Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7275 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1   Num. 7275  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/01/2024 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso; udito il difensore, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato la pronuncia, del 27 giugno 2022, del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli che aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile dei reati di detenzione, porto illegale di armi da sparo e tentato omicidio in danno di NOME COGNOME, reato aggravato dalla premeditazione e dalla circostanza aggravante del me todo mafioso e, esclusa l’aggravante di cui all’art. 577, primo comma, n. 4 cod. pen. in relazione all’art. 61, n. 1 cod. pen. contestata con riferimento al capo b) di imputazione, unificati i reati ex art. 81 cpv. cod. pen., lo aveva condanNOME, con la diminuente per il rito, alla pena di anni dieci di reclusione, oltre pene accessorie.
 Con  ricorso  tempestivamente proposto, la difesa di  NOME  COGNOME ha addotto motivi a fondamento della richiesta di annullamento della sentenza impugnata, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo di ricorso afferisce al vizio di cui all’art. 606 lett. c), e), cod. proc. pen., per violazione, ovvero falsa applicazione, dell’art. 268 cod . proc. pen. in relazione agli artt. 271 e 191 cod. proc. pen., altresì, invocandosi manifesta illogicità delle motivazioni riservate dalla decisione impugnata all’eccezione di inutilizzabilità dell’intercettazione ambientale del video -colloquio, avvenuto presso la Casa circondariale di Taranto, tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, realizzata attraverso impianti esterni e non per tramite di quelli installati presso la Procura della Repubblica di Napoli.
Il ricorrente lamenta l’avvenuto impiego, per l’effettuazione della captazione  dell’incontro  all’interno  dell’istituto  di  pena  tra gli  NOME,  padre  e figlio,  di  impianti  diversi  da  quelli  installati  presso  la  Procura  procedente,  in difetto della specifica motivazione richiesta dalla legge per il relativo decreto.
Si contesta la congruità delle ragioni addotte dalla Corte di appello che, richiamando  quanto  affermato  dal  Giudice  di  primo  grado,  si  esporrebbero  a duplice rilievo.
La giurisprudenza relativa alle motivazioni a sostegno della scelta di ricorrere ad impianti esterni alla Procura procedente non è univoca, ma andrebbe considerata la funzione sottesa all’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., insita nella possibilità, da parte dell’ Autorità giudiziaria, di effettuare un controllo immediato sulle operazioni. Sicché la deroga è subordinata alla duplice condizione dell ‘ insufficienza o inidoneità degli impianti e delle eccezionali ragioni di urgenza, anche alla luce dell’insufficienza del mero rifer imento a necessità investigative: il riferimento motivazionale alla mera eventualità di necessità investigative, richiamate nel caso di specie, si rivelerebbe, quindi, lacunoso.
Muovendo  da  tali  premesse,  il  ricorrente  domanda  che  sia  dichiarata l’inutilizzabilità  dell’intercettazione  di  cui  al  decreto n.  3201/2021,  considerato dai giudici di merito il principale elemento  di riscontro alle dichiarazioni accusatorie della vittima, rese ai Carabinieri presso l’ospedale ove era ricoverato , con conseguente annullamento della sentenza impugnata per difetto di motivazione in ordine alla responsabilità dell’imputato.
2.2. Con il secondo motivo si adduce, ai sensi dell’art. 606 lett. c), e) cod. proc.  pen.,  la  violazione,  ovvero  falsa  applicazione,  degli  artt.  351,  362  cod. proc. pen. in relazione agli artt. 191, 195, 197, 197bis cod. proc. pen., nonché omessa  motivazione  e  travisamento  degli  elementi  di  prova  con  riguardo all’eccezione  di  inutilizzabilità  delle  dichiarazioni  rese  dalla  persona  offesa  in
occasione dell’audizione  presso  l’ospedale  ove  era  stata  ricoverata. Inoltre,  si denuncia violazione, ovvero falsa applicazione, degli artt. 188 e 191 cod. proc. pen.,  nonché  manifesta  illogicità  delle  motivazioni  riservate  all’eccezione  di inutilizzabilità  delle  me desime  dichiarazioni,  in  merito  all’impiego  di  metodi  e tecniche  idonei  ad  influire  sulla  libertà  di  autodeterminazione  della  persona offesa.
Il  ricorrente -ripercorrendo il ricovero della vittima e l’arrivo d i  militari operanti al suo capezzale -rammenta che la trascrizione delle dichiarazioni rese era stata veicolata all’interno del compendio istruttorio quale prova documentale.
Si richiamano, al riguardo, i principi di Sez. U, ricorrente COGNOME , in tema di inutilizzabilità della registrazione fonografica effettuata clandestinamente da parte del personale di Polizia giudiziaria, rappresentativa di colloqui intercorsi, per quanto rileva, con persone informate dei fatti, per violazione di tale modalità acquisitiva del principio di legalità nella formazione della prova (violazione dei divieti di cui agli artt. 63, comma 2, 191, 195, comma 4, 203 cod. proc. pen.).
La difesa assume che gli operanti avrebbero violato le regole desumibili dal combiNOME disposto degli artt. 351, 362, in riferimento agli artt. 197 e 197bis cod. proc. pen., in quanto sarebbe stata loro nota la posizione soggettiva di indagato di reato connesso in capo alla vittima del tentato omicidio, come discenderebbe dalle annotazioni del primo giudice che, nel ritenere la sussistenza della circostanza aggravante del metodo mafioso, aveva valorizzato la ragione del gesto, determiNOME dalla necessità di affermare la leadership di NOME COGNOME e del clan a lui riconducibile.
In sede di riesame, era stato, altresì, ricordato che la persona offesa (come si evinceva dall’informativa della Squadra mobile RAGIONE_SOCIALE Napoli del 18 maggio 2021) era stata arrestata per detenzione di cocaina e crack , in relazione a condotte oggetto di procedimento connesso al presente, dato che, ad avviso del ricorrente, risiedeva nelle parole del giudice medesimo, secondo il quale la ragione dell’aggressione trovava origine nel tenta tivo di rafforzare la leadership di NOME COGNOME e dell’ organizzazione facente capo al medesimo, che, tra l’altro, opera va proprio nel settore del traffico degli stupefacenti.
A fronte delle prospettate questioni, la Corte di appello ha invece escluso l’applicabilità dei principi delle Sez. U, ricorrente COGNOME ,  assumendo  la consapevolezza, in capo alla vittima, della registrazione ad opera dei Carabinieri, tanto  che,  in  occasione  delle  sommarie  informazioni  del  19  maggio,  si  era limitata a confermare quanto precedentemente affermato.
Ad avviso del ricorrente, la conferma di quanto in precedenza dichiarato indica soltanto che, in epoca anteriore, vi erano state dichiarazioni della persona offesa, non già che le medesime fossero state registrate e che lo stesso fosse a conoscenza di essere stato registrato, anche perché quando COGNOME fu sentito a
sommarie informazioni (19 maggio 2021), si era limitato a confermare quanto dichiarato la precedente domenica sera, presso l’ospedale di Nola, cioè che i suoi aggressori erano NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Quindi, si opina che soltanto quest’ultimo dato -ovvero l’aggressione da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME – avrebbe dovuto essere ritenuta provata, non anche gli ulteriori particolari riferiti nel corso del primo colloquio ma non ribaditi a sommarie informazioni.
In ordine al rilievo relativo all’inutilizzabilità del dialogo per asserita violazione degli artt. 351, 362 cod. proc. pen. in relazione agli artt.191, 195, 197, 197bis cod. proc. pen., la difesa assume che, a dispetto del rilievo di genericità delle accuse a carico della vittima, l’indicazione del 3 gennaio doveva essere letta nel contesto in cui la citazione era avvenuta, ovvero con riferimento all’informativa della Squadra mobile in data 18 maggio 2021, ove si affermava che «la persona offesa fu tratta in arresto lo scorso 3 gennaio per detenzione di cocaina e di crack », in proposito contestando la sussistenza di un onere di allegazione in capo all’imputato, laddove, come nel caso, il controllo sulla legittima acquisizione delle dichiarazioni (nella specie, della vittima) era richiesto al giudice di merito. Si rileva, a tale fine, la dedotta non conferenza dei principi giurisprudenziali evocati dalla Corte di appello, in realtà affermati con riferimento al (diverso) giudizio di legittimità.
Con riferimento all’inutilizzabilità delle registrazioni occulte di colloqui con le Forze dell’ordine, la difesa aggiunge che, nel caso, esse erano state precedute da un primo colloquio, non registrato e di cui non vi sarebbe traccia processuale («Prima ce l’hai detto», era la frase rivolta alla vittima dai Carabinieri, a significare di un precedente colloquio non registrato). E tale circostanza non sarebbe ragionevolmente esplicata dalla decisione impugnata, non essendo logico, come ha ritenuto la Corte di appello, che la prima fase del dialogo fosse stata destinata a saggiare la possibilità di interloquire con la vittima, giunta al nosocomio in emergenza.
Invero,  ad  avviso  del  ricorrente -atteso  che  il  paziente  era  stato descritto,  al  ricovero,  ‘vigile  e  cosciente’  la  fase  iniziale  del  dialogo  non sarebbe certamente stata finalizzata a tale, non necessaria, verifica e per contro, dalla frase « p rima ce l’hai detto » discende necessariamente il dato che vittima ed operanti avessero già parlato della questione e che fosse stato fatto il nome degli aggressori.
Secondo  il  ricorrente,  le  modalità  dell’audizione avevano  compresso  la libera determinazione della vittima, posto che (v. p. 25) «il soddisfacimento dei bisogni  di  NOME  era  stato…condizioNOME  dall’ottenimento  di  informazioni…ti faccio bere, però mi devi dire tutti e due chi erano, prima ce l’hai detto».
In  conclusio ne,  si  domanda  che  sia  dichiarata  l’inutilizzabilità  di  tali dichiarazioni  e,  di  conseguenza,  anche  delle  successive  sommarie  informazioni rese da NOME COGNOME in data 19 maggio 2021.
2.3.Con il terzo motivo, si  adduce, ai sensi dell’art. 606 lett. c), e) cod. proc. pen. la violazione, ovvero falsa applicazione, degli artt. artt. 192, 392 e ss. e  500  cod.  proc.  pen.,  nonché  manifesta  illogicità  delle  motivazioni  riservate all’affermazione della responsabilità di COGNOME.
La menta la difesa che, ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’imputato,  siano  state  utilizzate  le  dichiarazioni  rese  dalla  vittima  nel  corso delle indagini, anziché, come sarebbe dovuto avvenire, quelle rese nel contraddittorio, in incidente probatorio, quando NOME COGNOME aveva detto di non ricordare nulla dell’accaduto, neanche  di avere reso dichiarazioni ai Carabinieri ma soltanto che gli era stato chiesto di firmare un verbale.
Invero, nel corso dell’audizione in incidente probatorio (cfr. p. 31 del ricorso ove se ne riporta stralcio) erano state elevate varie contestazioni alla vittima, a fronte dell ‘ eterogeneità tra le precedenti dichiarazioni e quelle rese in contraddittorio; ma avrebbe errato la Corte di appello, commettendo un errore analogo a quello del giudice di primo grado, laddove è stato fatto prevalere quanto dichiarato nelle indagini. Al più, avrebbe dovuto essere negata credibilità alle dichiarazioni dell’incidente probatorio, elevando a prova del fatto quanto riferito dalla vit tima a suo padre, con l’aggiunta di elementi ulteriori di riscontro ex art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
La  difesa  rimarca  un  altro  aspetto  di  criticità  della  motivazione,  a  suo avviso viziata da contraddittorietà in ordine alla presenza o meno, indosso agli aggressori,  del  passamontagna:  la  decisione  muove  dal  presupposto  che, essendo costoro stati riconosciuti, non indossavano l’indumento in questione m a la vittima e lo zio NOME COGNOME vi avevano fatto specifico riferimento.
La Corte territoriale ha ripreso, ponendo a fondamento della questione, le dichiarazioni delle testi COGNOME e di COGNOME, nonché quanto riferito dalla vittima a suo padre. Questa aveva parlato dei due aggressori, ma il ricorrente osserva che sarebbe stata ritenuta illogicamente recessiva la versione della medesima persona offesa – sulla presenza del passamontagna sui volti degli aggressori – e dello zio NOME, versione (non veridica) da fare risalire ai principi di omertà, tipici dei contesti mafiosi a cui i due avevano inteso prestare ossequio. Come si è accenNOME, la difesa adduce la contraddittorietà di tale ricostruzione, alla luce del fatto che, in sede di sommarie informazioni, sia la vittima che lo zio non avevano esitato ad indicare COGNOME come uno degli aggressori. Se davvero fossero stati fedeli a logiche omertose, sarebbero stati coerentemente fermi nel parlare di passamontagna, ostativo al riconoscimento.
Ancora scarsamente  logica  e  coerente  sarebbe  l’indicazione,  contenuta nella sentenza di primo grado e richiamata in appello, secondo cui la vittima e l’imputato, entrambi  di  Castello  di  Cisterna,  si  conoscevano  per  cui  il  primo avrebbe riconosciuto l’aggressore, di cui sapeva il nome ( ‘NOME‘ ) con il quale era noto, anche senza averne saggiato il volto, ma soltanto dalle fattezze.
Osserva il ricorrente che sorgerebbe un’altra contraddizione, alla luce del fatto che se davvero tutti si conoscevano, non sarebbe comprensibile il motivo dell’erronea aggressione ai danni di NOME COGNOME, invece che dello zio. E, di conseguenza,  ne  deriverebbe  la  contraddittorietà  della  motivazione,  nella  sua integralità.
2.4. Con il quarto motivo si adduce, ai sensi dell’art. 606 let t. c), e) cod. proc.  pen.  la  violazione,  ovvero  falsa  applicazione,  degli  artt.  artt.  192  e  533 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 10 e 12 legge n. 497 del 1974 e all’art. 15 cod. pen., nonché manifesta illogicità e travisamento del fatto con riguardo alle motivazioni  riservate  all’affermazione  di  responsabilità  per  i  reati  di  porto  e  di detenzione di cui al capo a).
Il ricorrente sostiene che la sentenza va annullata in ragione del mancato assorbimento del delitto di cui all’art. 10 legge n. 497 del 1974, in quello di cui all’art.  12  legge  cit.,  alla  luce  del  canone  espresso dagli  artt.  192  e  533  cod. proc. pen.
Sarebbe fallace la motivazione fondata sulla mancanza di elementi sulla cui  base  ritenere  assorbito  il  reato  di  detenzione  in  quello  di  porto:  è  stato osservato  che,  sulla  base  del  criterio  logico,  doveva  ritenersi  plausibile  che COGNOME, ove avesse portato l’arma in luogo pubblico avrebbe dovuto averne conseguito la detenzione in un momento anteriore e distinto.
L’argomento utilizzato dall a Corte territoriale è stato elaborato con riferimento a contesti mafiosi in cui gli agguati vengono compiuti con l’impiego di armi in possesso del consorzio, quindi, ascritto tale episodio ad una guerra tra clan , i giudici hanno ritenuto utilizzabile la menzionata massima di esperienza, mentre, nel caso, l’unico elemento di prova risulta essere l’affermazione della vittima, secondo cui «gliela diede NOME la pistola a COGNOME», per cui vi sarebbe la prova che l’arma non era nella previa disponibilità dell’imputato.
Di conseguenza, la richiesta di annullamento per non essere stato ritenuto il  reato  di  detenzione  di  arma  clandestina  assorbito  in  quello  di  porto  della medesima.
2.5. Con il quinto motivo si adduce, ai sensi dell’art. 606 lett. c), e) cod. proc.  pen.  la  violazione,  ovvero  falsa  applicazione,  degli  artt.  artt.  192  e  533 cod.  proc.  pen.,  in  relazione  all’art.  577,  comma  1,  n.  3  cod.  pen.,  nonché manifesta illogicità e contraddittorietà delle motivazioni riservate alla sussistenza
della  circostanza  aggravante  della  premeditazione  contestata  in  relazione  al tentato omicidio di cui al capo b).
Si chiede l’annullamento della sentenza nella parte in cui ha ritenuto integrata la premeditazione in relazione al tentato omicidio, ravvisata nel fatto che il proposito delittuoso fosse verosimilmente insorto prima del pranzo familiare per la Comunione della sorella della vittima, in contraddizione con quanto successivamente affermato, laddove la Corte territoriale aveva precisato ch e l’ideazione era nata poco prima dell’agguato: sia la mera verosimiglianza, sia il ‘poco prima’ non sarebbero circostanze compatibili con la certezza di una ponderata e autonoma deliberazione della scelta criminale.
Sarebbe stata confusa, ad avviso del ricorrente, preordinazione -quale apprestamento dei mezzi utili all’esecuzione, nella fase immediatamente precedente  –  e  premeditazione,  la  quale,  invece,  postula  il  radicamento  e  la persistenza  per  un  apprezzabile  lasso  di  tempo,  del  proposito  criminoso,  non sovrapponibile,  nella  sua  essenza,  all’agguato,  mera  modalità  esecutiva  del reato, non evincibile neppure dal numero di colpi sparato.
2.6.  Con  il  sesto  si  adduce,  ai  sensi  dell’ art.  606  lett.  c),  e)  cod.  proc. pen.,  la  violazione,  ovvero  falsa  applicazione,  degli  artt.  artt.  192  e  533  cod. proc.  pen.,  in relazione  all’art.  416 -bis ,  comma  1bis ,  cod.  pen.,  nonché manifesta illogicità e contraddittorietà delle motivazioni riservate alla sussistenza dell’aggravante del metodo e dell’agevolazione mafiosa.
Il  ricorrente  deduce  che  la  Corte  territoriale  abbia  fatto  discendere  la sussistenza  della  circostanza  aggravante  dalla  finalizzazione dell’agguato  al superamento di frizioni relative alla supremazia sul clan COGNOME, delle quali COGNOME, parente della famiglia di cui si tratta, è stato ritenuto al corrente.
Tuttavia, nessuna prova ricorre circa il coinvolgimento di COGNOME nell’organizzazione dell’agguato, essendo stata ev idenziata, sulla scorta delle dichiarazioni rese dai collaboratori, l’esistenza di uno scontro tra COGNOME e agli esponenti del clan, diversi da COGNOME ; sicché la Corte territoriale avrebbe errato nel concludere che COGNOME, sulla base del solo legame familiare, non potesse non sapere le ragioni del l’agguato (cioè lo scopo di ripianare i diverbi interni al sodalizio).
Si  rammenta  la  natura  soggettiva  della  aggravante,  caratterizzata  dal dolo  intenzionale,  applicabile,  nel  concorso,  al  concorrente  non  animato  dalla medesima, soltanto a patto che sia consapevole dell’altrui finalità, non evincibile, come  la  Corte  territoriale  aveva  erroneamente  ritenuto,  dalla  mera  parentela COGNOME COGNOME. Ancor più, alla luce della mancanza di riscontri alle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME.
Quanto al metodo mafioso, si contesta la contraddittorietà delle argomentazioni di cui alla motivazione, laddove esso si è desunto dalle modalità
e dalle caratteristiche dell’agguato (orario in cui le persone erano a casa, spiegamento di armi da fuoco, numero di colpi superiore al necessario), finalizzate a scoraggiare gli interventi a supporto del ferito, ma, di contro, si è preso atto dell’immediato intervento dei parenti (NOME COGNOME, NOME COGNOME). Sarebbero, dunque, mere petizioni di principio sia l’avere ritenuto che l’orario dell’agguato sia stato scelto, nonostante la consapevolezza che, a quell’ora, la maggior parte degli abitanti della zona fossero a casa, sia l’avere osservato che il numero dei colpi fossero esplicazione di metodo mafioso. Per il ricorrente sarebbe capzioso affermare che la mancata collaborazione di NOME COGNOME e NOME COGNOME denoterebbero il radicamento della vicenda nel substrato ambientale di tipo mafioso. Ciò, in quanto la Corte territoriale aveva ritenuto che l’agguato si collocasse nella lotta interna al clan COGNOME – una delle cui fazioni faceva capo a NOME COGNOME – per la supremazia al suo interno e, quindi, sarebbe illogico assumere che l’intimidazione era diretta verso chi, fino a quel momento, aveva collaborato con gli assalitori nella gestione degli affari illeciti nella zona.
In ogni caso, il comportamento omertoso serbato dalla coppia COGNOMECOGNOME sarebbe mera conseguenza dell’adesione al codice d’onore da loro osservato, in quanto camorristi, non essendo, invece, riconducibile al metodo mafioso esercitato dagli ag gressori. Ciò che, tra l’altro, si evince rebbe dal passo motivazionale (v. p. 28), laddove, nel conferire con il padre detenuto, la vittima, ad un certo punto, aveva mostrato quella tipica reticenza «per non deludere il padre, confessando di avere violato la regola dell’omertà».
2.7.  Con  il  settimo  motivo  si  adduce,  ai  sensi  dell’art.  606  lett.  e)  cod. proc.  pen.,  la  carenza  e/o  contraddittorietà  della  motivazione  in  relazione  al diniego delle circostanze attenuanti generiche, e al significativo scostamento dai minimi edittali nella commisurazione della pena.
Il ricorrente si duole che la Corte territoriale, sul rilievo del numero di colpi esplosi, abbia negato l’applicazione dell’art. 62 -bis cod. pen., diniego altresì giustificato dal grave pericolo alla vi ta della vittima derivato dall’azione, ri lievo non avvalorato da elementi oggettivi, atteso che la vittima era sempre rimasta vigile dopo il ferimento, non essendo invece stati valorizzati gli indici di cui all’art. 133 cod. pen. Si osserva che non era stata neppure presa in considerazione la circostanza che la decisione dell’agguato era nata a seguito di un alterco coinvolgente NOME COGNOME che aveva rivolto minacce di morte al suo interlocutore. Circostanza che, se non integra la provocazione, dovrebbe tuttavia trovare spazio ai sensi dell’art. 62 -bis cod. pen.
 I difensori  dell’imputato,  AVV_NOTAIO  e  NOME  COGNOME  –  avanzata  tempestiva  richiesta  di  trattazione  orale  del  processo  –  con
dichiarazione  del  24  giugno  2024  hanno  manifestato  la  volontà  di  aderire all’astensione collettiva degli avvocati penalisti, indetta con delibera  dell’RAGIONE_SOCIALE di appartenenza.
Quindi, all’udienza del 10 luglio 2024, il Collegio ha disposto il differimento  dell’udienza  al  21  novembre  2024,  avendo  NOME  COGNOME, detenuto per questa causa, manifestato adesione alla richiesta di astensione dei difensori.
All’odierna udienza, le parti presenti hanno concluso nel senso riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1. Va premesso che, in caso di cd. ‘doppia conforme’ affermazione di responsabilità, è principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze, in tale caso, possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (tra le altre, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01).
Ciò posto, va rilevato che, nel caso di specie, le due motivazioni hanno dato specifico,  logico  ed  esauriente  conto  della  ragione  per  la  quale,  nel  compiere l’attività di  intercettazione, all’interno  della  Casa  circondariale  di  Taranto ,  del colloquio tra la vittima del tentato omicidio ed il padre, detenuto in quell ‘ Istituto sono stati utilizzati impianti esterni alla Procura della Repubblica procedente.
Vanno rammentati i principi giurisprudenziali costanti in tema di intercettazioni ambientali di colloqui in carcere, secondo i quali il decreto del pubblico ministero che autorizza l’uso di apparecchiature esterne rispetto a quelle in dotazione alla Procura della Repubblica è sufficientemente motivato mediante il richiamo alla necessità di programmare, assicurare ed effettuare prontamente servizi di osservazione, pedinamento e controllo dei soggetti intercettati, nonché di ogni altra opportuna attività, con conseguente imprescindibilità di un raccordo immediato tra gli addetti all’ascolto e le rispettive centrali operative ed unità investigative territoriali (Sez. 1, n. 39769 del 16/05/2018, P.G. in proc. Serrago e altro, Rv. 273850-01).
Dunque,  in  ossequio  a  tale  indirizzo  interpretativo  risulta  essere  stato assolto, in modo ineccepibile, il richiesto onere motivazionale.
Si  rileva  che  (v.  p.  14-20  della  sentenza  di  appello)  il  Giudice  ha  dato diffusa motivazione, richiamando il decreto del pubblico ministero -dopo avere affrontato il tema del regime di inutilizzabilità delle prove nell’ambito del giudizio abbreviato -in ordine alla scelta di fare impiego delle attrezzature installate in loco,  così  testualmente,  richiamando  la  sentenza  di  primo  grado,  la  legittimità della scelta.
Si segnala, infatti, che si tratta di conversazioni tra presenti che dovevano avere luogo in occasione dei colloqui del detenuto con i suoi familiari e con gli altri aventi diritto, sicché occorreva procedere alla videoregistrazione dei colloqui e delle comunicazioni intercettate, in modalità videochiamata con applicativo WhatsApp e/o similari, al fine di attribuire in termini di certezza i dialoghi alle persone intercettate, nonché per cogliere eventuali comunicazioni gestuali. Inoltre, si è rilevato che appariva necessario che tale video e fono registrazione avvenisse utilizzando le apparecchiature installate nell’istituto carcerario , in prossimità del luogo in cui si effettua l’intercettazione, al fine di assicurare il migliore coordinamento dell’attività investigativa e dell’attività di intercettazione . Si tratta di esigenza che, per i giudici di merito, poteva essere soddisfatta esclusivamente con la raccolta dei dati audio-video presso il carcere, al fine porre in essere eventuali pedinamenti delle persone esaminate, necessità di interventi correttivi, n ecessari per la migliore riuscita dell’intercettazione , che non potevano essere adeguatamente assicurate in caso di attività di audio-video registrazione posta in essere in altro luogo (Procura della Repubblica).
Infine, si era notato che la società accreditata alle operazioni di registrazione  delle  conversazioni  presso  la  Casa  circondariale  non  aveva  un proprio server presso  la  sala  di  ascolto  della  Procura e  che  presso  l’Istituto penitenziario erano già installate le apparecchiature tecniche di ditta privata che consentivano video-intercettazioni, con applicativo WhatsApp e/o similari.
Ciò premesso, il motivo risulta manifestamente infondato e deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
2.2. Il secondo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
La censura afferisce alla dedotta violazione, ai sensi dell’ art. 606 lett. c), e) cod. proc. pen., ovvero falsa applicazione, degli artt. 351, 362 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 191, 195, 197, 197bis cod. proc. pen., nonché omessa motivazione e travisamento degli elementi di prova con riguardo all’eccezio ne di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa ai Carabinieri, in occasione dell’audizione presso l’ospedale ove era stata ricoverata , con violazione anche degli artt. 188 e 191 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in merito all’imp iego di metodi e tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione della persona offesa.
Va premesso che in tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugNOME (Sez . 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Rv. 280419-01).
Inoltre, con specifico riferimento al tema della dedotta inutilizzabilità della prova per violazione di legge nella sua assunzione, è stato affermato che «In tema di ricorso per cassazione, grava sulla parte che deduce l’inutilizzabilità di un atto l’onere di indicare specificamente i documenti sui quali l’eccezione si fonda e altresì di allegarli, qualora essi non facciano parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità. (In applicazione del principio, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con il quale l’imputato aveva eccepito, senza tuttavia documentarlo, che le intercettazioni telefoniche erano state disposte in un procedimento diverso e per un reato non connesso a quello per il quale aveva riportato condanna).» (Sez. 5, n. 23015 del 19/04/2023, COGNOME, Rv. 284519-01).
I principi riportati sono condivisi dal Collegio: in proposito, non può ritenersi fondata la tesi del ricorrente, secondo cui l’audizione della persona offesa avrebbe postulato di rivolgere al dichiarante gli avvisi di cui all’art. 64, comma 3, cod. proc. pen., in quanto egli sarebbe stato imputato di reato connesso e arrestato, il 3 gennaio, per violazione dell’art. 73 TU Stup. e per estorsione, atteso che non costituisce allegazione idonea a soddisfare l’onere richiesto, la mera indicazione, anche a ritenerla completa, dell’anno di riferimento, della data del presunto arresto della persona informata sui fatti.
La dedotta violazione dell’art. 188 cod. proc. pen., che fa divieto dell’uso di  metodi  o  tecniche  idonei  ad  influire  sulla  libertà  di  autodeterminazione  o  ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti, è manifestamente infondata.
Le, lamentate, illecite pressioni che i Carabinieri avrebbero compiuto nei confronti  della  vittima  sono  state  logicamente  ed  esaurientemente  escluse  dai giudici del merito, la cui motivazione appare, anche sotto tale profilo, esente da lacune, illogicità ed aporie (v. p. 22-24 sentenza di appello).
Intanto, non vi è elemento alcuno per affermare che il dialogo avvenuto off  records e  tale  da  postulare  pressioni  sulla  persona,  essendosi  gli  operanti limitati a fare riferimento alla prima fase del contatto con la vittima, ricoverata all’ospedale,  presentasse  carattere  manipolativo  della  volontà  della  stessa:  per contro,  è  congrua  e  immune  da  illogicità  manifesta  la  motivazione,  laddove evidenzia che l’approccio da parte delle Forze dell’ordine con una persona poco
prima vittima di un agguato e ricoverata in ospedale, con ferite d’arma da fuoco, ha  corrisposto  alla  necessità  di  verificare  le  condizione  della  stessa,  onde procedere – o meno – alla sua audizione. Condizione che giustifica il non avere immediatamente attivato la registrazione delle sue dichiarazioni.
In  secondo  luogo,  la  Corte  territoriale ha  escluso  che  l’avere  detto  ad NOME che avrebbe potuto bere, avere l’ossigeno e recarsi in bagno, ove a vesse ripetuto  quanto  aveva  detto  poco  prima,  lungi  dall’integrare  tecnica  idonea  ad influire sulla volontà  e libertà di autodeterminazione del medesimo, anzi, abbia semplicemente integrato una modalità organizzativa dell’audizione, priva di ogni profilo vietato.
Tra l’altro, come annota la Corte territoriale (v. p. 23 della sentenza), con la  frase  « prima  ce  lo  hai  detto »,  è  stata  recuperata  la  parte  precedente  della conversazione,  confluita nella prosecuzione  del  dialogo  tra i Carabinieri -regolarmente identificatisi – e la vittima.
Alla luce delle svolte considerazioni, quanto sostenuto dalla difesa appare dunque manifestamente infondato, in quanto smentito dal contenuto motivazionale delle due sentenze di merito.
Anche  in  ordine  al  secondo  profilo  della doglianza,  ovvero  all’avvenuta registrazione,  da  parte  degli  operanti,  all’insaputa  della  persona  sentita,  la motivazione svolta dai giudici di merito è esauriente e priva di illogicità.
È  stato  precisato,  infatti,  che  NOME  era  a  perfetta  conoscenza  della registrazione in atto, come  comprovato  dall’avere  fatto ,  successivamente, riferimento (in occasione delle sommarie informazioni del 19 maggio) a quanto aveva in precedenza dichiarato, essendo incontestabile e logico ritenere che, se non  avesse  saputo  della  registrazione,  non  avrebbe  avuto  senso  alcuno  fare riferimento alle precedenti dichiarazioni.
Del resto, l’ affermazione, in apertura di registrazione, a quanto era stato detto  prima,  cui  gli  operanti  hanno  fatto  riferimento,  conferma  che,  proprio  a partire  da  quel  momento, si era proceduto alla registrazione  e di ciò era stato messo a conoscenza NOME COGNOME.
In ogni caso, come ha correttamente aggiunto la Corte territoriale, COGNOME aveva  ripetuto  analoghe  dichiarazioni  accusatorie  in  occasione  delle  sommarie informazioni del 19 maggio, quando aveva ribadito i nomi dei suoi aggressori, uno dei quali è l’odi erno imputato.
2.3. Il terzo motivo è infondato.
La  difesa  lamenta  violazione,  ovvero  falsa  applicazione,  degli  artt.  artt. 192,  392  e  ss.  e  500  cod.  proc.  pen.,  nonché  manifesta  illogicità  delle motivazioni  riservate  all’affermazione  della  responsabilità di  COGNOME.  Il ricorrente si duole dell’utilizzazione a carico delle dichiarazioni rese dalla vittima nel corso delle indagini, anziché, come sarebbe dovuto avvenire, quelle rese nel
contraddittorio, in incidente probatorio, quando NOME COGNOME aveva detto di non ricordare nulla dell’accaduto, neanche  di avere reso dichiarazioni ai Carabinieri ma soltanto che gli era stato chiesto di firmare un verbale. E, in ogni caso,  anche  per  quanto  dichiarato  nel corso delle indagini, si  segnalano contraddizio ni  ed  aporie,  soprattutto  circa  la  circostanza  relativa  all’avere  gli aggressori indossato o meno il passamontagna a copertura del viso.
Osserva questo Collegio, invero, che la logica della motivazione delle due sentenze di merito è lineare, esente da lacune e perfettamente logica, laddove (cfr. p. 26 sentenza di appello), muovendo dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia circa l’origine e il milieu nel quale si colloca l’aggressione, ha sottolineato che l’agguato affondava le radici in una lotta finalizzata alla supremazia su altro clan e in tale contesto andava letta l’apparente incongruenza delle dichiarazioni rese in proposito da coloro che (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME) in merito alla questione del passamontagna.
Quanto è stato logicamente precisato riguarda il fatto che soltanto NOME COGNOME,  molto  cautamente,  aveva  detto  che  i  due  aggressori  indossavano  il passamontagna, aggiungendo di non essere in grado di aggiungere nulla di utile, neppure essendo a conoscenza dell ‘attività svolta dal nipote, vittima dell’agguato.
La moglie NOME COGNOME non aveva riferito nulla in ordine al passamontagna e NOME COGNOME aveva significativamente precisato che gli aggressori non indossavano la mascherina, elemento valorizzato dalle decisioni di merito per concludere che costoro, ad avviso di tale testimone, avevano il viso scoperto.
A fronte del quadro tratteggiato, i giudici di merito hanno concluso per la prevalente attendibilità della testimonianza della vittima, sostanzialmente avvalorate da quelle delle due donne, testimoni oculari dell’agguato, ponendo in secondo piano le informazioni rese dallo zio della persona offesa, le cui lacune e contraddizioni sono state ascritte al contesto camorristico in cui la vicenda si inscrive, ambiente che spiega anche (v. p. 28 della sentenza di appello) quella sorta di senso di colpa, mostrato da NOME COGNOME nel corso del colloquio con il padre, presso la Casa circondariale di Taranto.
Sono stati, del pari, attribuiti a tale contesto i ripensamenti manifestati dalla vittima, allorquando, in sede di incidente probatorio, aveva reso dichiarazioni di segno opposto -tra l’altro, facendo riferimento ad una fantomatica rapina per spiegare l’aggressione subita, di cui non aveva mai parlato prima e mai emersa dalle dichiarazioni dei sommari informatori – alle precedenti. Si tratta di dichiarazioni palesemente inverosimili e inattendibili, laddove il dichiarante , sentito con le formalità previste all’art. 392 e ss. cod. proc. pen., dapprima aveva detto di non avere mai reso alcuna dichiarazione ai
Carabinieri (e ciò, in aperto contrasto con l’evidenza processuale), per poi negare di  avere  firmato  il  verbale  di  audizione,  la  cui  firma  aveva  sostenuto  non  gli appartenesse: affermazioni in assoluto contrasto con il contenuto del dialogo con il  padre nel corso della visita alla Casa circondariale di Taranto, quando COGNOME gli aveva riferito di essere stato aggredito con arma da fuoco da COGNOME e COGNOME.
La Corte territoriale ha, pertanto, logicamente concluso nel senso che le dichiarazioni rese da NOME nell’immediatezza in merito al riconoscimento di NOME COGNOME, quale uno dei suoi aggressori, dello stesso tenore di quanto emerso nel corso dell’incontro con il padre, fossero sufficienti a fornire la prova della responsabilità de ll’imputato, in ossequio al principio giurisprudenziale, condiviso da questo Collegio, secondo cui «Nell’ipotesi di dichiarazioni accusatorie rese in sede di indagini dalla persona offesa e di successiva ritrattazione non inequivocabilmente idonea a svalutarle, il giudice, in sede di giudizio abbreviato, può legittimamente assegnare peso probatorio alle prime dichiarazioni, a condizione che eserciti su queste un controllo più incisivo, possibilmente esteso ai motivi della variazione del dichiarato, potendo anche giungere a ritenere che la ritrattazione inattendibile o mendace si traduce, proprio perché tale, in un ulteriore elemento di conferma delle accuse originarie.» (Sez. 2, n. 4100 del 12/01/2016, Cadoni, Rv. 266424-01).
Ciò che è avvenuto nel caso, alla luce delle puntuali osservazioni e verifiche effettuate in merito alle dichiarazioni della vittima, coinvolta e pressata dalle logiche camorristiche alle quali si erano ispirate dette condotte, altresì chiarito dal fatto che -come da NOME COGNOME precisato -aveva parlato, nella convinzione di essere stato ferito a morte. In definitiva, l’affermazione di colpevolezza riposa saldamente sulla registrazione del colloquio tra la vittima e il padre -elemento che ha pari dignità probatoria delle dichiarazioni rese nell’incidente probatorio – e nel dato logico del contesto insuperabilmente ricostruito dai giudici di merito. Piuttosto, le dichiarazioni chiaramente false rese in sede di incidente confermano e non smentiscono, alla luce degli altri elementi, il contesto camorristico in cui i giudici di merito hanno collocato i fatti.
2.4. Il quarto motivo è infondato.
Il  profilo  afferente  all’assorbimento del  reato  di detenzione  e di porto di arma  clandestina  è  stato  affrontato  con  esaustivi  argomenti  dalle  sentenze  di merito, alla  luce  della  mancata  allegazione,  da  parte  dell’imputato,  di  motivi  a dimostrazione  della  coincidenza  naturalistica  dei  due  momenti,  quello  della detenzione con quello del porto che, pertanto, rispondono al criterio logico della priorità temporale della detenzione rispetto al porto.
Ciò,  in  coerente  linea  con  la  consolidata  giurisprudenza  di  legittimità secondo  cui,  in  tema  di  reati  concernenti  le  armi,  il  delitto  di  porto  illegale
assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell’arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresì la prova che l’arma non sia stata in precedenza detenuta (in motivazione, la Corte ha affermato che, in mancanza di alcuna specificazione da parte dell’imputato circa la contemporaneità delle due condotte, il giudice di merito non è tenuto ad effettuare verifiche, potendo attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto: Sez. 1, n. 27343 del 04/03/2021, Amato, Rv. 281668-01).
2.5. Il quinto motivo è infondato.
Si  deduce  violazione  circa  il  riconoscimento  della  premeditazione,  ma anche  in relazione a tale profilo, la  sentenza  impugnata  è  priva  di  vizi motivazionali e immune da illogicità manifesta.
È  stato  affermato  che  «La  circostanza  aggravante  della premeditazione, oggetto  di prova,  ex  art.  187  cod.  proc.  pen.  e,  pertanto,  assoggettata  alle regole  di  valutazione  stabilite  nell’art.  192,  comma  2,  del  codice  di  rito,  può essere dimostrata anche con il ricorso alla prova logica, sulla scorta degli indizi ricavabili  dalle  modalità  del  fatto,  dalle  circostanze  di  tempo  e  luogo,  dal concorso di più persone con ripartizione dei ruoli e dalla natura del movente.
Non è, invece, necessario stabilire con assoluta precisione il momento in cui è sorto il proposito criminoso o quello in cui l’accordo è stato raggiunto, essendo sufficiente che gli elementi indiziari suddetti siano gravi, precisi e concordanti e che, globalmente valutati, consentano di risalire, in termini di certezza processuale, al requisito di natura cronologica e a quello di natura ideologica, in cui si sostanzia la premeditazione.» (Sez. 5, n. 3542 del 17/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275415-01).
Nella specie, oltre alla prova logica, che discende dalle modalità dell’agguato e dalle motivazioni a soste gno, è stato messo in evidenza dai giudici di merito, il contenuto della conversazione tra padre e figlio, all’interno del l’Istituto penitenziario, dalla quale era emerso che l’obiettivo dell’ agguato era NOME COGNOMECOGNOME che aveva avuto uno scambio di battute consistite nel manifestare il proposito di uccidere, ottenendo in risposta l’avvertimento miNOMErio («Ci vediamo dopo»). Dal che, logicamente, è stato fatto discendere che l’agguato era stato organizzato, persistendone il proposito per un apprezzabile lasso temporale, come risulta, secondo i giudici di merito, dal fatto che gli aggressori erano a conoscenza degli spostamenti della vittima (v. p. 3132, nonché p. 54 della sentenza di primo grado).
Del resto, Il ragionamento svolto in sede di merito appare conforme alla giurisprudenza di legittimità elaborata in tema di omicidio volontario, secondo la quale l’agguato costituisce, in astratto, indice rivelatore straordinario quanto alla circostanza  aggravante  della  premeditazione,  perché  sinonimo  di  imboscata  o
insidia preordinata che postula un appostamento, protratto per un tempo più o meno lungo, in attesa della vittima designata e in presenza di mezzi e modalità tali da non consentire dubbi sul reale intendimento dell’autore; sicché già il pur breve arco di tempo dell’attesa, può valere a soddisfare gli elementi costitutivi della premeditazione. Si fa riferimento al requisito ideologico, consistente nel perdurare nell’animo del soggetto, senza soluzione di continuità fino alla commissione del reato, di una risoluzione criminosa ferma e irrevocabile, nonché a quello cronologico, rappresentato dal trascorrere di un intervallo di tempo apprezzabile, fra l’insorgenza e l’attuazione di tale proposito, in concreto sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione presa e a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere (tra le altre, Sez. 5, n. 26406 del 11/03/2014, Morfei, Rv. 260219 – 01).
2.6. Il sesto motivo è infondato.
Circa la circostanza aggravante del metodo mafioso (v. p. 33-35 sentenza di appello, p. 18-40 sentenza di primo grado) si rileva una puntuale motivazione che dà conto della modalità e delle finalità cui l’ azione era preordinata, alla luce della situazione conflittuale all’interno del clan , al fine di conseguirne il dominio, ciò di cui aveva riferito al padre anche la vittima, consapevole del fatto che il bersaglio dell’agguato voluto da NOME COGNOME fosse suo zio NOME COGNOME.
La  stretta  contiguità  familiare  tra  COGNOME  e  COGNOME  giustifica, secondo  la  Corte  territoriale,  la  consapevolezza  in  capo  al  medesimo  di  tale finalità,  del  resto  comprovata  dalle  modalità  dell’agguato,  come  descrit to  in motivazione (pag. 34), tali da evocare, nella realtà del paese teatro dell’azione, la forza intimidatrice dell’agire mafioso.
2.7.  Le  ultime  due  censure  afferenti  al  mancato  riconoscimento  delle circostanze  attenuanti  generiche  e  all’entità  della  pen a  non  commisurata  al minimo  edittale,  entrambe  manifestamente  infondate,  possono  essere  trattate congiuntamente.
Anche con riferimento a tali profili, la sentenza impugnata (v. p. 36) risulta dare piena contezza delle ragioni del diniego delle circostanze di cui all’art. 62 -bis cod. pen., richiamando, in modo logico e non contraddittorio, le caratteristiche dell’azione, concretizzatasi nell’esplosione di un numero di colpi molto elevato, di misura superiore a quello necessario a scopo intimidatorio, che ha prodotto gravi conseguenze sulla vittima. Ragione per la quale anche la misura della pena irrogata è stata ritenuta congrua rispetto alla gravità della condotta e ai suoi effetti, come commisurati sono stati ritenuti gli aumenti per i reati-satellite in materia di armi.
Le ragioni della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche si  traggono  dalla  lettura  complessiva  della  motivazione  della  Corte  territoriale che si sofferma, in più punti, sulla consistente gravità della condotta in addebito.
Il  richiamo alla gravità dei fatti soddisfa lo standard decliNOME dall’art. 133 cod. pen. (tra le altre, Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep.2014, COGNOME, Rv. 258410) e giustifica, altresì, la negazione delle attenuanti generiche (Sez. 2, n. 24995  del  14/05/2015,  COGNOME,  Rv.  264378:  conf.  n.  45623  del  2013,  Rv. 257425)  trattandosi  di  un  dato  polivalente,  incidente  sui  diversi  aspetti  della valutazione del complessivo trattamento sanzioNOMErio.
Si impone, quindi, il rigetto del ricorso con la condanna alle spese ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna  il ricorrente  al  pagamento  delle  spese processuali.
Così deciso, il 21 novembre 2024