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Invasione di terreni: quando il reato è permanente?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per invasione di terreni. La sentenza chiarisce la natura di reato permanente del delitto ex art. 633 c.p., che cessa solo con la condanna o con la fine dell’occupazione. Il ricorso è stato respinto per la sua genericità e frammentarietà, non avendo sollevato censure specifiche e puntuali contro la decisione della Corte d’Appello.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Invasione di terreni: la Cassazione chiarisce la natura di reato permanente

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di invasione di terreni, fornendo importanti chiarimenti sulla natura permanente di questo reato e sui requisiti di ammissibilità del ricorso. La decisione sottolinea come la condotta illecita perduri nel tempo fino a una sentenza di condanna e come la genericità dei motivi di ricorso ne comporti l’inevitabile rigetto. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e i principi di diritto affermati dai giudici.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria ha origine dalla denuncia del proprietario di un terreno che accusava un imprenditore agricolo, titolare di un agriturismo confinante, di aver illecitamente occupato una striscia di sua proprietà. Secondo l’accusa, l’imputato, nel settembre 2015, aveva fatto abbattere una siepe e alcune piante, rimosso una recinzione e spianato l’area per destinarla a parcheggio a servizio della sua attività ricettiva.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano confermato la responsabilità penale dell’imputato per il reato di invasione di terreni e danneggiamento, rideterminando la pena in appello a seguito della prescrizione del secondo reato. Contro questa decisione, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione.

I Motivi del Ricorso e la Specificità dell’Impugnazione

La difesa ha articolato un ricorso estremamente frammentato e complesso, sollevando una pluralità di motivi, tra cui:
* La violazione del diritto di difesa per il mancato esame di alcuni testimoni.
* L’errata valutazione della responsabilità, fondata esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa e di sua moglie.
* Un vizio di motivazione riguardo alla ritenuta permanenza del reato.
* L’erronea applicazione dell’art. 633 del codice penale e il difetto di dolo specifico.

La Corte di Cassazione, in via preliminare, ha censurato la tecnica redazionale del ricorso, definendola caratterizzata da una “esasperata frammentazione delle doglianze” e da una “trama espositiva poco chiara”. Questo ha reso particolarmente difficile per i giudici individuare le censure effettivamente rilevanti. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale del processo penale: il requisito della specificità dei motivi di ricorso (art. 581 c.p.p.). L’impugnazione deve indicare in modo chiaro e preciso gli elementi alla base delle censure, per consentire al giudice di esercitare il proprio sindacato. Un ricorso confuso e generico è destinato all’inammissibilità.

L’invasione di terreni come reato permanente

Uno dei punti centrali della sentenza riguarda la natura del reato di invasione di terreni previsto dall’art. 633 c.p. La difesa sosteneva che il reato si fosse consumato istantaneamente nel 2015 e che la permanenza non fosse stata provata. La Cassazione ha respinto questa tesi, confermando l’orientamento consolidato secondo cui il delitto in questione ha natura permanente.
La nozione di “invasione” non si riferisce necessariamente a un’azione violenta, ma al comportamento di chi si introduce “arbitrariamente” (cioè senza averne diritto) in un terreno altrui. La successiva “occupazione” è la manifestazione materiale di tale condotta. Quando l’occupazione si protrae nel tempo, il reato è permanente. La permanenza cessa solo con l’allontanamento del soggetto, con la restituzione del bene o con la sentenza di condanna di primo grado. Dopo tale sentenza, l’eventuale protrazione del comportamento illecito può integrare una nuova ipotesi di reato.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per diverse ragioni. In primo luogo, ha ritenuto manifestamente infondata l’eccezione sulla violazione del diritto di difesa, poiché la nullità derivante dalla revoca dei testimoni doveva essere eccepita immediatamente in udienza, cosa non avvenuta.

Nel merito, i giudici hanno stabilito che le Corti territoriali avevano correttamente ricostruito i fatti, basandosi non solo sulle dichiarazioni della parte civile ma anche su riscontri oggettivi come le testimonianze di altri proprietari e le aerofotogrammetrie che dimostravano l’avvenuta occupazione.

La Corte ha inoltre confermato la correttezza della qualificazione giuridica del fatto come reato permanente, specificando che, in questi casi, anche se l’imputazione indica solo la data iniziale della condotta, si intende che essa copra tutto il periodo della sua persistenza (cosiddetta “contestazione aperta”). Di conseguenza, il termine di prescrizione decorre dalla data della sentenza di primo grado. Infine, la Corte ha rigettato la richiesta della parte civile di liquidazione delle spese legali, poiché le sue memorie scritte non avevano fornito un contributo utile alla decisione, limitandosi a rassegnare conclusioni senza un reale confronto con le censure dell’imputato.

Conclusioni

La sentenza in esame offre due importanti lezioni. La prima, di natura processuale, riguarda l’imprescindibile necessità di redigere ricorsi chiari, specifici e puntuali, evitando doglianze generiche che portano all’inammissibilità. La seconda, di natura sostanziale, consolida il principio per cui l’invasione di terreni è un reato permanente la cui consumazione si protrae per tutto il tempo dell’illegittima occupazione, con significative conseguenze in termini di prescrizione. Questa decisione riafferma la tutela della proprietà contro le occupazioni arbitrarie e durature, chiarendo i confini applicativi di una fattispecie di reato di grande rilevanza pratica.

Quando il reato di invasione di terreni è considerato un reato permanente?
Il reato di invasione di terreni (art. 633 c.p.) è considerato permanente quando l’occupazione del bene si protrae nel tempo. La condotta illecita non si esaurisce con l’introduzione nel fondo, ma perdura fino a quando l’occupazione non cessa, ad esempio con l’allontanamento dell’autore del reato o con la sentenza di condanna.

Perché un ricorso per cassazione può essere dichiarato inammissibile per genericità?
Un ricorso è dichiarato inammissibile per genericità quando non rispetta il requisito della specificità dei motivi, richiesto dall’art. 581 del codice di procedura penale. L’impugnante ha l’onere di indicare in modo chiaro e preciso i punti della decisione che intende contestare e le ragioni giuridiche della critica, non potendosi limitare a una esposizione confusa o a una frammentazione delle doglianze che non consenta al giudice di comprendere il nucleo della censura.

In un reato permanente, è necessario che l’accusa indichi la data finale della condotta?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata, la contestazione di un reato permanente è considerata “aperta”. Questo significa che, anche se il capo d’imputazione indica solo la data di inizio (o di accertamento) della condotta, si ritiene che l’accusa copra l’intero periodo in cui il reato è perdurato, senza necessità di specificare la data finale. L’imputato è quindi chiamato a difendersi rispetto a un fatto la cui caratteristica essenziale è la sua persistenza nel tempo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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