Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2624 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2624 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
COGNOME GiuseppeCOGNOME nato a Centola il 10/09/1960, avverso la sentenza del 21/05/2024 della Corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte trasmesse dal Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni scritte trasmesse, a mezzo p.e.c., in data 13 novembre 2024 dal difensore del ricorrente avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Avverso la sentenza indicata in epigrafe -che ha confermato integralmente la sentenza di condanna emessa per il reato di cui agli artt. 633, 639 bis cod. pen.propone ricorso per cassazione l’imputato, a ministero del difensore di fiducia, deducendo a motivi della impugnazione gli argomenti di seguito puntuati:
1.1 Violazione e falsa applicazione della legge penale e inosservanza della norma processuale che individua la regola di giudizio da seguire per l’affermazione della penale responsabilità (art. 606, comma 1, lett. b e c, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 633. 639 bis cod. pen.), avendo la Corte territoriale destinataria del gravame confermato l’affermazione di responsabilità per il reato di durata contestato in assenza dell’essenziale profilo di fatto della invasione del suolo e del successivo arbitrario trattenimento in loco. Il ricorrente sostiene che difetti il “momento” della invasione arbitraria, atteso che egli era entrato in possesso della particella demaniale (occupata con il parcheggio di autovetture gestito in proprio) appartenente al Comune di Camerota in forza di regolare contratto già in anni remoti, di qui la detenzione qualificata dell’area demaniale indicata in imputazione;
1.2. Inosservanza della legge processuale (art. 606 lett. c, cod. proc. pen.) per avendo la Corte indicato una errata estensione del suolo occupato (mq. 2.000, in luogo dei 1.158 accertati), in contrasto evidente con quanto affermato nella relazione di consulenza tecnica della difesa;
1.3. Vizi esiziali della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), avendo la Corte di merito rigettato la richiesta di applicare la disciplina della continuazione “esterna” rispetto al precedente giudicato (sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 232/2022); mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., per la manifesta infondatezza dei motivi, che neppure esplicitano critica specifica al puntuale apparato motivazionale della sentenza impugnata.
1.1. Va preliminarmente chiarito che la fattispecie incriminatrice oggetto di imputazione va dogmaticamente classificata come reato permanente, protraendosi l’offesa al bene-interesse tutelato fin tanto che dura l’occupazione abusiva dell’immobile (Sez. 2, n. 40771, del 19/7/2018, Vetrano, Rv. 274458; Sez. 2, n. 29657 del 27/03/2019, COGNOME, Rv. 277019), con tutte le conseguenze
giuridiche che da tale classificazione derivano in termini di individuazione del dies a quo del termine di prescrizione, oltre che in tema di configurabilità di un nuovo reato in caso di protrazione della condotta illecita anche dopo la consumazione del primo reato accertato.
1.2. Nel reato di invasione di terreni o edifici, di cui all’art. 633 cod. pen. la nozione di “invasione” non si riferisce all’aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce “arbitrariamente” e cioè, contra ius e invito domino, in quanto privo del diritto d’accesso all’immobile altrui. La conseguente “occupazione” deve ritenersi pertanto l’estrinsecazione materiale della condotta vietata ed al contempo la finalità per la quale viene perseguita l’abusiva occupazione. Nel caso in cui l’occupazione si protragga nel tempo il delitto veste gli abiti della permanenza, che cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto dal bene occupato o con l’accertamento giurisdizionale del fatto, anche non definitivo. Dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, la protrazione del comportamento illecito dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell’invasione ma si sostanzia nella prosecuzione dell’occupazione (Sez. 2, n. 40771/18, cit.; Sez. 2, n. 55164, del 18/9/2018, COGNOME, Rv. 274298).
1.3. Più recentemente, questa stessa Sezione della Corte (Sez. 2, n. 27041 del 24/03/2023, COGNOME, Rv. 284792, che dà conto in motivazione del superamento del differente orientamento formatosi in tema di occupazione a titolo di successione, universale o particolare, nell’immobile IACP) -premesso che la tutela penale affidata alla norma incriminatrice è l’interesse pubblico alla inviolabilità del patrimonio immobiliare, in relazione alla protezione del diritto di conservare i terreni o gli edifici, legittimamente posseduti, liberi da persone non autorizzate- ha pure ribadito che il termine «invasione» non è assunto nel significato comune di questa parola (evocativa di irruenza ed impeto dell’agire), quanto piuttosto in quello di introduzione arbitraria e non effimera nel terreno o nell’edificio altrui, allo scopo di occuparlo o di trarne altrimenti profitto. Consegue che i mezzi e le modalità di realizzazione dell’invasione sono indifferenti; neppure è necessario che ricorra il requisito della clandestinità, che costituisce invece uno degli elementi dello spoglio civile (art. 1168 cod. civ.). Talché l’invasione può perfezionarsi anche in forme palesi e senza uso della violenza, neppure sulle cose, o dell’inganno. Unico requisito dell’occupazione, prosegue la motivazione della sentenza da ultimo richiamata, è infatti l’arbitrarietà, vale a dire che essa avvenga contra ius: agisce «arbitrariamente» chi non ha diritto o altra legittima facoltà di entrare nell’altrui terreno o edificio allo scopo di occuparlo o trarne altrimenti profitto.
1.3.1. Resta, dunque, superata l’affermazione contenuta nella sentenza di questa stessa sezione (sent. n. 15874 del 30/01/2019, Sannais, Rv. 276416 – 01), che vorrebbe ricondurre il concetto di invasione alla introduzione dall’esterno perpetrata solo con modalità violente; con la conseguenza della non illiceità del subingresso nel godimento -autorizzato dal precedente legittimo occupante- di un appartamento da parte di un soggetto non avente titolo alcuno.
1.3.2. Nemmeno può essere condivisa l’ulteriore affermazione, secondo cui sarebbe irrilevante l’astratta ricorrenza, in capo al soggetto che invade, delle condizioni richieste per l’assegnazione dell’immobile, in quanto la norma incriminatrice tutela la violazione della destinazione pubblicistica del bene, infranta dal mancato rispetto delle regole amministrative poste per l’individuazione del soggetto assegnatario, tanto che nemmeno l’acquiescenza dell’ente proprietario elide la situazione di arbitrarietà (Sez. 2, n. 53005 del 11/11/2016, COGNOME, Rv. 268711 – 01; Sez. 5, n. 482 del 12/6/2014, COGNOME, Rv. 262204 – 01).
1.3.3. Il reato di invasione di terreni o edifici deve, dunque, ritenersi configurabile ogniqualvolta si occupi un immobile sine titulo, condizione che si realizza anche quando il precedente titolo legittimante l’occupazione sia perento. La conseguente “occupazione” deve ritenersi, pertanto, l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione.
1.4. Ma, nella fattispecie, v’è di più in fatto, giacché la Corte, in perfetta consonanza col giudice di primo grado, argomenta il profilo della illiceità della arbitraria invasione valorizzando la realizzazione di opere di edificazione “nuove”, poste in essere allorquando il titolo della occupazione del suolo era perento da lustri e la circostanza era ben nota all’agente, che nella immediatezza del sequestro aveva surrettiziamente provveduto a versare un canone “innominato” al Comune di Camerota, proprio al fine di dimostrare il difetto del dolo che connota il delitto di invasione arbitraria di terreni o edifici. Il motivo di ricorso che con t specifici argomenti rifiuta di confrontarsi criticamente è pertanto inammissibile, per difetto di estrinseca specificità.
Il secondo motivo, svolto ancora inammissibilmente nel merito (precisa estensione del suolo occupato), difetta altresì della necessaria specificità, sub specie del difetto di autosufficienza nell’allegazione documentale (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Cossu, Rv. 280419 – 01). Il ricorrente lamenta infatti un errore nella indicazione dei metri quadri occupati, avendo la Corte territoriale tenuto in assoluto non cale la consulenza di parte depositata nel giudizio di primo grado dalla difesa, ma non allegata ai motivi di ricorso.
Con motivo di gravame subordinato, il ricorrente aveva sollecitato la Corte di appello ad applicare la disciplina della continuazione.
3.1. Si legge a pagina 6 dei motivi di appello, al quarto capoverso: “In via gradata qualora, invece, sussistessero i presupposti del reato contestato, la condotta del Di COGNOME, assunta nel tempo, integrerebbe rispetto ai precedenti, una continuazione del reato da valutarsi ai fini della pena.”. La Corte di appello ha ritenuto che il motivo di gravame non fosse conferente rispetto all’oggetto del giudizio, apparendo un mero refuso non valutabile, in quanto per il fatto descritto al capo G (arbitraria invasione di suolo demaniale finalizzata alla occupazione abusiva, fatto commesso in data 8 agosto 2017) non era contestata alcuna continuazione interna, né il giudice di primo grado aveva applicato alcun aumento per continuazione.
3.2. Tanto premesso, con l’ultimo motivo di ricorso il ricorrente denunzia mancanza ed intima contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, che non ha giustificato in alcun modo la mancata applicazione della disciplina della continuazione.
3.3. Orbene, il motivo difetta della necessaria esplicitazione delle ragioni di doglianza, giacché nessuna continuazione era possibile riconoscere, né interna alla imputazione di cui al capo G (essendo ivi descritta una condotta unitaria), tantomeno esterna, in quanto la precedente pronuncia indicata nei motivi di ricorso (sent. n. 232 del 08/02/2022) è di assoluzione e non di condanna.
3.4. La sospensione condizionale della pena, richiesta solo con i motivi di ricorso, non è stata proposta all’attenzione della Corte di merito, che non risulta neppure esser stata sul punto sollecitata ad attivare i propri poteri officiosi (art. 597, comma 5, cod. proc. pen.), il che determina la palese inammissibilità del motivo (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376 – 01). Nella motivazione della sentenza impugnata non è dato leggere sul punto (a differenza di quanto affermato con l’ultimo motivo di ricorso) alcuna statuizione, tantomeno due in contraddizione tra loro. Il motivo di ricorso è peraltro monco di argomentazioni di sostegno.
Segue alla inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende che stimasi equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 novembre 2024.