Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 481 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 481 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/12/2024
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME
R.G.N. 32169/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SEZZE il 17/05/1988
avverso la sentenza del 31/01/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
letto il parere del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
letta la memoria di replica della difesa nella quale si Ł chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 31 gennaio 2024, confermava la pronuncia del Tribunale di Latina del 14-7-2023 che aveva condannato NOME alle pene di legge in quanto ritenuto colpevole del delitto di concorso in rapina aggravata.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avv.to COGNOME deducendo con distinti motivi:
violazione dell’art. 606 lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. per erronea applicazione degli artt. 192 e 533 cod.proc.pen. e difetto di motivazione circa l’affermazione di responsabilità in violazione del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio; ed invero, l’imputato, non poteva essere identificato quale autore dei fatti, di rapina stante il tempo trascorso tra l’esecuzione del delitto ed il suo successivo arresto, la diversità dell’abbigliamento e l’esito negativo della perquisizione a suo carico;
violazione dell’art. 606 b), c) ed e) con riguardo agli artt. 63, 64 e 350 cod.proc.pen. quanto alla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti dall’imputato senza l’assistenza del difensore e difetto di motivazione sul punto; al proposito, si sottolineava che le dichiarazioni rese
da NOME al momento della sua individuazione da parte dei Carabinieri il 22 marzo 2022, non potevano essere utilizzate, proprio perchØ assunte in violazione di qualsiasi garanzia difensiva;
violazione dell’art. 606 lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, alla mancata esclusione della recidiva ed alla determinazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi non sono fondati ed il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
Ed invero, quanto al primo motivo, va ricordato come secondo l’orientamento della Corte di cassazione la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio” rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, Rv. 270108 – 01); sul punto, si Ł anche successivamente precisato come in sede di legittimità, perchØ sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., Ł necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall’imputato che intenda far valere l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di una ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fattoreato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioŁ desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019 (dep. 29/01/2020 ) Rv. 278237 – 01).
L’applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame, comporta affermare la non fondatezza del primo motivo posto che, l’invocato vizio di motivazione, non si traduce in alcun modo in una manifesta illogicità della stessa, avendo, la Corte di Appello di Roma, evidenziato ai punti 2.2.1 e 2.2.2 della sentenza impugnata, il compendio probatorio emergente a carico dell’COGNOME sottolineando come lo stesso, arrestato nello stato di quasi flagranza, fosse stato identificato dalla polizia giudiziaria quale autore dei fatti a seguito dell’immediata acquisizione di informazioni circa l’abbigliamento, la struttura fisica del rapinatore ed il luogo di allontanamento dello stesso, così che, poco dopo, identificato dagli stessi C.C. al momento del suo controllo si dava a precipitosa fuga.
Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dai giudici di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.
Il secondo motivo, con il quale si deduce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato nell’immediatezza dei fatti ai Carabinieri, appare aspecifico e non supera la prova di resistenza; ed invero, va a tal proposito ricordato come, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, (dep. 20/02/2017 ) Rv. 269218 – 01); si Ł al proposito anche chiarito come il giudice
dell’impugnazione non Ł tenuto a dichiarare preventivamente l’inutilizzabilità della prova contestata qualora ritenga di poterne prescindere per la decisione, ricorrendo al cosiddetto “criterio di resistenza”, applicabile anche nel giudizio di legittimità; ed in tale ultimo caso la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato che si doleva della mancata dichiarazione di inutilizzabilità delle dichiarazioni da lui rese in assenza di difensore in flagranza di arresto, poichŁ non esistevano elementi che facessero ritenere che, senza tali dichiarazioni, il giudizio conclusivo sarebbe stato diverso (Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, Rv. 270303 – 01).
Così affermato il principio di riferimento in tema di deduzione di inutilizzabilità e ricorso per cassazione, va ritenuto che il secondo motivo proposto dalla difesa dell’COGNOME pecchi proprio di aspecificità, come anche segnalato nell’argomentato parere del procuratore generale, posto che, pur eliminato l’atto non utilizzabile, il ricorso avrebbe dovuto confrontarsi con gli altri argomenti di prova utilizzati dalla corte di appello a sostegno della dichiarazione di responsabilità per affermarne il difetto di idoneità probatoria. Tale confronto, viceversa, manca nel caso di specie, posto che, il secondo motivo, si dilunga nell’indicare le cause dell’inutilizzabilità di un atto che però, nel corpo argomentativo della pronuncia di appello, viene espressamente indicato al punto 2.2.2 come elemento non decisivo.
In ogni caso, dalla declaratoria di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’indagato sul luogo e nell’immediatezza del fatto, non potrebbe derivarne l’inutilizzabilità del successivo sequestro, operato dai Carabinieri intervenuti sul luogo del delitto, di quegli indumenti risultati identici a quelli indossati dal rapinatore, trattandosi di principio non recepito nell’ordinamento; ed invero, va al proposito ricordato come sia stato affermato che in tema di prove, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni autoindizianti rese dall’imputato in assenza di garanzie difensive non si trasmette agli accertamenti successivi autonomamente svolti dalla polizia giudiziaria, in quanto non opera in materia di inutilizzabilità il principio, previsto per le nullità, della trasmissibilità del vizio agli atti consecutivi a quello dichiarato nullo (Sez. 6, n. 9009 del 04/02/2020, Rv. 278563 – 01).
3.1 Al proposito deve essere ricordato come il principio della invalidità derivata, ricavato dalla teoria del common law dei frutti dell’albero avvelenato ( Fruits of poison tree ) e secondo cui se la fonte (l’albero) della prova o la prova stessa Ł viziata, allora ogni cosa ottenuta (il frutto) tramite essa Ł a sua volta viziata, sia estraneo all’ordinamento italiano, come già ripetutamente affermato in diversi interventi sia di questa Corte di cassazione che del giudice delle leggi chiamato ripetutamente a pronunciarsi sul punto.
In particolare, si Ł affermato in un primo momento, che il principio secondo cui la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi, che dipendono da quello dichiarato nullo, non trova applicazione in materia di inutilizzabilità, riguardando quest’ultima solo le prove illegittimamente acquisite e non altre la cui acquisizione sia avvenuta in modo autonomo e nelle forme consentite (Sez. 2, n. 44877 del 29/11/2011, Rv. 251361 01); detta soluzione risulta ripetutamente ribadita da altre successive pronunce secondo cui il principio dell’invalidità derivata previsto dall’art. 185 cod. proc. pen. non Ł applicabile con riferimento alla inutilizzabilità, sicchŁ la decisione che si basi su prova vietata non Ł di per sØ invalida, potendo al piø ritenersi nulla per difetto di motivazione, qualora non sussistano prove, ulteriori e diverse da quelle inutilizzabili, idonee a giustificarla (Sez. 6, n. 5457 del 12/09/2018, Rv. 275029 – 02).
A fronte di tale ricostruzione del giudice di legittimità anche nella elaborazione della Corte costituzionale si Ł pervenuti alla medesima conclusione; con la pronuncia n. 219 del 2019 sono state dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 191 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), la cui violazione i ricorsi
richiamavano. In tale pronuncia, il giudice delle leggi, ha espressamente preso posizione sul tema della inutilizzabilità derivata affermando che:” Ł lo stesso sistema normativo ad avallare la conclusione secondo la quale, per la inutilizzabilità che scaturisce dalla violazione di un divieto probatorio, non possa trovare applicazione un principio di “inutilizzabilità derivata”, sulla falsariga di quanto Ł previsto invece, nel campo delle nullità, dall’art. 185, comma 1, cod. proc. pen., a norma del quale «la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo». Derivando il divieto probatorio e la conseguente “sanzione” della inutilizzabilità da una espressa previsione della legge, qualsiasi “estensione” di tale regime ad atti diversi da quelli cui si riferisce il divieto non potrebbe che essere frutto di una, altrettanto espressa, previsione legislativa….”.
L’applicazione del sopra esposto principio comporta affermare che non sussistendo un principio generale della invalidità derivata, anche a volere ammettere che le dichiarazioni rese dall’COGNOME siano non utilizzabili, da ciò non deriverebbe però l’inutilizzabilità delle successive attività di rinvenimento e sequestro degli indumenti effettivamente risultati coincidenti con quelli dell’autore della precedente rapina, effettuate proprio in base alle indicazioni provenienti dallo stesso imputato.
Manifestamento infondato Ł invece il terzo motivo posto che, sia il riconoscimento della recidiva che il giudizio di bilanciamento nei termini dell’equivalenza, sono adeguatamente motivati dalla corte di appello con riferimento specifico alla particolare pericolosità manifestata dall’imputato con la commissione dell’ulteriore fatto delittuoso pur a breve distanza di tempo dalla precedente condanna irrevocabile.
Alla declaratoria di infondatezza consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 13/12/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME