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Ipotesi lieve stupefacenti: quando la quantità esclude?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di stupefacenti. La richiesta di qualificare il reato come ipotesi lieve stupefacenti è stata respinta a causa dell’ingente quantitativo di dosi ricavabili (2340), ritenuto un indice di offensività incompatibile con la fattispecie di minor gravità, a prescindere dalla bassa percentuale di principio attivo. La Corte ha confermato che un dato ponderale così significativo è sufficiente a escludere la lieve entità del fatto.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ipotesi Lieve Stupefacenti: La Cassazione Sancisce l’Importanza della Quantità

In materia di reati legati agli stupefacenti, la distinzione tra un fatto grave e uno di lieve entità è cruciale e può cambiare radicalmente l’esito di un processo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per qualificare un reato come ipotesi lieve stupefacenti, l’offensività della condotta deve essere minima. Nel caso esaminato, la Corte ha chiarito che un quantitativo di sostanza capace di produrre migliaia di dosi è un fattore determinante che, da solo, può escludere la lieve entità, anche a fronte di una bassa qualità della droga.

I Fatti del Caso: Traffico di Cocaina e la Richiesta di Riqualificazione

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per detenzione ai fini di spaccio di un quantitativo di cocaina. Dalla sostanza sequestrata, sebbene con un principio attivo relativamente basso (pari al 20%), era possibile ricavare ben 2340 dosi medie singole. La difesa dell’imputato aveva basato il ricorso su tre punti principali:

1. La richiesta di riqualificazione del reato: Si sosteneva che il fatto dovesse essere classificato nella cosiddetta ipotesi lieve stupefacenti, prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti, proprio in virtù dello “scadente profilo qualitativo” della sostanza.
2. La concessione delle attenuanti generiche: Si chiedeva una riduzione della pena in virtù della confessione resa, delle difficoltà linguistiche dell’imputato (cittadino extracomunitario) e dei precedenti penali considerati risalenti e non specifici.
3. La determinazione della pena: Si contestava la pena base applicata e il conseguente diniego della possibilità di accedere a pene sostitutive al carcere.

La Corte d’Appello aveva già respinto tutte queste richieste, sottolineando come l’enorme numero di dosi ricavabili dimostrasse una notevole facilità di approvvigionamento e contatti con ambienti criminali, elementi incompatibili con una “trascurabile offensività”.

La Questione dell’Ipotesi Lieve Stupefacenti Davanti alla Cassazione

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che i motivi proposti dalla difesa fossero generici e riproponessero questioni già correttamente valutate e respinte nei gradi di merito. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire i criteri interpretativi per l’applicazione dell’ipotesi lieve stupefacenti. La legge richiede una valutazione complessiva che tenga conto dei mezzi, delle modalità, delle circostanze dell’azione, nonché della qualità e quantità delle sostanze.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha spiegato che, sebbene la valutazione debba essere globale, la presenza di un indice particolarmente negativo può essere sufficiente a escludere la lieve entità. Nel caso di specie, il “dato ponderale” – ovvero l’enorme numero di dosi – è stato considerato un elemento talmente significativo da risultare “negativamente assorbente” rispetto agli altri parametri. Un numero così elevato di dosi, secondo la Corte, presuppone un’organizzazione e un inserimento in contesti criminali che rendono la condotta tutt’altro che lieve.

Per quanto riguarda le attenuanti generiche, i giudici hanno ribadito che la loro concessione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale aveva legittimamente motivato il diniego sulla base della “negativa personalità” desunta dai precedenti penali dell’imputato. Infine, la richiesta di pene sostitutive è stata correttamente respinta in applicazione della legge (art. 20-bis c.p.), che le consente solo per condanne non superiori a quattro anni di reclusione, soglia superata nel caso in esame.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso: ai fini del riconoscimento dell’ipotesi lieve stupefacenti, non è possibile “compensare” un dato quantitativo allarmante con altri elementi potenzialmente favorevoli, come la bassa qualità della sostanza. La capacità di immettere sul mercato migliaia di dosi è un indicatore di pericolosità sociale che, di per sé, giustifica una risposta sanzionatoria severa. La decisione serve da monito: la valutazione della lieve entità non è un mero calcolo matematico, ma un giudizio sull’offensività complessiva del fatto, dove la quantità gioca un ruolo preponderante.

Quando un reato di spaccio può essere considerato di “lieve entità”?
Un reato di spaccio può essere considerato di lieve entità solo quando l’offensività penale della condotta è minima. La valutazione si basa su diversi parametri (qualità, quantità, mezzi, modalità), ma secondo questa ordinanza, un dato eccezionalmente negativo, come un numero molto elevato di dosi ricavabili, è sufficiente da solo a escludere tale qualificazione.

Una confessione garantisce il riconoscimento delle attenuanti generiche?
No. La Corte ha ribadito che la concessione delle attenuanti generiche è una valutazione discrezionale del giudice di merito. Quest’ultimo può negarle, anche in presenza di una confessione, se ritiene prevalenti altri elementi negativi, come i precedenti penali o la personalità complessiva dell’imputato.

Perché è stata negata la pena sostitutiva anche se richiesta?
La pena sostitutiva (es. detenzione domiciliare) è stata negata perché la legge la prevede solo per condanne alla reclusione non superiori a quattro anni. Poiché in questo caso la pena inflitta era superiore a tale limite, il diniego è stato una conseguenza automatica e non una scelta discrezionale del giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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