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Invasione di terreni: i motivi non proposti in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per invasione di terreni. La decisione si fonda su due principi cardine: primo, non è possibile presentare per la prima volta in Cassazione motivi non sollevati in appello, interrompendo la ‘catena devolutiva’. Secondo, la Corte ha ribadito la differenza tra il reato di invasione di terreni e il semplice ingresso abusivo, sottolineando che compiere atti ‘uti dominus’ (come preparare il terreno alla coltivazione) qualifica il reato più grave.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Invasione di terreni: non puoi cambiare strategia in Cassazione

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 14569/2024 offre un’importante lezione sulla strategia processuale e sulla corretta qualificazione del reato di invasione di terreni. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, chiarendo due punti fondamentali: l’impossibilità di sollevare per la prima volta in sede di legittimità questioni non dedotte in appello e la netta distinzione tra il reato di invasione e quello di semplice ingresso abusivo in un fondo altrui.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva condannato dalla Corte d’appello di Palermo per il reato di invasione di un fondo agricolo. L’imputato decideva di ricorrere per Cassazione, basando la sua difesa su due argomentazioni principali: una presunta violazione di legge e un vizio di motivazione riguardo alla prova della sua responsabilità penale, e un’errata qualificazione giuridica del fatto. Sostanzialmente, la difesa lamentava che i fatti non costituissero una vera e propria invasione, ma al massimo un’altra fattispecie di reato meno grave.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La Corte ha ritenuto che le censure relative alla violazione di legge e al vizio di motivazione non potessero essere esaminate, poiché non erano state formulate come specifici motivi nel precedente grado di giudizio, ovvero nell’atto di appello. Per quanto riguarda la richiesta di riqualificare il reato, i giudici l’hanno ritenuta manifestamente infondata.

Le Motivazioni: il divieto di nuove questioni sull’invasione di terreni

Il cuore della decisione risiede nel principio della ‘catena devolutiva’. La Corte ha ribadito un orientamento consolidato: non è consentito proporre per la prima volta in sede di legittimità questioni che non abbiano costituito oggetto dei motivi di gravame in appello. Questo vale non solo per le violazioni di legge, ma per tutte le questioni che, se non sollevate, vengono sottratte alla cognizione del giudice di secondo grado. Ammettere nuove doglianze in Cassazione creerebbe il rischio di annullare una decisione per un difetto di motivazione su un punto che, di fatto, non era mai stato sottoposto al giudice precedente. Il ricorso, su questo punto, era quindi proceduralmente inaccettabile.

Le Motivazioni: la differenza tra invasione e ingresso abusivo

Anche nel merito, la Corte ha smontato la tesi difensiva sulla riqualificazione del fatto. La difesa invocava l’applicazione dell’art. 637 c.p. (ingresso abusivo nel fondo altrui), un reato che si consuma con la semplice introduzione nel fondo. Tuttavia, la Cassazione ha evidenziato come, nel caso di specie, la condotta dell’imputato fosse andata ben oltre. Egli non si era limitato a entrare nel terreno di proprietà comunale, ma aveva compiuto atti di gestione uti dominus, ovvero comportandosi come se ne fosse il proprietario. In particolare, aveva posto in essere attività propedeutiche alla coltivazione del fondo. Questo comportamento, finalizzato a trarre un profitto dall’occupazione, integra pienamente gli elementi del più grave reato di invasione di terreni (art. 633 c.p.), giustificando la condanna.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza è un monito per la strategia difensiva. Sottolinea l’importanza di strutturare l’atto di appello in modo completo ed esaustivo, includendo tutte le censure che si intendono muovere alla sentenza di primo grado. Omettere un motivo in appello significa, nella maggior parte dei casi, perdere definitivamente la possibilità di farlo valere in Cassazione. Inoltre, la pronuncia consolida l’interpretazione del reato di invasione di terreni, chiarendo che l’elemento distintivo rispetto al semplice ingresso abusivo è la volontà di occupare il bene e di trarne un’utilità, manifestata attraverso concreti atti di gestione e possesso.

È possibile presentare in Corte di Cassazione motivi di ricorso non sollevati in appello?
No, di regola non è consentito. La Corte di Cassazione ha ribadito che la proposizione per la prima volta in sede di legittimità di questioni non dedotte con i motivi di appello interrompe la ‘catena devolutiva’ e rende il ricorso inammissibile su quei punti.

Qual è la differenza sostanziale tra il reato di ingresso abusivo in un fondo e quello di invasione di terreni?
L’ingresso abusivo (art. 637 c.p.) si configura con la mera introduzione nel fondo altrui. L’invasione di terreni (art. 633 c.p.), invece, richiede una condotta più complessa: non solo l’introduzione, ma anche il compimento di atti ‘uti dominus’ (come se si fosse il proprietario), con lo scopo di occupare il terreno o di trarne profitto, come ad esempio avviare una coltivazione.

Perché il ricorso è stato giudicato ‘manifestamente infondato’ sulla richiesta di riqualificare il reato?
Perché i fatti accertati dimostravano che l’imputato non si era limitato ad entrare nel fondo, ma aveva compiuto atti di gestione finalizzati alla coltivazione. Questa condotta, che manifesta l’intenzione di trarre profitto dall’occupazione, rientra chiaramente nella fattispecie di invasione di terreni e non in quella, meno grave, di semplice ingresso abusivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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