Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36565 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36565 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Data Udienza: 16/10/2025
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME
– Relatore –
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Castellammare di Stabia il DATA_NASCITA avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona del 28/02/2025 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; rilevato che il procedimento Ł stato trattato in camera di consiglio, senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini, secondo quanto disposto dagli artt. 610, comma 5 e 611, comma 1-bis e ss. cod. proc. pen.;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28/02/2025 la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno, che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di mesi 4 di reclusione ed € 200 di multa per il reato di cui all’art. 640 cod. pen., ha revocato la sospensione condizionale della pena a lui concessa dal giudice di primo grado, confermando nel resto la sentenza appellata.
I fatti come ricostruiti dalle sentenze di merito possono essere così riassunti: la persona offesa NOME COGNOME, rispondendo ad un annuncio su internet che pubblicizzava l’offerta di locazione di una abitazione per le vacanze in località Aprica, era stata indotta dal sedicente locatore, col quale aveva intrattenuto contatti telefonici, a versare, a titolo di acconto, la somma di 400 euro a mezzo bonifico su una carta postepay; postepay poi risultata intestata a NOME COGNOME ma di fatto riconducibile all’imputato; la p.o. non aveva poi potuto usufruire dell’appartamento locato essendosi la controparte resa irreperibile dopo il pagamento.
Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato COGNOME, tramite il suo difensore di fiducia, deducendo i motivi che di seguito si enunciano nei limiti strettamente necessari alla motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo di ricorso la difesa ha dedotto mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nonchØ inosservanza o erronea applicazione di legge ex art. 606 lett. b), c) d) ed e) cod. proc. pen. A detta del ricorrente la Corte di appello si sarebbe limitata a motivare per relationem, con un semplice rinvio alla sentenza del primo giudice, omettendo di motivare sugli specifici motivi di gravame che l’appellante aveva
proposto soprattutto in relazione alla inutilizzabilità delle dichiarazioni del teste NOME COGNOME – inutilizzabilità derivante dalle ragioni esposte nel secondo motivo di ricorso – e alla inattendibilità dello stesso.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nonchØ inosservanza ed erronea applicazione di legge processuale. In sintesi la difesa rileva che il testimone d’accusa NOME COGNOME avrebbe dovuto essere sentito dal Tribunale come coimputato nel medesimo reato ex art. 210 cod. proc. pen. (o quanto meno come testimone assistito ex art. 197-bis cod. proc. pen.) e non, come accaduto, come semplice testimone. Evidenziava il difensore che, già nella fase delle indagini, era emerso che NOME COGNOME era il titolare della carta postepay sulla quale il provento della truffa era stato accreditato ed era altresì l’intestatario dell’utenza con la quale la COGNOME aveva intrattenuto le trattative col sedicente locatore, il quale durante le telefonate aveva detto di chiamarsi NOME. Tali elementi concretizzavano gravi indizi di responsabilità a carico del NOME, il quale (sebbene mai indagato) avrebbero dovuto essere sentito dal Tribunale ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., con tutte le garanzie di legge, e non anche come testimone. Le dichiarazioni del NOME erano quindi inutilizzabili. Inoltre le suddette dichiarazioni, nella parte in cui NOME accusava il COGNOME di essere il soggetto che gli aveva chiesto di attivare la postepay utilizzata per commettere il reato e di consegnargli le somme che ivi la COGNOME aveva accreditato, avrebbero dovuto essere valutate ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen. e dunque acquisendo riscontri estrinseci, che nel caso in esame non sussistevano. Secondo il ricorrente, la Corte di appello, nonostante fosse stata investita della questione con specifico motivo di gravame, aveva omesso di motivare sul punto, limitandosi ad affermare apoditticamente che non vi erano elementi per ritenere il COGNOME concorrente nel reato e che le sue dichiarazioni erano dettagliate e attendibili.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nonchØ inosservanza ed erronea applicazione di legge. Evidenzia la difesa che i giudici di merito hanno ritenuto responsabile il COGNOME del reato, pur in difetto di prova in ordine alla riconducibilità del fatto materiale al suo assistito; ed invero l’unico elemento a carico del COGNOME era rappresentato proprio dalle dichiarazioni, inutilizzabili (e comunque non riscontrate) del NOME NOME; ed infatti il coinvolgimento dell’imputato nella truffa, non essendo mai stato identificato l’interlocutore della COGNOME, era stato desunto unicamente dal fatto che il NOME aveva riferito di aver attivato la postepay su richiesta dell’imputato e di aver a lui consegnato le somme che la persona offesa vi aveva accreditato a titolo di acconto per la locazione dell’appartamento.
2.4. Con il quarto motivo di impugnazione si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena e alla revoca della sospensione condizionale della pena.
2.5. Il 26/09/2025 la difesa ha inviato memoria con la quale ha ribadito gli argomenti già esposti nei motivi di ricorso insistendo per l’accoglimento dell’impugnazione e il conseguente annullamento della sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo e il secondo motivo di ricorso – che possono essere trattati congiuntamente essendo strettamente connessi – sono fondati nei limiti e per le ragioni di seguito indicate.
1.1. Dalla sentenza di primo e di secondo grado e dagli atti del processo – ai quali questa Corte può accedere essendo stata sostanzialmente denunciata violazione di norme processuali previste a pena di nullità o inutilizzabilità – emerge che: a) all’udienza dibattimentale del 17/05/2023 NOME COGNOME Ł stato sentito come testimone d’accusa ai
sensi dell’art. 194 cod. proc. pen. (va detto che in quella sede nulla ha osservato il difensore dell’imputato in ordine alle modalità di escussione del soggetto); b) in quella occasione il teste ha dichiarato che la poste pay sulla quale la persona offesa (COGNOME NOME) aveva accreditato i 400 euro provento della truffa l’aveva attivata lui, la carta era nella sua disponibilità ed era stato lui a prelevare dalla stessa la somma ivi versata dalla querelante; il tutto era però avvenuto, a detta del teste, su richiesta del suo amico, l’odierno imputato NOME COGNOME, il quale, tacendogli della truffa perpetrata, gli aveva chiesto di fargli un favore; favore che lui non si era sentito di rifiutargli e in cambio del quale aveva ricevuto qualche decina di euro; c) quando il NOME COGNOME Ł stato sentito, era già stata escussa in una precedente udienza (06/04/2023), la querelante, NOME COGNOME, la quale, non solo aveva confermato che il truffatore (col quale aveva avuto solo contatti telefonici e telematici) le aveva chiesto di trasferire la somma di 400 euro su una poste pay intestata a NOME di cui le venivano forniti gli estremi (p. 7 della sentenza di appello), ma che tale interlocutore telefonico le si era sempre presentato con il nome di NOME (vedi pp. 3 e 4 della sentenza di primo grado).
A fronte di ciò, la difesa dell’imputato, con l’atto di appello, aveva sostanzialmente devoluto alla Corte la questione relativa alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME e della veste processuale con cui il dichiarante avrebbe dovuto essere sentito in dibattimento (vale a dire come coimputato nello stesso reato e non anche come semplice testimone), pur dando atto che, nonostante gli elementi a suo carico emersi il soggetto non fosse mai stato sentito nel corso del procedimento come persona indagata. Inutile evidenziare che, come correttamente rilevato dal difensore nel terzo motivo di ricorso, le dichiarazioni del teste NOME COGNOME erano da ritenersi certamente decisive ai fini della affermazione della responsabilità del COGNOME, atteso che quanto riferito dal suddetto testimone costituiva l’unico elemento che consentiva di ricollegare i fatti accertati all’odierno imputato.
Sul punto, la Corte di appello, pur rilevando che ‘la situazione esposta dal teste’ fosse ‘meritevole di attenta valutazione’, ha rigettato l’eccezione di inutilizzabilità assumendo (p. 6 della sentenza): che non emergevano elementi sufficienti a configurare un concorso materiale tra il COGNOME e il COGNOME; ciò in quanto il testimone, nelle dichiarazioni rese al dibattimento, era risultato chiaro, coerente, collaborativo e in buona fede; il difensore dell’imputato, inoltre, non aveva sollevato eccezioni o rilievi al momento dell’assunzione delle dichiarazioni.
1.2. Questa Corte ritiene che si tratti di una motivazione viziata, nonchØ contraddittoria e manifestamente illogica.
E’ doveroso premettere che dagli atti disponibili trasmessi a questa Corte non risulta che il NOME sia stato indagato dal PM per la truffa in danno della COGNOME e che lo stesso sia stato mai processato, giudicato o archiviato in relazione a tale delitto.
Ciò detto, giova altresì premettere che secondo il prevalente e condivisibile orientamento di questa Suprema Corte ‘in tema di prova dichiarativa, allorchØ venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l’avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, con la conseguente necessaria escussione non già come testimone, bensì quale imputato di reato connesso ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen.’ (Sez. 6, Sentenza n. 25425 del 04/03/2020, COGNOME, Rv. 279606 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 39498 del 25/06/2021, COGNOME, Rv. 282030 – 01). Il tema, piø volte affrontato dalla giurisprudenza di legittimità, Ł in sostanza quello del se la qualificazione del dichiarante, che sia stato escusso
nel corso delle indagini non come persona formalmente indagata e che non sia mai stato iscritto nel registro delle notizie di reato, possa poi essere rivista, ed eventualmente mutata, dal giudice del dibattimento, sul presupposto che per quella persona, al momento in cui le dichiarazioni debbano essere assunte in dibattimento, esistano indizi che impongano di attribuirle la posizione sostanziale di soggetto indagato (per lo stesso reato ovvero per un reato connesso o collegato probatoriamente a quello per il quale si procede). La questione consiste cioŁ nel verificare se vi sia, e quale sia, il rimedio, quando il giudice dibattimentale si trovi di fronte a un soggetto citato come testimone, mai formalmente iscritto nel registro degli indagati ed a carico del quale emergano indizi di reità, che possono manifestarsi in due modi: possono affiorare dalle dichiarazioni stesse del testimone nel corso dell’esame, oppure possono essere rilevabili già prima, in base ad altre e diverse risultanze probatorie. Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione chiarendo che ‘allorchØ venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e, quindi, al di là del riscontro di indici formali – come l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità’ (Sez. U., n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246581). In particolare la pronuncia chiarisce che ove si subordinasse l’applicazione della disposizione di cui all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen. alla iniziativa del pubblico ministero di iscrizione del dichiarante nel registro ex art 335 cod. proc. pen., si finirebbe col fare assurgere la condotta del pubblico ministero a requisito positivo di operatività della disposizione, quando sarebbe invece proprio la omissione antidoverosa di quest’ultimo ad essere oggetto del sindacato in vista della dichiarazione di inutilizzabilità”. L’acquisto di fatto della qualità di indagato attribuita dal giudice dibattimentale secondo i parametri sopra esposti – comporta poi ovviamente l’applicabilità al dichiarante dell’insieme di previsioni dedicate all’imputato, ossia, nel giudizio dibattimentale, lo svolgimento dell’esame con le garanzie di cui all’art. 210 cod. proc. pen., ma anche l’applicazione della disposizione (strettamente collegata e complementare all’art. 210) di cui all’art. 63 cod. proc. pen.; disposizione quest’ultima che, come Ł noto, configura un congegno che, al comma 2, mira a colpire il tentativo di interpellare una persona facendole credere di dover collaborare con l’autorità giudiziaria, quando invece potrebbe astenersi da qualsivoglia cooperazione, tacendo legittimamente ed avvalendosi dell’assistenza di un difensore. Quanto invece ai requisiti e ai presupposti in presenza dei quali il giudice del dibattimento può (e deve) rivalutare le modalità e la veste con la quale il dichiarante deve essere escusso, le Sezioni Unite ‘Mills’ hanno ribadito la necessità che il giudice che procede all’assunzione della prova sia a conoscenza, già prima dell’esame o dell’escussione, di elementi già sussistenti in quel momento qualificabili quali indizi non equivoci di reità; ed Ł stato altresì espressamente rilevato che il giudice «per potere applicare la norma di cui all’art. 210 cod. proc. pen., deve essere messo in condizione di conoscere la situazione di incapacità a testimoniare o di incompatibilità, le quali, quindi, se non risultano dagli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento, devono essere dedotte dalla parte esaminata o comunque da colui che chiede l’audizione della persona imputata o indagata in un procedimento connesso o collegato».
1.3. Ciò chiarito, nel caso in esame, la motivazione con la quale la Corte di appello di Ancona ha ritenuto di poter superare la questione posta dall’appellante Ł del tuttocontraddittoria (se non apparente). La Corte, per quanto sopra esposto, era chiamata a verificare se, nel momento in cui il NOME Ł stato sentito al dibattimento, vi erano
elementi (già noti) in forza dei quali lo stesso, a prescindere dalle scelte processuali operate dal PM (vale a dire di iscriverlo o non iscriverlo nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen.), dovesse essere considerato come un potenziale coimputato nel reato. Il giudice di appello era altresì tenuto a verificare se, nel momento in cui il teste Ł stato escusso, le dichiarazioni da lui rese – in ordine al fatto che la carta poste pay era sua ed era sempre rimasta in suo possesso (escludendo quindi una eventuale attivazione a sua insaputa ovvero un utilizzo indebito da parte di terzi che gliel’avevano sottratta) – potessero o meno essere qualificate come auto indizianti e dunque imponessero o meno l’interruzione dell’esame ex art. 63, comma 1, cod. proc. pen.
Il Giudice di appello ha invece sostanzialmente omesso di effettuare le verifiche che l’appellante sollecitava, escludendo la sussistenza dei presupposti dell’applicazione degli artt. 63 e 210 cod. proc. pen. con una sorta di (non ammissibile) valutazione ‘a posteriori’. In altri termini, anzichØ verificare se prima o durante l’assunzione della testimonianza esistessero elementi per ritenere il NOME indagabile o imputabile (con conseguente necessità di mutare la posizione del dichiarante), ha invece escluso l’esistenza di tali elementi proprio e solo sulla base del contenuto delle dichiarazioni del NOME stesso. In sostanza il giudice di appello ha affermato che poichØ le dichiarazioni rese dal NOME COGNOME in dibattimento erano coerenti e chiare, e poichØ lo stesso era stato collaborativo ed era da ritenersi in buona fede, si doveva escludere che lo stesso potesse essere sospettato di concorso nel reato contestato al COGNOME (e dovesse dunque essere escusso ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen.). E’ però evidente che si Ł così venuto a creare una sorta di corto circuito logico-giuridico, posto che si Ł fatta discendere la decisione sulla veste processuale del dichiarante (e sulla conseguente inutilizzabilità delle sue dichiarazioni) dal contenuto stesso delle dichiarazioni di cui si doveva valutare l’utilizzabilità. In questo senso la motivazione del giudice di appello risulta contraddittoria e intrinsecamente illogica.
A ciò si aggiunga che, la Corte, in conseguenza della errata impostazione del ragionamento, ha poi completamente omesso di motivare sugli elementi che l’appellante aveva indicato nei motivi di appello e in forza dei quali, a suo dire, il NOME COGNOME non poteva essere escusso come testimone.
1.4. E’ poi appena il caso di rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di appello, a nulla rileva il fatto che il difensore del COGNOME, nel giudizio di primo grado all’udienza del 17/05/2023, non si era opposto all’assunzione della testimonianza del COGNOME e non aveva sollevato eccezioni al riguardo. Ed infatti, come detto, il problema delle modalità con cui un soggetto deve essere sentito nel processo Ł un problema che il giudice si deve porre d’ufficio (e quindi a prescindere dall’eccezione di parte), allorquando disponga di elementi di giudizio che pongano alla sua attenzione tale problema; ciò tanto piø che, dall’errata decisione in ordine alle modalità di escussione discendono conseguenze, vale a dire l’inutilizzabilità delle dichiarazioni ex art. 63 cod. proc. pen., che sono comunque rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento giusto il disposto dell’art. 191, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 1, Sentenza n. 20834 del 01/03/2023 Rv. 284539 – 01). 1.5. L’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, sotto il profilo del difetto di motivazione sul punto sopra indicato, impone l’annullamento della sentenza con rinvio alla Corte di appello di Perugia (da individuarsi come giudice competente ex art. 623 lett. c) cod. proc. pen. in quanto corte piø vicina a quella di Ancona dotata di un’unica sezione penale). Il giudice di rinvio dovrà quindi rivalutare le modalità con le quali NOME COGNOME poteva e doveva essere sentito nel dibattimento e conseguentemente la utilizzabilità/inutilizzabilità delle dichiarazioni dibattimentali dallo stesso rese. Il tutto sulla base dei criteri e dei principi
sopra indicati, vale a dire verificando se, prima della deposizione, vi erano elementi che impedivano di sentirlo come testimone, e/o, se la sua escussione andasse o meno interrotta ex art. 63 comma 1 cod. proc. pen. in virtø di quanto dallo stesso dichiarato. All’esito di tale rivalutazione la Corte adotterà le statuizioni e/o le ulteriori iniziative processuali che riterrà dalla stessa conseguenti.
2. I motivi di ricorso accolti hanno carattere preliminare e pregiudiziale e dunque esonerano questa Corte dall’esame delle questioni oggetto degli ulteriori motivi (terzo e quarto) che debbono ritenersi assorbiti. Sulle questioni oggetto dei motivi assorbiti – che sono discendenti logicamente e giuridicamente dalla rivalutazione della questione decisa da questa Corte – resta impregiudicata, ex art. 627, comma 3, cod. proc. pen. la cognizione del giudice di rinvio
P.Q.M
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia. Così Ł deciso, 16/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME