile Blocca le Misure Alternative

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale nel percorso di rieducazione del condannato, ma la sua concessione è subordinata a precise condizioni. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 20708/2024) ha chiarito un punto cruciale: l’irreperibilità di fatto del richiedente, intesa come assenza di una dimora stabile, costituisce un ostacolo insormontabile all’applicazione della misura, anche senza una formale dichiarazione di irreperibilità processuale.

I Fatti del Caso: Una Richiesta di Affidamento Respinta

Un uomo, condannato a scontare una pena di due anni e tre mesi di reclusione, presentava istanza di affidamento in prova al servizio sociale. Il Tribunale di Sorveglianza di Napoli respingeva la richiesta, motivando la decisione sulla base di una serie di elementi negativi: lo stato di irreperibilità del soggetto, l’assenza di un domicilio, la mancanza di un’attività lavorativa o di volontariato e, di conseguenza, l’impossibilità di formulare una prognosi positiva sul suo percorso di reinserimento.

Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso per cassazione tramite il suo difensore, lamentando sia vizi procedurali (omessa notifica dell’udienza) sia un’illogicità della motivazione. La difesa sosteneva che il proprio assistito non fosse affatto irreperibile, essendo regolarmente residente in un comune italiano dal 2008, in possesso di una carta di soggiorno e avendo sempre lavorato.

La Questione dell’Irreperibilità di Fatto e la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo un’importante chiave di lettura sulla differenza tra irreperibilità processuale e sostanziale. Secondo gli Ermellini, il Tribunale di Sorveglianza non ha basato la sua decisione sulla mancanza di elezione di domicilio per le notifiche (profilo processuale), ma sulla constatazione di una irreperibilità di fatto, ovvero l’impossibilità di localizzare il condannato in un contesto di vita stabile.

La Distinzione Cruciale: Irreperibilità Processuale vs. Sostanziale

La Corte chiarisce che una cosa è la reperibilità ai fini delle notifiche degli atti giudiziari, che può essere soddisfatta con l’elezione di domicilio presso il difensore (come avvenuto nel caso di specie). Tutt’altro è la reperibilità sostanziale, necessaria per l’attuazione di una misura alternativa. L’affidamento in prova, infatti, postula un contatto diretto e continuo tra il condannato, il servizio sociale e il magistrato di sorveglianza. Questo contatto è essenziale per monitorare la condotta del soggetto, aiutarlo a superare le difficoltà di adattamento e adeguare le prescrizioni al suo percorso.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La decisione della Cassazione si fonda sul principio che la mancanza di una stabile e conosciuta residenza rende inattuabile il progetto di reinserimento sociale. Il Tribunale aveva correttamente rilevato che il soggetto risultava irreperibile nel suo comune di residenza e sembrava essersi trasferito all’estero, senza fornire alcun diverso domicilio in Italia o un progetto concreto di sostegno. Le allegazioni della difesa, come il possesso di un permesso di soggiorno, sono state ritenute inconferenti perché non dimostravano un effettivo inserimento in un ambiente stabile né la presenza di un’attività lavorativa documentata.

Il rigetto dell’istanza non è quindi una sanzione per un vizio formale, ma la logica conseguenza dell’assenza dei presupposti sostanziali per l’effettività della misura. Senza una base territoriale certa, il servizio sociale non può svolgere le sue funzioni di controllo e supporto, e la misura alternativa perderebbe la sua finalità rieducativa.

Le Conclusioni: Le Implicazioni per le Misure Alternative

Questa sentenza ribadisce un principio consolidato: per accedere a benefici come l’affidamento in prova, non basta essere formalmente reperibili per il procedimento, ma è indispensabile dimostrare di avere una base di vita stabile. L’irreperibilità di fatto viene considerata un elemento che incide negativamente sulla prognosi di reinserimento, poiché segnala una mancanza di radicamento sociale e di affidabilità. La decisione sottolinea che il giudice, nel valutare l’istanza, deve basarsi su elementi concreti che attestino un progetto di vita orientato al rispetto della legge, progetto che non può prescindere da una residenza stabile e da un contesto sociale e lavorativo definito.

La mancanza di una residenza stabile può impedire la concessione dell’affidamento in prova?
Sì. Secondo la sentenza, l’irreperibilità di fatto, intesa come mancanza di una stabile e conosciuta residenza, è un motivo legittimo per rigettare la richiesta, poiché impedisce il necessario supporto e controllo da parte dei servizi sociali, minando l’effettività della misura.

È necessaria una dichiarazione formale di irreperibilità per negare una misura alternativa?
No. La Corte ha chiarito che il rigetto non si basava su una dichiarazione formale di irreperibilità processuale, ma sulla constatazione di un’irreperibilità di fatto del soggetto, cioè sulla sua concreta impossibilità di essere localizzato in un contesto di vita stabile.

L’elezione di domicilio presso l’avvocato è sufficiente a dimostrare la propria reperibilità per ottenere una misura alternativa?
No. L’elezione di domicilio è sufficiente per la validità delle notifiche processuali, ma non soddisfa il requisito della reperibilità sostanziale, che è fondamentale per l’esecuzione della misura alternativa e richiede un contatto diretto e continuo con il condannato nel suo ambiente di vita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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