Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23382 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23382 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nata a BARI il 26/10/1956
NOME nato in Albania il 19/02/1968
avverso la sentenza del 05/06/2024 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le note conclusive del difensore dei ricorrenti, Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
1.Il difensore di COGNOME NOME e NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bari del 5/06/2024, che aveva confermato la sentenza di primo grado con la quale gli imputati erano stati dichiarati colpevoli del reato di cui agli artt.110, 633-639 cod. pen.; avverso la sentenza propone ricorso il difensore degli imputati, eccependo:
1.1 illegittimità della condanna, in quanto i ricorrenti dimoravano in una casa legittimamente assegnata alla madre dell’imputata (assistita dai ricorrenti), il cui decesso era avvenuto soltanto un mese prima rispetto alla contestazione; travisamento della prova, visto che non era stato in alcun modo provato un accesso arbitrario nell’abitazione; la sentenza di appello aveva ritenuto rilevante la presenza di un lucchetto alla porta dell’abitazione, concludendo che la COGNOME non avesse le chiavi, senza considerare che gli imputati erano stati trovati all’interno dell’abitazione senza che venisse notato alcun danno al lucchetto; non era stato superato l’argomento più importante, e cioè che i ricorrenti avevano continuato a detenere l’abitazione dopo la morte dell’assegnataria, con un primo accesso autorizzato dalla stessa, bisognosa di assistenza;
1.2 contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alle risultanze istruttorie: nella sentenza di appello si sosteneva che la COGNOME prestava assistenza alla madre, per cui doveva necessariamente avere le chiavi di casa;
1.3 mancanza di motivazione in ordine alla valutazione dei motivi di impugnazione: nella sentenza di appello non veniva data alcuna motivazione in ordine all’argomentazione difensiva per cui non può integrare il delitto di invasione di edifici la condotta di chi abbia continuato a detenere l’abitazione dopo la morte della legittima assegnataria; neppure vi era la prova della sussistenza dell’elemento psicologico;
1.4 violazione de ll’ art. 131bis cod. pen., non essendo stato considerato che: a) si trattava di una abitazione la cui assegnataria legittima era la madre dell’imputata; b) l’ingresso iniziale era avvenuto in maniera lecita poiché autorizzato dall’assegnataria per ottenere cure assistenziali; c) g li imputati erano rimasti all’interno dell’abitazione dopo la morte dell’assegnataria per pochi giorni rispetto alla contestazione; d) il danno cagionato era esiguo;
1.5 violazione dell’art. 175 cod. pen. relativamente alla ricorrente COGNOME; la richiesta di non menzione era stata rigettata perché la COGNOME era stata ritenuta ‘organizzatrice’ e ‘gravata a precedenti penali’, quando invece era incensurata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è fondato soltanto relativamente all’ultimo motivo proposto .
1.1 Con riferimento ai primi tre motivi di ricorso, deve essere ribadita la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale nel reato di invasione di terreni o edifici di cui all’art. 633 cod. pen. la nozione di “invasione” non si riferisce all’aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento
di colui che si introduce “arbitrariamente”, ossia ” contra ius ” in quanto privo del diritto d’accesso, cosicché la conseguente “occupazione” costituisce l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione.
Sul punto, si veda anche Sez.2, n. 27041 del 24/03/2023, COGNOME, Rv. 284792: ‘integra il reato di cui all’art. 633 cod. pen. la condotta di chi, ospitato in un immobile di edilizia residenziale pubblica in virtù del rapporto di parentela con il legittimo assegnatario, vi permanga anche dopo il decesso di quest’ultimo, comportandosi come “dominus” o possessore. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'”invasione” va intesa nel senso di introduzione arbitraria non momentanea nell’edificio altrui allo scopo di occuparlo o, comunque, di trarne profitto, restando indifferenti i mezzi ed i modi con i quali essa avviene, non essendo necessaria la ricorrenza del requisito della clandestinità e risultando irrilevante che gli imputati avessero corrisposto i canoni di locazione all’Istituto proprietario dell’immobile) ‘
Nella motivazione della sentenza da ultimo citata si evidenzia che ‘i l reato di invasione deve, dunque, ritenersi configurabile ogniqualvolta si occupa un immobile sine titulo e come occupazione di un immobile sine titulo devono considerarsi le condotte di chi subentra nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore ovvero di chi occupa l’immobile a titolo di mera cortesia o ancora, come nel caso oggetto di scrutinio, in virtù di un rapporto di parentela con l’originario e legittimo assegnatario. La conseguente “occupazione” deve ritenersi, pertanto, l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione ‘.
Pertanto, è irrilevante che i ricorrenti fossero rimasti nel possesso dell’immobile, considerato che il permanere nell’immobile occupato dopo la morte del precedente assegnatario integra il reato per quanto sopra precisato; inoltre, vengono proposte censure di merito sulla ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di merito, inammissibili nella presente sede.
Quanto alla eccepita mancanza dell’elemento p sicologico, si osserva che il dolo specifico del delitto di invasione di terreni o edifici si compone della finalità di occupare l’immobile o di trarne altrimenti profitto e presuppone che l’agente sia consapevole dell’ altruità del bene, e per ‘ immobile altrui’ si deve intendere appunto quello in cui l’agente non ha diritto di introdu rsi per occuparlo o per trarne, altrimenti, un profitto.
1.2 Relativamente alla mancata applicazione dell’art.131 -bis cod. pen., la motivazione della Corte di appello è contenuta a pag.6 della sentenza impugnata, nella quale viene evidenziata la non esiguità del danno, il fatto che i ricorrenti non
abbiano lasciato l’immobile dopo il controllo e gli elementi dai quali non si poteva ritenere che gli imputati fossero in stato di indigenza; sul punto, il motivo di ricorso pretende di fornire una inammissibile rivalutazione delle risultanze processuali.
1.3 E’ invece fondato l’ultimo motivo di ricorso; alla Quintavalle non è stato concesso il beneficio della non menzione, ‘essendo stata lei a organizzare l’azione illecita, in ragione della personalità emergente dal certificato del casellario giudiziale e non esseno valutabili per converso elementi favorevoli per ritenere concreta la possibilità di ravvedimento in futuro’ (così la motivazione della Corte di appello); la motivazione è però errata, posto che dal certificato penale in atti risulta che la ricorrente era incensurata.
Ciò premesso, è pacifico che il giudice di merito, nell’esercizio del suo potere discrezionale incidente sulla valutazione delle circostanze di cui all’art. 133 cod. pen., possa concedere alcuni benefici di legge ed escluderne altri, in considerazione della diversa natura e finalità dei benefici stessi. In particolare, secondo costante insegnamento di questa Corte di legittimità, il beneficio della non menzione persegue lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato, mentre la sospensione condizionale della pena ha l’obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilità di revoca, un’efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale. Non è dunque in sé contraddittorio il diniego di uno dei due benefici e la concessione dell’altro (Cass., Sez. 3, n. 56100 del 9 novembre 2018).
Tuttavia, ove venga concesso uno dei benefici, come nel caso in esame, in cui è stata disposta la sospensione condizionale della pena, individuando una serie di elementi valutabili in senso favorevole all’imputato, e venga invece negato l’altro, tale determinazione discrezionale deve essere sorretta da una motivazione congrua e puntuale, che esponga le ragioni per le quali gli elementi valutabili favorevolmente per la concessione dell’uno non siano meritevoli di fondare la concessione dell’altro beneficio, oppure sottolinei l’emergere di altri elementi di segno negativo nell’ottica del beneficio da negarsi.
Onere motivazionale che non risulta rispettato nella sentenza gravata, che pone a fondamento della propria decisione, la mancata concessione della non menzione, che pure era stata richiesta in atto di appello un presupposto errato (la non incensuratezza dell’imputata) .
La sentenza impugnata va dunque annullata limitatamente al punto concernente la valutazione del beneficio della non menzione, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte d’appello di Bari, altra Sezione, con declaratoria di inammissibilità nel resto del ricorso
Annulla la sentenza impugnata, nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al l’applicabilità dell’art. 175 cod. pen. , con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bari. Dichiara inammissibile nel resto il ricors o e definitivo l’accertamento di responsabilità.
Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/06/2025