Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26033 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26033 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Vulcano Giuseppe n. a COGNOME il 6/9/1967
avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro in data 17/12/2024
dato atto che si è proceduto a trattazione con contraddittorio cartolare, ai sensi dell’art. 611, comma 1- bis , cod. proc. pen.;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del Cons. NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni scritte, corredate da nota spese, depositate dal difensore della parte civile, Avv. NOME COGNOME
letta la memoria di replica a firma del difensore dell’imputato, Avv. NOME COGNOME
Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Castrovillari in data 17/10/2022, dichiarava l’estinzione per maturata prescrizione del reato di danneggiamento ascritto a Vulcano Giuseppe al capo b) della rubrica e rideterminava la pena per il delitto ex art. 633 cod. pen. contestato sub a) in mesi 4 di reclusione, accordando il beneficio della sospensione condizionale e confermando le statuizioni civili.
Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, Avv. NOME COGNOME il quale ha dedotto i motivi di seguito riportati nei termini strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173, disp. att. cod. proc. pen.:
2.1. nullità della sentenza impugnata per violazione del diritto di difesa per effetto del mancato esame di alcuni testi addotti in lista dalla difesa del ricorrente e della mancata acquisizione delle dichiarazioni testimoniali da costoro rese in altro procedimento, definito con sentenza irrevocabile, tra le stesse parti. Il difensore assume di aver eccepito, prima della discussione, la nullità dell’ordinanza di revoca dei predetti testi in quanto resa senza motivarne la superfluità e/o l’irrilevanza, articolando, altresì, richiesta di ammissione ex art. 507 cod. proc. pen;
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudizio di responsabilità del ricorrente per il delitto ex art. 633 cod. pen. in quanto fondato esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa e della moglie, portatori di interessi rilevanti contrapposti a quelli del Vulcano, in assenza di adeguato vaglio delle dichiarazioni dei testi che hanno fornito una versione opposta della vicenda, con la conseguenza che i giudici di merito hanno formulato un giudizio di colpevolezza che non supera la soglia del ragionevole dubbio. Il difensore aggiunge che la Corte d’appello ha rassegnato una motivazione carente e illogica, se non meramente apparente, a fronte delle inconciliabili affermazioni testimoniali acquisite in atti. Inoltre, secondo il ricorrente le emergenze dibattimentali imponevano, comunque, una diversa qualificazione giuridica dei fatti, attesa la produzione del titolo di proprietà in capo al Vulcano della striscia di terreno oggetto di contestazione;
2.3. vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta permanenza del reato fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, nonostante il tenore della contestazione, che postula la commissione del fatto alla data del 2 settembre 2015 e il difetto di prova circa la continuità della condotta;
2.4. erronea applicazione dell’art. 633 cod. pen. e vizio di motivazione per travisamento del fatto in relazione all’affermata cessazione della permanenza in coincidenza con l’emissione della sentenza di primo grado, stante la mancata
contestazione del reato in forma aperta e l’assenza di modifiche da parte del pubblico ministero;
2.5. violazione di legge con riguardo all’affermazione di responsabilità in quanto la corretta ricostruzione del fatto dedotta dalla difesa dimostra l’irrilevanza penale dello stesso, difettando nella specie il requisito dell’invasione di un fondo altrui;
2.6. violazione dell’art. 639 cod. pen. e l’improcedibilità dell’azione penale nella parte in cui viene omesso l’accertamento sul reale assetto proprietario del bene immobile, stante l’assenza di documentazione ufficiale attestante una proprietà del bene diversa da quella del ricorrente.
Il difensore, dopo un’ampia ricognizione delle caratteristiche del reato in discussione, sostiene che i giudici di merito hanno omesso di valutare se il querelante avesse o meno il possesso esclusivo del bene mentre l’atto d’acquisto prodotto dall’imputato dimostra l’assenza del requisito dell’arbitrarietà dell’invasione che, unitamente al possesso esercitato da tempo immemorabile, esclude il dolo;
2.7. da pag. 25 a pag. 28 il ricorso, sotto la rubrica della violazione dell’art. 633 cod. pen. e dell’erronea applicazione dei presupposti integranti il reato, effettua una rassegna di rilievi critici, in parte ripetitivi di profili già trattati, con riguardo al difetto dell’elemento oggettivo, alla natura permanente del reato, all’erronea qualificazione giuridica, alla frattura logica della motivazione per inconciliabilità tra premesse e conclusioni, alla contraddittorietà intrinseca della stessa, connotata -altresì- da apparenza e genericità, all’omessa valutazione di prove decisive, alla violazione delle regole logico-argomentative, doglianze che rinvengono l’elemento unificante nella violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., peraltro oggetto di autonoma denunzia nel successivo motivo, integrata dal mancato riconoscimento in capo all’imputato della proprietà e del possesso della striscia di terreno controversa;
2.8. inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 633 cod. pen. e la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’invasione arbitraria di un terreno privato;
2.9. erronea applicazione dell’art. 633 cod. pen. e vizio di motivazione;
2.10. violazione della legge penale. Il difensore denunzia il difetto nella specie del dolo specifico, non essendo configurabile il fine di occupare o di trarre altrimenti profitto rispetto ad un bene di proprietà e nella disponibilità del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va preliminarmente osservato che la tecnica redazionale del ricorso, caratterizzato da una esasperata frammentazione delle doglianze, spesso di identico contenuto e connotate da una trama espositiva poco chiara nelle premesse e nell’illustrazione dei vizi, rende disagevole l’enucleazione delle censure difensive, demandando al giudice di legittimità, tra la molteplicità delle violazioni denunziate, la faticosa selezione dei rilievi critici in ipotesi dotati di concreta attitudine all’instaurazione del contraddittorio.
1.1. La giurisprudenza di legittimità è consolidata e costante nel ritenere, in tema di impugnazioni, che il requisito della specificità dei motivi, richiesto espressamente dall’art. 581 cod. proc. pen. a pena di inammissibilità, implica a carico della parte impugnante non solamente l’onere di dedurre le censure che intenda muovere su uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso gli elementi che sono alla base delle censure medesime al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (tra molte, Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822-01; Sez. 2, n. 8803 del 27/05/1999, COGNOME, Rv. 214249-01; Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586-01; Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 245907-01; Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, COGNOME, Rv. 281112-01; Sez. 2, n. 29607 del 14/05/2019, COGNOME, Rv. 276748-01).
Questa Corte ha, pertanto, in più occasioni precisato che è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione fondato su una caotica esposizione delle doglianze, dal tenore confuso e scarsamente perspicuo, che renda particolarmente disagevole la lettura e che esuli dal percorso di una ragionata censura della motivazione del provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 7801 del 19/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259063-01; Sez. 6, n. 57224 del 09/11/2017, COGNOME, Rv. 271725-01), segnalando che, al fine della valutazione dell’ammissibilità dei motivi di ricorso, va considerato quale strumento esplicativo del dato normativo dettato dall’art. 606 cod. proc. pen. il “Protocollo d’intesa tra Corte di cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale”, sottoscritto il 17 dicembre 2015 (Sez. 2, n. 57737 del 20/09/2018, Obambi, Rv. 274471-01).
Oltre alla già rilevata e diffusa genericità che connota tutti i motivi di impugnazione, privi di un puntuale confronto critico con l’apparato reiettivo della sentenza impugnata, rileva il Collegio che l’eccezione di nullità per violazione del diritto di difesa in conseguenza della revoca dei testi non citati per l’udienza del 18/7/2022 è manifestamente infondata. La Corte territoriale ha correttamente disatteso la censura difensiva facendo applicazione della costante giurisprudenza
di questa Corte secondo cui, la revoca dell’ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (Sez. 2, n. 9761 del 10/02/2015, COGNOME, Rv. 263210-01; Sez. 6, n. 53823 del 05/10/2017, D.M., Rv. 271732-01; Sez. 5 , n. 16976 del 12/02/2020, Polise, Rv. 279166-01).
2.1. La sentenza impugnata, inoltre, ha ricostruito l’episodio a giudizio alla luce dei materiali acquisiti in maniera completa ed esaustiva, dando conto delle ineccepibili ragioni che ostano alla ravvisabilità dell’ idem factum con riguardo alla vicenda giudicata con sentenza del Tribunale di Castrovillari in data 05/07/2021. Ha in dettaglio esposto che, in data 02/09/2015, alcuni operai, su incarico del Vulcano, avevano abbattuto una siepe ed alcune piante di pero selvatico, rimosso la recinzione posta a protezione della proprietà del querelante COGNOME e spianato un’area che l’imputato aveva destinato a parcheggio a servizio del proprio agriturismo. I giudici d’appello hanno evidenziato che le dichiarazioni della persona offesa e della moglie sono risultate riscontrate dai testi COGNOME e NOME, quest’ultimo proprietario di un fondo nell’area interessata, il quale ha fornito una dettagliata spiegazione dello stato dei luoghi esistente nel giugno 2015 e nel luglio 2018 sulla base delle aereofotogrammetrie prodotte dalla parte civile, confermando l’avvenuta occupazione da parte dell’imputato di una striscia di terreno appartenente al querelante.
La Corte di merito ha, inoltre, esaminato le deposizioni dei testi della difesa COGNOME e COGNOME entrambi dipendenti del Vulcano, traendone informazioni che non danno conforto alla tesi della difesa (pag. 7) e, con riguardo ai testi revocati, ha negato la rinnovazione istruttoria segnalando che le circostanze su cui gli stessi avrebbero dovuto riferire risultano già accertate nella sentenza irrevocabile acquisita fin dal primo grado ai sensi dell’art. 238bis cod. proc. pen.
2.2. V’è da aggiungere che risulta del tutto assertiva la richiesta di riqualificazione del fatto contestato nel delitto ex art. 392 cod. pen., già disattesa dalla Corte di merito con corretti argomenti giuridici, non constando che l’area occupata fosse di proprietà o nel possesso dell’imputato.
Meramente reiterative s’appalesano anche le doglianze in punto di consumazione del reato, avendo i giudici territoriali esattamente ritenuto che la condotta illecita accertata il 02/09/2015, all’atto dell’invasione della striscia di terreno del querelante, avesse natura permanente, interrotta solo dalla pronunzia di primo grado intervenuta il 17/10/22. Nella specie è pacifico che l’occupazione dell’area si è protratta nel tempo ed è tuttora perdurante sicché la Corte territoriale ha fatto esatta applicazione del principio secondo cui nel reato di invasione di
terreni o edifici di cui all’art. 633 cod. pen. la nozione di “invasione” non si riferisce all’aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce “arbitrariamente”, ossia ” contra ius ” in quanto privo del diritto d’accesso, cosicché la conseguente “occupazione” costituisce l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione; nel caso in cui l’occupazione si protragga nel tempo, il delitto ha natura permanente e la permanenza cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto o con la sentenza di condanna, dopo la quale la protrazione del comportamento illecito dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell’invasione, ma si sostanzia nella prosecuzione dell’occupazione (Sez. 2, n. 29657 del 27/03/2019, COGNOME, Rv. 277019-01; Sez. 2, n. 46692 del 02/10/2019, COGNOME, Rv. 277929-01; Sez. 2, n. 40771 del 19/07/2018, COGNOME, Rv. 274458-01).
Sulla base dell’elaborazione giurisprudenziale non può dubitarsi che la rubrica elevata a carico del Vulcano, la quale si limita ad indicare l’epoca di accertamento della condotta illecita, configuri una contestazione ‘aperta’. Questa Corte ha autorevolmente chiarito che poiché la contestazione del reato permanente, per l’intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l’elemento del perdurare della condotta antigiuridica, qualora il pubblico ministero si sia limitato ad indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell’accertamento) e non quella finale, la permanenza -intesa come dato della realtàdeve ritenersi compresa nell’imputazione, sicché l’interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell’azione penale (Sez. U, n. 11021 del 13/07/1998, COGNOME, Rv. 211385-01; Sez. 2, n. 20798 del 20/04/2016, Zagaria, Rv. 267085-01).
Fermo quanto precede e facendo applicazione dei princìpi che precedono, evidenzia il Collegio come, in astratto, il reato in contestazione si prescriverà solo in data 17/04/2030, attesa la decorrenza del relativo termine, comprensivo della durata degli eventi interruttivi, dalla data del 17/10/2022.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile con conseguenti statuizioni ex art. 616 cod. proc. pen.
Ritiene, inoltre, la Corte che non possa accedersi alla richiesta di liquidazione delle spese del grado in favore della costituita parte civile alla luce del principio, reiteratamente affermato dalla giurisprudenza, secondo cui nel giudizio di legittimità celebrato con il rito camerale non partecipato, quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile,
in difetto di richiesta di trattazione orale, ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione (Sez. 2, n. 24619 del 02/07/2020, Puma, Rv. 279551-02; Sez. 2, n. 33523 del 16/06/2021, D., Rv. 281960-03; Sez. 4, n. 10022 del 06/02/2025, Altese, Rv. 287766-01), condizione nella specie non ravvisabile, essendosi il patrono limitato a rassegnare conclusioni scritte senza alcun confronto dialettico con le censure svolte nel ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile COGNOME
Così deciso in Roma il 3 luglio 2025