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Invasione di edifici: restare dopo la morte del titolare

La Corte di Cassazione ha confermato che commette il reato di invasione di edifici chi permane in un immobile di edilizia pubblica dopo il decesso del legittimo assegnatario, anche se l’ingresso iniziale era avvenuto lecitamente. La permanenza “sine titulo” integra l’occupazione abusiva. Tuttavia, la Corte ha annullato con rinvio la parte della sentenza che negava il beneficio della non menzione a un’imputata, poiché la decisione si basava sull’erroneo presupposto che avesse precedenti penali, mentre in realtà era incensurata.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Invasione di Edifici: Quando Restare in Casa d’Altri Diventa Reato

Il concetto di invasione di edifici evoca spesso immagini di ingressi forzati e occupazioni violente. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione ci ricorda che questo reato può configurarsi anche in circostanze apparentemente pacifiche. Il caso analizzato riguarda la permanenza in un alloggio di edilizia popolare dopo il decesso del legittimo assegnatario. La Suprema Corte ha chiarito che, anche se l’ingresso iniziale era lecito, la continuazione della detenzione senza averne più titolo integra il reato.

I Fatti: Dall’Assistenza Familiare all’Occupazione Illecita

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condotta di una donna e del suo compagno, i quali vivevano in un’abitazione assegnata alla madre di lei. Inizialmente, la loro presenza era giustificata dalla necessità di prestare assistenza all’anziana. Dopo il decesso di quest’ultima, però, la coppia ha continuato a risiedere nell’immobile senza alcun titolo legittimo.

Per questo motivo, venivano condannati in primo e secondo grado per il reato di invasione di terreni o edifici in concorso. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che non si potesse parlare di ‘invasione’, dato che l’accesso originario era autorizzato e che la loro permanenza era una mera continuazione di una situazione preesistente.

La Decisione della Corte sulla configurazione dell’invasione di edifici

La Corte di Cassazione ha rigettato gran parte dei motivi di ricorso, confermando la sussistenza del reato. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: la nozione di ‘invasione’ non si riferisce necessariamente a una condotta violenta o clandestina, ma all’introduzione arbitraria, ovvero contra ius (contro il diritto), in un immobile altrui.

La Corte ha specificato che rimanere in un immobile di edilizia residenziale pubblica dopo la morte del legittimo assegnatario, comportandosi come proprietari o possessori, integra pienamente il reato. L’arbitrarietà della condotta risiede proprio nel permanere sine titulo, ossia senza avere più alcun diritto a occupare l’alloggio. L’occupazione che ne consegue è l’estrinsecazione materiale della condotta vietata dalla norma.

Il Vizio di Motivazione: L’Annullamento Parziale della Sentenza

Se da un lato la Cassazione ha confermato la colpevolezza degli imputati, dall’altro ha accolto un motivo di ricorso specifico sollevato dalla figlia dell’ex assegnataria. Ai giudici di merito era stato chiesto di concederle il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale. Tale richiesta era stata respinta sulla base di due presupposti: la sua presunta personalità negativa e la presenza di precedenti penali.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha accertato che quest’ultimo presupposto era palesemente errato. Dagli atti processuali emergeva, infatti, che la donna era incensurata. La decisione dei giudici d’appello era quindi viziata da un errore di fatto determinante.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si articola su due binari. Sul fronte della configurabilità del reato, i giudici hanno richiamato la giurisprudenza secondo cui il delitto di invasione di edifici si perfeziona con l’occupazione di un immobile altrui senza averne diritto, allo scopo di trarne un profitto. La consapevolezza dell’altruità del bene e l’assenza di un diritto di introdursi o permanere integrano il dolo specifico richiesto dalla norma. È irrilevante che l’ingresso iniziale fosse legittimo; ciò che conta è la successiva permanenza abusiva dopo il venir meno del titolo che la giustificava.

Sul fronte processuale, la Corte ha censurato la motivazione della sentenza d’appello laddove negava il beneficio della non menzione. Un giudice non può fondare una decisione discrezionale, come quella sulla concessione di un beneficio di legge, su un presupposto fattuale errato. Aver ritenuto l’imputata gravata da precedenti penali, quando invece era incensurata, costituisce un vizio logico e motivazionale che inficia la validità di quella specifica parte della decisione.

Le Conclusioni

La sentenza offre due importanti spunti di riflessione. Primo, chiarisce che il reato di invasione di edifici ha una portata ampia e può includere anche la permanenza non autorizzata in un immobile dopo la cessazione del diritto di abitazione. Questo è particolarmente rilevante nel contesto dell’edilizia pubblica. Secondo, evidenzia l’importanza del rigore motivazionale nelle decisioni giudiziarie. Un errore di fatto, specialmente se relativo a circostanze decisive come i precedenti penali di un imputato, può portare all’annullamento, seppur parziale, di una sentenza, garantendo che le decisioni siano fondate su una corretta valutazione degli elementi processuali.

Rimanere in una casa popolare dopo la morte del parente assegnatario è reato?
Sì. Secondo la sentenza, la condotta di chi, pur essendo entrato legittimamente nell’immobile per assistere un parente, vi permanga dopo il decesso di quest’ultimo senza averne titolo, integra il reato di invasione di edifici (art. 633 c.p.).

Per commettere il reato di invasione di edifici è necessario entrare con la forza?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il concetto di ‘invasione’ non implica necessariamente una condotta violenta o clandestina, ma si riferisce all’introduzione o alla permanenza ‘contra ius’, cioè priva di un diritto che la giustifichi.

Un errore sui precedenti penali di un imputato può portare all’annullamento della sentenza?
Sì, limitatamente alla parte viziata. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha annullato la decisione di negare il beneficio della non menzione perché basata sull’erroneo presupposto che l’imputata avesse precedenti penali. Un errore di fatto così rilevante costituisce un vizio di motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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