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Inutilizzabilità testimonianza: il teste è coimputato?

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per truffa basata esclusivamente sulla deposizione di un testimone. La Corte ha stabilito l’inutilizzabilità della testimonianza poiché il teste, titolare della carta prepagata usata per la truffa, presentava gravi indizi di colpevolezza e avrebbe dovuto essere sentito come coimputato, con le relative garanzie difensive, e non come semplice testimone.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inutilizzabilità della Testimonianza: Quando il Teste è in Realtà un Coimputato?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione riaccende i riflettori su un principio cardine del processo penale: la corretta qualificazione di chi rende dichiarazioni. Il caso, originato da una truffa online, ha portato all’annullamento di una condanna proprio a causa della potenziale inutilizzabilità della testimonianza decisiva. La Corte ha chiarito che, se emergono seri indizi di colpevolezza a carico di un testimone, questi non può essere sentito come un teste comune, ma deve godere delle garanzie previste per l’imputato.

I Fatti: La Truffa dell’Affitto per le Vacanze

Tutto ha inizio con un annuncio online per l’affitto di una casa vacanze. La persona offesa, interessata all’offerta, contatta il sedicente locatore e, convinta della bontà dell’affare, versa un acconto di 400 euro su una carta prepagata. Subito dopo il pagamento, l’interlocutore sparisce nel nulla.

Le indagini rivelano che la carta prepagata e l’utenza telefonica utilizzata per i contatti sono intestate a un soggetto, che viene chiamato a testimoniare nel processo a carico di un terzo, identificato come il vero artefice della truffa. Il testimone, nel corso della sua deposizione, ammette di aver attivato la carta e prelevato il denaro, ma sostiene di averlo fatto come ‘favore’ per l’imputato, ignorando l’intento fraudolento. La sua testimonianza diventa così l’unico elemento che collega l’imputato al reato.

Il Percorso Giudiziario e l’Eccezione di Inutilizzabilità della Testimonianza

Sia in primo grado che in appello, l’imputato viene condannato per truffa, proprio sulla base delle dichiarazioni del testimone, ritenute credibili e dettagliate. Tuttavia, la difesa solleva un punto cruciale nel ricorso per cassazione: il testimone non avrebbe mai dovuto essere sentito come tale. Essendo intestatario della carta su cui è confluito il profitto del reato e dell’utenza usata per la truffa, su di lui gravavano pesanti indizi di correità. Pertanto, avrebbe dovuto essere sentito come coimputato ai sensi dell’art. 210 del codice di procedura penale, con tutte le garanzie del caso, tra cui la facoltà di non rispondere e l’assistenza di un difensore.

L’ascolto come semplice testimone, secondo la difesa, avrebbe reso le sue dichiarazioni processualmente viziate e quindi affette da inutilizzabilità della testimonianza.

La Valutazione Sostanziale del Giudice e la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, censurando la decisione della Corte di appello con una motivazione logicamente impeccabile. I giudici di legittimità hanno sottolineato che la valutazione sulla qualifica processuale di un dichiarante non può basarsi sul contenuto della sua stessa testimonianza. È un errore logico-giuridico, un ‘corto circuito’, affermare che un testimone è attendibile e quindi non è un complice, per poi usare proprio quella testimonianza come prova.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ribadisce un principio fondamentale: spetta al giudice il potere-dovere di verificare in termini sostanziali la posizione di chi dichiara, a prescindere dalla sua formale iscrizione nel registro degli indagati. Se, prima o durante l’esame, emergono elementi qualificabili come indizi di reità, il giudice deve interrompere l’esame e applicare le garanzie previste per l’imputato (art. 63 c.p.p.).

La Corte di appello, invece, aveva omesso questa valutazione preliminare, limitandosi a giudicare ‘a posteriori’ la credibilità del teste, senza affrontare il problema della sua potenziale veste di coimputato. L’inutilizzabilità della testimonianza acquisita in violazione di queste regole è una sanzione processuale forte, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, poiché tutela il diritto al silenzio e al contraddittorio.

Le Conclusioni

La sentenza è stata annullata con rinvio a una nuova sezione della Corte di appello. Il nuovo giudice dovrà, prima di tutto, rivalutare la posizione processuale del dichiarante. Dovrà stabilire se, sulla base degli atti, egli potesse e dovesse essere sentito come testimone o se, al contrario, vi fossero elementi sufficienti per qualificarlo come indagato di reato connesso. Da questa decisione preliminare dipenderà la sorte della sua testimonianza e, di conseguenza, dell’intero impianto accusatorio. Questa pronuncia riafferma con forza che le garanzie procedurali non sono meri formalismi, ma costituiscono il fondamento di un giusto processo e non possono essere aggirate da valutazioni di merito che si basano su prove potenzialmente illegittime.

Un testimone può essere considerato come un coimputato anche se non è formalmente indagato?
Sì. La Corte di Cassazione ha specificato che il giudice ha il dovere di valutare la posizione sostanziale di chi rende dichiarazioni. Se esistono gravi indizi di reità a suo carico, deve essere trattato come un imputato di reato connesso, con le relative garanzie, indipendentemente dal fatto che sia stato o meno formalmente iscritto nel registro degli indagati.

La testimonianza di una persona che avrebbe dovuto essere indagata è utilizzabile nel processo?
No. Se una persona viene sentita come semplice testimone quando avrebbe dovuto essere sentita con le garanzie dell’imputato (ai sensi dell’art. 210 c.p.p.), le sue dichiarazioni sono inutilizzabili. Questo vizio processuale impedisce al giudice di basare la propria decisione su tali dichiarazioni.

Come deve comportarsi il giudice se durante una testimonianza emergono indizi di colpevolezza a carico del teste?
Il giudice deve interrompere l’esame testimoniale, come previsto dall’art. 63 del codice di procedura penale. Deve avvertire il dichiarante che potrebbero emergere indizi di reità a suo carico e che le sue dichiarazioni potrebbero essere usate contro di lui. A quel punto, il procedimento deve seguire le regole previste per l’esame di un indagato o imputato, non più quelle di un semplice testimone.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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