Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25144 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25144 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/02/2025
SENTENZA
sui ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a ROMA il 26/09/1977
avverso la sentenza del 05/07/2024 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
Il Procuratore Generale conclude per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla rideterminazione della pena e per il rigetto nel resto.
Per il ricorrente NOME è presente il difensore di fiducia avvocato COGNOME del foro di ROMA il quale dopo aver illustrato i motivi del gravame, insiste – nell’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME impugna la sentenza n. 8362/2024 della Corte d’Appello di Roma emessa in data 05/07/2024, depositata in data 03.10.2024, con la quale è stata integralmente confermata la sentenza di condanna pronunciata in primo grado dal Tribunale ordinario di Velletri, per i reati di cui all’art. 589, comma 2 (nella formulazione vigente prima della modifica introdotta dalla I. n. 41/2016), e comma 3, cod.pen. (corrispondente al vigente comma 4). Il ricorrente, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime dì prevalenza sulla contestata aggravante, è stato condannato alla pena di mesi cinque di reclusione, condizionalmente sospesa, oltre al pagamento delle spese processuali, con la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida, ai sensi dell’art. 222 cod. strada, per il periodo di tre mesi.
Con un primo motivo, articolato in vari punti, lamenta il ricorrente, innanzi tutto, l’erronea applicazione della legge penale e il difetto di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione al profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa generica e specifica, in violazione dell’art. 43, comma primo, cod. pen. e degli artt. 140 e 154 cod. strada, nonché in relazione alla sussistenza del nesso di causalità giuridica tra la condotta e l’evento, in violazione degli artt. 40 e 41, comma 2, cod. pen.., nonché dell’art. 154, commi 1 e 3, lett. c), cod. strada, non specificatamente contestato nell’editto accusatorio.
Sul piano della ricostruzione dei fatti, a parere del ricorrente, emerge univocamente dalle due sentenze di merito che l’autovettura condotta da NOME COGNOME era in sosta in Anzio, INDIRIZZO nei pressi del civico INDIRIZZO, sul margine destro della corsia con direzione Lavinio-Anzio centro, con la parte frontale rivolta verso Anzio Centro e la parte posteriore verso Lavinio, quando, nel tentativo di immettersi nel flusso della circolazione ed effettuare un’inversione ad “U”, l’auto di COGNOME collideva con la propria parte laterale sinistra con la moto Suzuki condotta dalla vittima COGNOME che percorreva INDIRIZZO
Marconi con direzione Lavinio-Anzio centro. Dalle tracce di frenata della moto è anche emerso che quest’ultima viaggiava al centro della carreggiata, sulla linea di mezzeria, evidentemente perché, come riferito dalle teste NOME, stava sorpassando un’auto che, nel percorrere INDIRIZZO sempre in direzione Lavinio-Anzio centro, si era fermata per consentire alla Smart condotta dal ricorrente di effettuare l’inversione ad “U” (v. pagg. 5-6, sentenza di primo grado; pagg. 3-4 sentenza di appello).
A parere del ricorrente, la sentenza impugnata, letta congiuntamente a quella emessa dal Tribunale in primo grado, presenta un impianto motivazionale inficiato da un’erronea applicazione degli artt. 43, comma 1, e 589, comma 2, cod.pen., nonché degli artt. 140 e 154 cod.strada, nella parte in cui si afferma la sussistenza del coefficiente soggettivo della colpa, sia generica che specifica, nella condotta di guida ascritta all’imputato, non avendo i giudici di merito fatto corretta applicazione dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità colposa connessa alla violazione di norme sulla circolazione stradale.
In primo luogo, entrambe le sentenze contengono una mera elencazione delle norme cautelari asseritamente violate dall’imputato, senza, tuttavia, che tali parametri normativi, come tali astratti, siano stati poi calati nella concretezza del fatto storico – come ricostruito all’esito dell’istruttoria al fine di specificare sotto quali profili la manovra eseguita da Massa si sarebbe posta in contrasto con le regole prudenziali, semplicemente, enumerate dai giudici di merito.
A tal proposito, evidenzia il ricorrente che, mediante i motivi di appello, la sentenza di primo grado è stata censurata proprio nella parte in cui ometteva del tutto di confrontarsi con le disposizioni di legge che conferivano piena legittimità alla manovra di inversione eseguita dall’imputato nel tratto stradale interessato dal successivo impatto con il motoveicolo condotto dalla persona offesa (v. pag. 8, atto di appello).
A tale riguardo è stato dedotto che dalle risultanze istruttorie acquisite in dibattimento è emerso pacificamente che:
GLYPH la manovra di inversione ad “U” è stata eseguita su un tratto urbano del tutto privo di segnaletica sia orizzontale che verticale;
GLYPH l’imputato ha tempestivamente manifestato la sua intenzione di immettersi nel flusso di circolazione con l’apposito dispositivo di segnalazione, inserendo la freccia a sinistra;
la manovra è stata eseguita dall’imputato solo dopo essersi assicurato che i veicoli provenienti da entrambi i sensi di circolazione, da Lavinio verso Anzio centro e viceversa, si fossero fermati per favorire l’uscita della sua auto Smart dall’area di parcheggio. Pertanto, le stesse risultanze istruttorie hanno fornito un adeguato riscontro circa la regolarità della manovra e la conformità del comportamento tenuto dall’imputato alle regole cautelari prescritte proprio dall’art. 154 cod. strada, secondo cui i conducenti che intendono eseguire le manovre in esame sono tenuti ad “assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada” (comma 1), nonché “a segnalare con sufficiente anticipo la loro intenzione” con i dispositivi direzionali (comma 3 lett. c).
Tali profili, pur dedotti nei motivi d’appello, secondo il ricorrente, sono stati integralmente obliterati dalla Corte territoriale, la quale si è limitata ad evocare genericamente il parametro normativo astratto della massima prudenza da osservare quando si eseguono manovre di questo tipo, senza, tuttavia, specificare in cosa si sia concretizzata, nel caso di specie, la scarsa attenzione o cautela da parte dell’imputato.
Appare dunque evidente, secondo il ricorrente, il vizio logico in cui sono incorsi i giudici di merito, i quali hanno sostanzialmente finito per asserire la violazione delle regole prudenziali soltanto ex post, alla luce del sinistro avvenuto, e non ex ante, come prescritto dalla consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di sussistenza della colpa, sia generica che specifica.
Invero, merita di essere segnalata la regula iuris affermata dalla Corte di cassazione, pronunciandosi su una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in esame (ove veniva contestata la violazione dell’art. 154 C.d.s. nei confronti del conducente di un autoarticolato impegnato in una manovra di inversione di marcia, seguita dalla collisione con un ciclista con esito mortale), con la quale è stata censurata la motivazione resa dai giudici di merito, in ragione del fatto che “non si può desumere ex post l’assenza delle necessarie cautele da parte dell’imputato dal fatto storico che si sia verificato l’incidente” (Sez. 4, n. 36538 del 22/09/2021; sez. 4, n. 10223 del 20/01/2005, Rv. 231145-01). In altri termini, ritiene la difesa, non può desumersi dal semplice verificarsi del fatto-sinistro-decesso la conseguenza che l’imputato avrebbe
negligentemente omesso di adottare le doverose cautele necessarie per evitare l’evento infausto.
Affermare, di contro, come si legge nella sentenza di primo grado, che l’imputato “uscendo dal parcheggio e compiendo con la propria autovettura una manovra di inversione di marcia sulla pubblica via senza prima assicurarsi che non stesse sopraggiungendo dalle sue spalle un altro veicolo, con il quale poi entrava in collisione, ha violato l’art. 140 D. L. vo 285/92 ha inoltre violato l’art. 154 cds commi I e 3 lett. c)”, lascia intendere come i giudici di merito abbiano desunto a posteriori, ossia dal semplice verificarsi dell’impatto tra i veicoli, che l’imputato avesse colposamente violato le regole prudenziali evocate nell’impianto motivazionale in ragione, esclusivamente, della tipologia di manovra eseguita.
L’erroneità di simile giudizio valutativo non è stata colmata dalla Corte territoriale che, in modo del tutto apodittico ha parimenti affermato che “nel caso in esame, nessuna particolare prudenza, nell’effettuare la manovra, è stata posta in essere dall’imputato, il quale, ha impattato il motociclo condotto dal COGNOME, il quale per effetto dell’urto, è stato sbalzato via dal mezzo” (v. pag. 7, sentenza impugnata).
Altro punto del medesimo motivo di ricorso aggredisce la motivazione nella parte in cui non è stata sufficientemente individuata e circostanziata la condotta alternativa lecita che l’automobilista avrebbe dovuto tenere per scongiurare la verificazione dell’evento infausto (causalità della colpa).
Come dedotto nei motivi d’appello, nel caso di specie, era prasseologicamente ineseguibile qualsiasi manovra di emergenza da parte dell’imputato per far fronte alla grave condotta colposa del motociclista che, anzi, la repentinità della manovra di sorpasso eseguita dalla persona offesa portava ragionevolmente ad escludere che l’imputato versasse nella concreta possibilità di prevedere il sopraggiungere del motoveicolo della vittima e il relativo pericolo di collisione, una volta intrapresa e quasi ultimata la regolare immissione nel flusso di circolazione (v. pag. 9, atto di appello). La motivazione resa dalla Corte territoriale appare illogica nonché parziale ed insufficiente, nella misura in cui si limita ad affermare apoditticamente la responsabilità colposa dell’imputato, perché “se avesse con prudenza, l’impatto con la Suzuki non si sarebbe mai verificato, o comunque la motocicletta si sarebbe potuta arrestare in uno spazio più ristretto, tale da impedire la collisione o in ogni caso da provocare danni di gran lunga inferiori a quelli provocati e certamente non mortali” (v. pag. 9, sentenza d’appello).
I giudici di merito sono incorsi in una evidente violazione dei principi dettati da codesta Suprema Corte in punto di giudizio controfattuale e sulla
scorta dei quali “in tema di omicidio colposo – l’elemento soggettivo del reato richiede, non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine (cosiddetto comportamento alternativo lecito), non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato (Sez. 4, n. 7783 del 1 1/02/2016, COGNOME, Rv. 266356), con valutazione che deve essere particolarmente rigorosa quando, come nel caso di specie, si assume la violazione di una regola cautelare di tipo “elastico”3” (così, Sez. 4, n. 7783 del 1 1/02/2016, COGNOME, Rv. 266356, fattispecie in cui veniva contestata la violazione dell’art. 140 cod.strada). Ancora, la sentenza impugnata non ha applicato correttamente l’ulteriore canone ermeneutico dettato dalla giurisprudenza di legittimità, segnatamente del principio in base al quale “in tema di responsabilità colposa da sinistri stradali, il conducente di un veicolo non può essere chiamato a rispondere delle conseguenze lesive di uno scontro per non avere posto in essere una determinata manovra elusiva, qualora si sia venuto a trovare in una situazione di pericolo improvvisa dovuta all’altrui condotta di guida illecita, non utilmente ed agevolmente percepibile, tenuto conto dei tempi di avvistamento, della repentinità della condotta del soggetto antagonista, dei concreti spazi di manovra e dei necessari tempi di reazione psicofisica” (Sez. 4, n. 29442 del 24/06/2008, Rv. 241896; sez. 4, n. 16096 del 20/02/2018, Rv. 272479). Rileva la difesa che la motivazione complessivamente resa dai giudici di merito abbia del tutto omesso di dare conto dei suddetti elementi di fatto, così come imposti dal diritto vivente, in ordine all’effettiva percepibilità del pericolo e della repentinità della condotta del motociclista, oltre che della sussistenza di un effettivo spazio fisico per poter mettere in atto una manovra salvifica da parte dell’imputato, neppure individuata compiutamente nella sentenza impugnata, né da quella di primo grado, così come dedotto mediante i motivi di appello.
Altri vizi motivazionali e di erronea applicazione della legge penale, vengono esposti in altro punto del primo motivo di ricorso, circa la parte in cui la motivazione esclude che, nel caso di specie, possa venire in rilievo il principio di affidamento.
La difesa contesta quanto sostenuto dalla decisione di primo grado (“la condotta di guida di un motociclista che sorpassi sulla sinistra delle auto incollanate e ferme per qualsivoglia impedimento sulla corsia di marcia costituisce una condotta del tutto prevedibile e certamente non eccezionale”, vedi pag. 9 della sentenza d’appello), che si pone in evidente contrasto con le regole che delimitano la portata applicativa del principio di affidamento
nell’ambito della circolazione stradale, espressione del più generale principio costituzionalmente posto della responsabilità penale personale dell’imputato. Il passaggio motivazionale contenuto nella sentenza impugnata, sopra riportato, secondo il ricorrente, rende evidente come i giudici di merito si siano limitati a svolgere una valutazione meramente astratta e generica di “prevedibilità” della manovra di sorpasso effettuata dal ciclomotorista, trattata alla stregua di un fatto notorio nella circolazione stradale, di per sé sempre preventivabile da parte degli altri utenti della strada.
18. Il ragionamento svolto dalle decisioni di merito si presenta, dunque, incompleto e illogico, a parere della difesa, posto che si sarebbe dovuto verificare, secondo un giudizio da compiersi ex ante ed in concreto, se il comportamento imprudente del ciclomotorista fosse, nel caso di specie, realmente prevedibile da parte dell’imputato, il quale era già impegnato ad ultimare la manovra di inversione favorita dagli altri utenti nella strada.
La diligenza richiesta al conducente che si immette nella circolazione non può, evidentemente, estendersi fino alla previsione di una condotta del conducente antagonista talmente incauta o atipica da presentare profili di abnormità, come adeguatamente riscontrato nel caso di specie.
19. Sotto un ulteriore e connesso profilo, la sentenza impugnata deve esse censurata nella parte in cui ha escluso la portata interruttiva del comportamento colposo del conducente del motoveicolo nella dinamica eziologica del sinistro, in violazione degli artt. 40, 41, comma 2, cod.pen., su cui la Corte territoriale si è limitata apoditticamente ad affermare che sussiste la responsabilità colposa dell’imputato, in quanto il comportamento posto in essere dalla vittima non avrebbe assunto i caratteri di eccezionalità e abnormità tali integrare la causa da sola sufficiente a determinare l’impatto tra i veicoli coinvolti (vedi pag. 8 sentenza d’appello). Secondo il ricorrente, il ragionamento contenuto nella sentenza cristallizza il problema della causalità al frangente dell’impatto tra i due veicoli, ma non esplora affatto, nel bilanciare gli apporti offerti dai due conducenti antagonisti, la rilevanza interruttiva condotta di guida del motociclista vittima.
20. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l’inosservanza della legge processuale e il difetto assoluto di motivazione ai sensi degli artt. 606, comma 1, lett. c) e 125, comma 3, cod.proc.pen., in ordine alla riconosciuta responsabilità dell’imputato per il delitto di lesioni personali colpose di cui agli artt. 590, 589, comma 3, c.p. (corrispondente al vigente comma 4), in violazione degli artt. 129, 429, comma 1, lett. c), 529 e 533 cod.proc.pen., in quanto reato non oggetto di contestazione all’interno del decreto che dispone il giudizio, con conseguente nullità della sentenza che in parte qua ha
riconosciuta la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di lesioni personali colpose in danno di NOME ai sensi degli artt. 590 e 589, comma 3, cod.pen. (corrispondente all’attuale comma 4 della medesima disposizione), per mancanza di contestazione del reato nell’imputazione contenuta all’interno del decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429, comma 1, lett. c), cod.proc.pen..
21. Il ricorrente evidenzia che dalla semplice lettura del decreto emesso dal giudice dell’udienza preliminare di Velletri in data 28/03/2018 si evince, inequivocabilmente che la contestazione della fattispecie di cui all’art. 589, comma 3, cod.pen. (nel testo vigente all’epoca del fatto per cui si procede), originariamente contenuta all’interno della richiesta di rinvio a giudizio, è stata espressamente esclusa in ragione della rilevata mancanza della condizione di procedibilità, ossia della querela della persona offesa per le lesioni cagionate nei confronti di NOME COGNOME. In particolare, nel decreto emesso ex art. 429 c.p.p. il giudice ha così statuito: “rilevato che, in difetto di querela, manca una condizione di procedibilità per le lesioni cagionate nei confronti di NOME COGNOME, dispone il rinvio a giudizio dell’imputato per il reato di cui all’epigrafe, previa espunzione del riferimento al terzo comma dell’art. 589 c.p.”. Dunque, nel giudizio di primo grado, l’azione penale non poteva essere iniziata né tantomeno, come avvenuto, proseguita, con conseguente nullità della sentenza in parte qua e illegittimità della relativa porzione di pena, pari a mesi uno dì reclusione irrogata dal giudice di primo grado (v. pag. 10 dell’atto d’appello).
22. Al riguardo, la Corte territoriale non ha fornito alcuna motivazione, ricorrendo ad un’argomentazione, manifestamente illogica e contradditoria con gli atti del processo, che lascia intendere come i giudici del gravame non si siano affatto confrontati con il pacifico e inequivocabile dato documentale evocato dalla difesa la quale osserva che il dedotto profilo della mancanza di contestazione nel decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell’art. 429, comma 1, lett. c), cod.proc.pen., non risulta del tutto sovrapponibile alla connessa ma diversa questione, pure eccepita dalla difesa, in ordine alla mancanza della condizione di procedibilità, in quanto il reato di lesioni personali colpose di cui alla richiesta di rinvio a giudizio deve considerarsi tamquam non esset per l’espressa eliminazione dall’accusa così come rideterminata dal Giudice dell’udienza preliminare. In altri termini, a fronte della duplice censura, l’una attinente alla mancanza di contestazione del delitto di lesioni ai sensi dell’art. 589, comma 3, cod.pen., l’altra alla deduzione circa il difetto di querela di cui si è comunque chiesto il rilevamento in sede di appello, la Corte ha affrontato soltanto quest’ultimo tema e lo ha fatto, nei termini testualmente sopra
riprodotti, adducendo la procedibilità di ufficio dell’intera fattispecie di reato che qui viene in rilievo.
Ne discende che in ordine alla violazione della legge processuale riconducibile alla mancata contestazione del reato nell’imputazione enunciata ai sensi dell’art. 429 cod.proc.pen., la Corte di merito, non ha reso alcuna motivazione, neppure implicita, risultando quindi graficamente mancante, così da determinare la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 125, comma 3, cod.proc.pen. per la violazione degli artt. 429, comma 1, lett. c), 529 e 533 cod.proc.pen.
Con un terzo motivo di ricorso, si lamenta l’erronea applicazione della legge penale e processuale e il difetto di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pon., in ordine alla riconosciuta responsabilità dell’imputato per il delitto di lesioni personali colpose di cui agli artt. 590 e 589, comma 3, cod.pen. (corrispondente al vigente comma 4), in quanto l’azione penale non poteva essere iniziata, né proseguita, per mancanza della condizione di procedibilità della querela, in violazione dell’art. 120 cod.pen. e degli artt. 129, comma 1, 336, e 529 cod.proc.pen. con conseguente nullità della sentenza in parte qua ed illegittimità della relativa porzione di pena irrogata.
La sentenza viene impugnata anche nella parte in cui è stata riconosciuta la responsabilità dell’imputato per il delitto di lesioni personali colpose in danno di NOME ai sensi dell’art. 590, 589, comma 3, cod.pen. (corrispondente al comma 4 della medesima disposizione), nonostante la mancanza della condizione di procedibilità della querela della persona offesa, in violazione dell’art. 120 c.p. e degli artt. 129, comma 1, 336, 529 cod.proc.pen..
Come dedotto nel motivo di ricorso che precede, la sentenza di primo grado, integralmente confermata in sede di appello, pur a fronte dell’intervenuta declaratoria di improcedibilità per mancanza di querela con riferimento alle lesioni colpose cagionate a NOME, è stata comunque pronunciata in relazione all’ipotesi plurilesiva di cui all’ultimo comma dell’art. 589 cod.pen. (nel testo ratione temporis applicabile). Conseguentemente, anche la determinazione della pena complessivamente irrogata è da ritenersi illegittima in quanto compiuta in riferimento alla pluralità dei reati, omicidio colposo e lesioni colpose, alla stregua dell’art. 589, comma 3, cod.pen. erroneamente ritenuto oggetto di contestazione all’interno della imputazione.
A fronte dello specifico motivo di gravame formulato sul punto, la Corte d’Appello, si è limitata a rilevarne l’infondatezza sul presupposto della procedibilità d’ufficio “del reato di lesioni personali colpose di cui all’art. 589, ultimo comma, cod.pen.” (v. pag. 10 della sentenza d’appello). Il computo
della pena, infatti, per le ragioni esposte, non può venire effettuato in base al richiamato ultimo comma dell’art. 589 cod.pen..
Con un quarto motivo di ricorso si lamenta l’erronea applicazione di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale e difetto di motivazione in ordine alla decisione di conferma della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida ai sensi dell’art. 222, comma 2, cod. strada nella misura determinata dal giudice di primo grado nella misura di mesi tre.
Invero, mediante i motivi di appello si è denunciato come tale statuizione risulti in concreto, eccessivamente gravosa avuto riguardo al grado della colpa ravvisabile nella condotta dell’imputato nonché soprattutto ai plurimi profili di colpa specifica riconducibili alla condotta della persona offesa, così come evidenziati nella stessa sentenza di primo grado. Si censurata la determinazione della sanzione accessoria risulta effettuata in termini proporzionali alla determinazione della pena detentiva. Tuttavia, la stessa determinazione della pena detentiva risulta illegittima in quanto irrogata anche in relazione alla fattispecie di lesioni colpose di cui all’art. 589, comma 3, cod.pen., (vecchia formulazione), che non poteva costituire oggetto di condanna, sia in quanto non oggetto di specifica contestazione nel decreto che dispone il giudizio ex art. 429 cod.proc.pen., sia perché per essa l’azione penale non poteva essere iniziata né proseguita in difetto della querela della persona offesa. La Corte d’appello, si è limitata ad affermare in termini del tutto apodittici e immotivati, mediante una formula di stile, la congruità e proporzionalità della durata della sanzione accessoria rispetto all’entità del fatto e alla gravità della condotta.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso in relazione al primo motivo di ricorso e l’annullamento con rinvio della sentenza in relazione al secondo e terzo motivo
CONSIDERATO IN DIRITTO
COGNOME Precipuamente il Collegio osserva che la mera dinamica del sinistro e del successivo evento mortale sono state conformemente ricostruite dai giudici di merito, e non è stata oggetto di impugnazione nel giudizio di appello né mediante il ricorso per cassazione, con cui si censura soprattutto il giudizio di sussunzione del fatto all’interno della fattispecie incriminatrice, sotto i profili della sussistenza della colpa e della sussistenza del nesso di causalità giuridica tra condotta ed evento.
Invero, le osservazioni del ricorrente tendono ad una sostanziale rivalutazione del merito probatorio, ad evidenziare lacune o contraddizioni su cui le due conformi sentenze di merito hanno esposto in modo coerente, logico e condivisibile la costruzione logico deduttiva che ha portato all’attribuzione di responsabilità all’imputato.
Al riguardo, si evidenzi che in sede di legittimità non è consentita una rilettura degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207945 – 01). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv.244181 – 01).
In secondo luogo, atteso il contesto argomentativo del primo motivo di ricorso, si deve ribadire il principio secondo il quale nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un’esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti né a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di ciascuna evidenza probatoria. è necessario e sufficiente che il giudice di merito spieghi, con coerenza logica, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente disattese le opposte deduzioni difensive ancorché non apertamente confutate.
Con specifico riguardo ai reati colposi inerenti alla circolazione veicolare, la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia, con la valutazione della condotta dei singoli conducenti coinvolti e l’accertamento del relativo ruolo causale e contributo colposo alla verificazione dell’evento, è rimessa al giudice di merito e integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti, se sorretti da adeguata motivazione, al sindacato in sede di legittimità (Sez. 4, n. 54996 del 24/10/2017, COGNOME, Rv. 271679 – 01Sez. 4, n. 11077 del 08/06/1984, COGNOME, Rv. 167078 – 01). In particolare, in sede di legittimità non è consentito prospettare surrettiziamente la critica alla scelta e alla valutazione delle prove eseguite dai giudici di merito, in relazione alla ricostruzione della dinamica di un sinistro stradale e alla condotta dei soggetti in esso coinvolti, adducendo artificiosamente i motivi del vizio di motivazione sotto il profilo duplice della mancanza e della contraddittorietà della stessa (Sez. 4, n. 13945 del 10/07/1990, COGNOME, Rv. 185541 – 01).
Anche con riguardo al vizio di manifesta illogicità della motivazione, esso deve risultare di spessore tale da risultare evidente, palese, percepibile, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 22607401; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 21479401).
Con riguardo, infine, al vizio di contraddittorietà della motivazione, esso deve essere interno al percorso giustificativo della decisione e ricorre quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine a uno stesso fatto o a un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva del provvedimento, ovvero si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice, conducenti ad esiti diversi, siano state poste a base del suo convincimento (Sez.5, n.19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105); deve, dunque, escludersi che il vizio di contraddittorietà della motivazione possa avere come termini di raffronto il provvedimento e i dati istruttori sulla base della loro asserita erronea interpretazione.
Pertanto, non rappresenta vizio censurabile il mero omesso esame critico di ogni questione sottoposta all’attenzione del giudice di merito qualora dal complessivo contesto argomentativo della motivazione sia desumibile che alcune questioni siano state implicitamente rigettate o ritenute non decisive, essendo a tal fine sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del giudice (Sez. 2, n.9242 del 8/02/2013, Reggio, Rv.254988 – 01; Sez. 6, n.49970 del 19/10/2012, COGNOME, Rv.254107 – 01; Sez. 4, n.34747 del 17/05/2012, COGNOME, Rv.253512 – 01; Sez. 4, n.45126 del 6/11/2008, COGNOME, Rv.241907 – 01).
Il Collegio, in particolare, osserva che i vari profili del primo motivo di ricorso esaminano singoli frammenti della motivazione desumendone l’omessa disamina di singole doglianze difensive. Ma il difetto di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa, costituendo la pronuncia un tutto coerente e organico, per cui, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto.
Pertanto, va ribadito che il ricorrente censura la sentenza di appello, mediante una inammissibile critica frammentata di singoli passaggi della motivazione, per non aver preso in considerazione le valutazioni critiche espresse nell’atto di gravame. E’ necessario, a tale proposito, ricordare che è pacificamente ammesso il richiamo per relationem alla motivazione della
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sentenza di primo grado qualora il giudice di appello si riferisca ai punti della decisione che hanno contenuto essenzialmente descrittivo o ricostruttivo della realtà oggetto di condivisione.
Nella sentenza impugnata, la Corte ha sviluppato un iter logico deduttivo coerente, condivisibile in ogni passaggio della motivazione circa la causa e la colpa generica e specifica, idoneo a sussumere il fatto nella fattispecie astratta ascritta, e ha valutato la ricostruzione alternativa proposta dalla difesa che già è stata adeguatamente e approfonditamente vagliata dal primo giudice, condividendone il giudizio. In particolare, attraverso il richiamo alla disamina delle emergenze istruttorie sviluppata dal primo giudice, la Corte territoriale ha di fatto replicato completamente alla difesa.
La sentenza di primo grado, confermata da quella impugnata, in particolare, riporta le dichiarazioni rese dalla teste NOME COGNOME considerate pienamente attendibili, la quale riferiva che “il 23 ottobre 2010, intorno alle ore 19, Massa aveva inserito la freccia a sinistra ed era partito per fare inversione di marcia perché un auto che veniva da Lavinio si era fermata dietro di loro per farli uscire; avevano quasi completato la manovra di inversione allorquando avevano subito un forte impatto sulla fiancata sinistra della Smart da parte di una moto che sopraggiungeva a forte velocità da Lavinio verso Anzio, sorpassando l’auto che procedeva nella stessa direzione di marcia e che si era fermata per accordare la precedenza alla Smart condotta dal Massa” (v. pag. 5, sentenza di primo grado; pag. 8 sentenza di appello). Entrambi i giudici di merito ritengono che vi sia stata anche una colposa condotta di guida della vittima, conducente del motoveicolo, che procedeva ad una velocità indubbiamente sostenuta, come testimoniato dalle tracce di frenata lasciate sull’asfalto e comunque non adeguata alle condizioni della circolazione stradale, poiché superava sulla sinistra un veicolo che lo precedeva e che si era già fermato per accordare precedenza all’odierno imputato (v. pag. 7 della sentenza di primo grado; pag. 8 della sentenza di appello).
Sulla base di tale giudizio di fatto, entrambe le decisioni di merito giungono a ritenere sussistente la responsabilità per colpa dell’odierno imputato per l’evento mortale contestato ai sensi dell’art. 589, comma 2, cod.pen., essendo emerso in modo piano che il ricorrente Massa ha causato l’incidente mortale sia violando l’art. 140 cod. strada, ai sensi del quale gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, sia guidando in modo gravemente imprudente atteso che il
codice della strada obbliga il conducente a regolare la velocità del veicolo in modo da evitare ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose, di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente attraverso l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile.
Non da ultimo la motivazione spiega analiticamente che l’imputato ha, inoltre, violato l’art. 154 cod. strada commi 1 e 3 lett. c) (v. pag. 6, sentenza di primo grado; pagg. 6-7, sentenza d’appello). Fuor di dubbio che l’imputato, uscendo dal parcheggio, abbia avviato una manovra di inversione di marcia ad “U” e che abbia portato il proprio veicolo a costituire un intralcio all’auto che stava sopravvenendo e quindi al motoveicolo della vittima, il Collegio osserva che la sentenza impugnata spiega con argomenti lineari che Massa non era comunque esentato dall’osservanza delle ordinarie regole prudenziali, atteso che una manovra di inversione di marcia va eseguita con estrema cautela e lentamente e che il conducente, qualora non abbia una perfetta visibilità, deve porsi nelle condizioni di controllare la strada, verificando il pericolo eventuale per gli altri utenti della strada.
Il profilo causale e colposo è lumeggiato con chiarezza dalla motivazione ove spiega come “la manovra di inversione di marcia… in quanto pone in essere una situazione di particolare pericolosità, esige una speciale attività da parte del conducente, il quale non è tenuto solo ad accertarsi che, da entrambe le direzioni di provenienza dei veicoli, il campo stradale sia libero, ma anche che il veicolo possa immettersi nella direzione prescelta dal conducente senza pericolo per alcuno” (v. pag. 7, della sentenza impugnata).
Diversamente da quanto sostiene il ricorrente, quindi, anche il riferimento alla regola prudenziale della lentezza risulta del tutto coerente, in quanto, nel caso di specie, a prescindere dalla prova o meno della violazione dei limiti di velocità da parte di COGNOME, nella condotta di guida dell’imputato si rintraccia una particolare repentinità nello svolgimento della manovra in esame, che non è in contraddizione con l’aver segnalato in anticipo la sua intenzione di immettersi nel flusso di circolazione per uscire dall’area di parcheggio.
Anche in ordine all’affidamento – che trova applicazione anche in relazione ai reati colposi commessi a seguito di violazione di norme sulla circolazione stradale, ed impone di valutare, ai fini della sussistenza della
colpa, se, nelle condizioni date, l’agente dovesse e potesse concretamente prevedere le altrui condotte irregolari, Sez. 4, n. 46741 del 08/10/2009, Rv. 245663 – la motivazione della sentenza impugnata (pag.9), in linea con la decisione di primo grado, sviluppa una coerente e logica argomentazione che esclude in radice un ruolo concausale rispetto al comportamento della vittima. Infatti, la motivazione spiega analiticamente, con condivisibili passaggi logici e giuridici, come la condotta di guida di Massa integri la causa diretta e immediata delle lesioni di COGNOME che lo hanno condotto a morte dopo quasi tre anni dall’incidente. La motivazione ha messo in luce, in particolare, come la condotta di COGNOME, sopraggiunto nella stessa direzione di marcia sorpassando sulla sinistra le auto incolonnate, indipendente dalla sua velocità, era prevedibile e non eccezionale per chi si immettesse, nelle condizioni date di traffico e di circolazione; quindi, di certo tale da non elidere o allentare il concreto nesso causale psichico tra le violazioni specifiche addebitate a Massa e l’impatto con il motoveicolo di Casali.
Invero, dalla pacifica ricostruzione della dinamica fattuale, non sono emersi elementi idonei a riporre in discussione, in sede di legittimità, al netto di accertamenti di fatto non riproponibili davanti a questa Corte, le premesse logico-giuridiche del ragionamento svolto dalle sentenze di merito. Dalla conforme lettura dei fatti, come ivi esposti, e nei limiti della valutazione consentita in sede di legittimità, COGNOME seppur procedeva ad una velocità superiore a quella consentita, nel contesto topografico in cui è avvenuto l’impatto (uscita della Smart di Massa da un’area di parcheggio adiacente ad una strada commerciale) non ha assunto una condotta di guida in cui si poteva presagire colposamente una manovra del tipo di quella posta in essere dall’imputato, a nulla rilevando la precedenza accordata dal veicolo che precedeva il motoveicolo nella sua stessa direzione di marcia.
Tutti gli articolati profili del primo motivo di ricorso sono, pertanto, manifestamente infondati e devono dichiararsi inammissibili.
In ordine al secondo e terzo motivo, il Collegio osserva che entrambi attengono alla contestazione dell’aggravante dell’art. 589, ultimo comma, cod. pen. e al conseguente calcolo di pena.
Depone per l’accoglimento de plano dei motivi di ricorso la mera osservazione che in effetti all’udienza del 28/03/2018 davanti al G.u.p. di Velletri, veniva eliminata la contestazione delle lesioni ai danni di NOME, anche in considerazione dell’assenza di condizione di procedibilità da parte di NOME.
Non si tratta, quindi, di ritenere la procedibilità di ufficio (come invece spiegato a pag. 10 della sentenza impugnata) ma di constatare semplicemente che già dall’udienza preliminare non v’era alcuna contestazione relativa alle lesioni subite dalla Leo. E ciò a prescindere che tale eliminazione sia stata o meno legittima (dato non oggetto di contestazione nei gradi di giudizio). In breve, non si è proceduto anche per le lesioni, la cui pena non può quindi essere applicata.
La Corte d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado sul punto, è incorsa in un’evidente violazione di legge atteso che la fattispecie descritta dall’art. 589, ultimo comma, cod.pen., confluita del tutto erroneamente nella decisone di condanna, trova ragion d’essere soltanto nei casi di effettiva contestazione di più fatti colposi lesivi da considerarsi alla stregua di un unico reato procedibile d’ufficio. Nel caso di specie, invece, come statuito dal Giudice dell’udienza preliminare, il reato di lesioni personali colpose ai danni di NOMECOGNOME originariamente contestato nella richiesta di rinvio a giudizio, risulta eliminato dall’imputazione ed erroneamente considerato nelle decisioni di merito.
Di conseguenza, in accoglimento delle osservazioni difensive complessivamente emergenti dal secondo e terzo motivo di ricorso, il giudice non avrebbe potuto e dovuto procedere ad alcun aumento di pena per il reato complesso. Segue l’annullamento della sentenza di condanna sul punto del calcolo della pena per illegittimità della relativa pena irrogata, pari a mesi uno di reclusione. Il Collegio, pertanto, ridetermina la pena in mesi quattro di reclusione.
In ordine al quarto motivo di ricorso riguardante la sospensione della patente di guida il Collegio ne rileva l’inammissibilità osservando che il ricorso per cassazione fa riferimento ai motivi di appello ove sarebbe stato denunciato la gravosità della sanzione di mesi tre rispetto ai fatti.
Il periodo di sospensione ai sensi dell’art. 222, comma 2, cod. strada, a parere della difesa, sarebbe sproporzionato anche rispetto alla pena prevista.
Il Collegio, al netto delle valutazioni di merito sulla gravità dei fatti, osserva che la motivazione sul punto seppur sintetica deve essere letta nel complesso argomentativo sul fatto, sulla colpa, sulla causalità dell’evento, profili esaurientemente spiegati in tutto lo sviluppo motivazionale delle due conformi sentenze.
Non solo il riferimento alla proporzione del periodo di sospensione appare sufficiente e idoneo a spiegare il periodo di sospensione della patente previsto ma tale periodo rientra nella media edittale e quindi non necessita di
ulteriori specificazioni. Di talché, la motivazione sul punto, oltre che logica, appare immune dai vizi lamentati.
28. In conclusione, il Collegio annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che determina in mesi quattro di
reclusione e dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che determina in mesi quattro di reclusione. Dichiara
inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma il 14 febbraio 2025
Il consigliere estensore