Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45449 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45449 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/09/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato a EMPOLI il 15/05/1989 COGNOME nato a PIAZZA ARMERINA il 08/03/1993
avverso la sentenza del 05/12/2023 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
P
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi di NOME e COGNOME COGNOME Valentina;
ritenuto che il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato nella parte in cui denuncia la nullità della sentenza per la mancata indicazione delle conclusioni delle parti, atteso che tale requisito della sentenza non è previsto a pena di nullità e, dunque, dalla sua omissione non deriva alcuna invalidità della sentenza;
considerato che il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato anche nella parte in cui denuncia il vizio di omessa motivazione in relazione alla richiesta di riconoscimento della causa di esclusione della punibilità ai sensi dell’art. 131bis cod. Enfòd, atteso che la doglianza è stata puntualmente affrontata alla pagina 4 della sentenza impugnata;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità per i reati di cui agli art. 110, 633, 635 comma 2 cod. peri. denunciando la illogicità della motivazione sulla base di un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova, non è consentito dalla legge, stante la preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260);
considerato che risulta manifestamente infondata anche l’argomentazione difensiva secondo cui la condotta degli imputati non ha rilievo penale perché essa trova matrice nell’autorizzazione ottenuta dalla madre della COGNOME. A tale proposito risulta dirimente la circostanza evidenziata dai giudici di merito, che hanno rimarcato come gli imputati si comportassero quali proprietari, escludendo dall’accesso al fondo tutti gli altri comproprietari, tagliando gli alberi e realizzando una recinzione. A fronte di tale ricostruzione fattuale, la motivazione della sentenza impugnata è conforme al principio di diritto a mente del quale «Integra il reato di cui all’art. 633 cod. pen. la condott di chi, inizialmente ospitato a titolo di cortesia dall’assegnatario di un immobile di edilizia residenziale pubblica, vi permanga anche dopo l’allontanamento dell’avente diritto, comportandosi come “dominus” o possessore. (In motivazione la Corte ha precisato che la “mera
ospitalità” non costituisce un legittimo titolo per l’occupazione dell’immobile)», (Sez. 2 – , Sentenza n. 49527 del 08/10/2019, COGNOME, Rv. 278828 – 01);
considerato che la questione secondo cui sarebbe configurabile la causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen. non è stata dedotta con l’atto di appello, con conseguente interruzione della catena devolutiva. A fronte di tale evenienza, va ribadito che «nel giudizio di legittimità, il ricorso proposto per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è inammissibile, poiché la sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato (Massime Conformi n. 4712 del 1982, Rv. 153578; n. 2654 del 1983 Rv. 163291)», (Sez. 3, Sentenza n. 2343 del 28/09/2018 Ud., dep. 18/01/2019, COGNOME, Rv. 274346).
considerato che il terzo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base del mancato accoglimento della richiesta di assoluzione ed il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito (si vedano in particolare le pagine 3-4 della sentenza impugnata dove la corte d’appello ha correttamente individuato gli elementi costitutivi delle condotte criminose contestate e ha puntualmente motivato relativamente al diniego del riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.), dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
rilevato che il giudice di merito, con motivazione esente da vizi logici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolare, pag. 4 della sentenza impugnata dove la corte d’appello ha confermato l’attendibilità delle dichiarazioni della p.o.) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini della dichiarazione di responsabilità e della sussistenza del reato;
ritenuto che il quarto motivo di ricorso che contesta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato in presenza (si veda pag. 5 della sentenza impugnata) di una motivazione esente da evidenti illogicità, anche considerato il principio affermato da questa Corte, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione;
–
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.
Roma, 24/09/2024