Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 46604 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 46604 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/11/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso; sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del riesame di Catanzaro, con provvedimento del 29 maggio 2024, ha confermato l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro del 17 aprile 2024, con la quale era stata applicata a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di
cui all’art. 74, d.P.R. n. 309/1990 e numerosi reati in materia di stupefacenti, ascrittigli ai capi 239,241,251,253,254,258,260, reati tutti aggravati ai sensi dell’art. 416-bis. 1 cod. pen. in relazione alla finalità di agevolazione del clan ndamghestista COGNOME, operante in Cosenza e luoghi limitrofi.
Con i motivi di ricorso di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione il ricorrente denuncia:
2.1. violazione di legge in relazione all’articolo 292, comma 2, cod. proc. pen. e cumulativi vizi di motivazione dell’ordinanza impugnata derivanti dal mancato accoglimento della eccepita nullità dell’ordinanza genetica per totale assenza dell’autonoma valutazione da parte del giudice per le indagini preliminari sia dei gravi indizi di colpevolezza che delle esigenze cautelari mutuati dalla richiesta di emissione di misura cautelare. Sostiene il ricorrente che l’ordinanza genetica costituiva il risultato di una mera operazione di copia- incolla della richiesta del pubblico ministero e soprattutto per quanto riguardava gli elementi relativi alla individualizzazione e al puntuale vaglio del giudicante in ordine alla specifica posizione del ricorrente del ricorrente risultava formata attraverso la incorporazione integrale della richiesta del pubblico ministero – alla quale faceva rinvio – con argonnentazioni estremamente sintetiche, risoltesi in poche righe, nella motivazione dei passaggi che riguardavano l’odierno ricorrente. Anche la trattazione dei singoli reati-fine, sui quali il difensore si era soffermato con la memoria prodotta in vista dell’udienza di riesame, risultava lacunosa e trascurava l’esame delle condotte illecite ascritte all’indagato delle quali poteva finanche dubitarsi che avessero ad oggetto stupefacenti;
2.2. erronea applicazione della legge penale (art. 74, d.P.R. n. 309/1990) e cumulativi vizi di motivazione sulla ritenuta sussistenza del reato associativo affermata valorizzando la mera reiterazione di condotte illecite in materia di stupefacenti trascurando che la giurisprudenza di legittimità reputa insufficiente, ai fini della integrazione della condotta partecipativa, il mero dato della reiterazione degli acquisti di droga dall’associazione, dovendo, piuttosto, ritenersi necessaria la prova della continuità, reiterazione e significatività degli acquisti la cui interruzione comporterebbe un prevedibile effetto destabilizzante per l’operatività del sodalizio. Il Tribunale ha generalizzato, a fini ricostruttivi, valenza e significatività del cd. sistema del divieto del sottobanco che, tuttavia, non è applicabile nel caso in esame sia per la natura “impositiva” dell’obbligo che per la brevità del periodo che ha visto coinvolto il ricorrente, che non viene chiamato in causa da alcun collaboratore e alla circostanza che l’indagato aveva avuto rapporti sporadici solo con NOME COGNOME e che neppure può escludersi che
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gli acquisti fossero finalizzati alla cessione della droga, piuttosto che all’uso personale. L’ordinanza impugnata è carente anche in relazione alla motivazione sull’affectio societatis;
2.3. violazione di legge e vizio di motivazione sulla sussistenza dei cd. reati fine ascritti al ricorrente ai capi 239,241,251,253,254,258,260. L’ordinanza impugnata si è riportata alla richiesta cautelare ma ha omesso di confrontarsi con le deduzioni difensive che contestavano l’attribuibilità della conversazione al ricorrente (per il capo 251) e la sussistenza della prova della destinazione alla cessione della droga, tema che non era stato oggetto di esame né nella richiesta né nell’ordinanza genetica;
2.4. violazione di legge e carenza di motivazione sulla configurabilità e sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione al reato associativo di cui al capo 1, nonché ai capi 239,241,251,253,254,258,260 non essendo indicati elementi idonei a comprovare la volontà agevolatrice del clan COGNOME–COGNOME, ricalcata sulla responsabilità del reato associativo di cui al capo 1 e in assenza di elementi significativi della finalità agevolatrice, che deve essere oggetto di autonoma ricostruzione e, comunque, non ravvisabile in forza del mero rapporto di fornitura di droga dal Meduri;
2.5. violazione di legge per la inutilizzabilità delle conversazioni intercettate perché eseguite, in separato procedimento a carico di NOME COGNOME e in assenza di iscrizioni a carico del ricorrente. L’ordinanza impugnata non ha motivato sul punto limitandosi a rilevare la genericità delle contestazioni della difesa quanto ai reati cd. fine e ha rigettato l’eccezione di inutilizzabilità con motivazione apparente, laddove la difesa del ricorrente aveva eccepito la inutilizzabilità delle intercettazioni sia per la mancanza del decreto di proroga delle indagini a carico del RAGIONE_SOCIALE sia per violazione del disposto di cui all’art. 2, comma 1, lett. g) del d.l. 30 dicembre 2019, convertito in I. 28 febbraio 2020, posto che, ai fini di prova, le intercettazioni disposte in separato procedimento e a carico di persona diversa, necessitano, a fini di prova, di riscontri ulteriori, nella specie non rinvenibili poiché le uniche prove a carico del ricorrente sono costituite solo dalle intercettazioni;
2.6. violazione di legge per il mancato annullamento dell’ordinanza genetica in conseguenza della mancata trasmissione dei decreti di proroga delle indagini preliminari nei confronti di NOME COGNOME proroghe eventualmente disposte nel procedimento cd. Reset: poiché le risultanze delle intercettazioni costituiscono l’unica fonte di prova a carico di NOME COGNOME l’eccezione difensiva era idonea a vincere la prova di resistenza, richiesta ai fini della rilevanza e decisività della prova inficiata da inutilizzabilità;
2.7. violazione di legge (in relazione all’art. 274 cod. proc. pen.) e carenza di motivazione per la ritenuta sussistenza di esigenze cautelari e della adeguatezza
della sola misura della custodia cautelare in carcere a prevenire il pericolo di reiterazione: i reati ascritti al ricorrente sono risalenti nel tempo; eli aveva una posizione marginale nel contesto associativo; è gravato di precedenti risalenti nel tempo e, in occasione della detenzione sofferta, per l’esecuzione della pena, ha tenuto un comportamento regolare, uniformandosi alle prescrizioni dell’autorità ed ha svolto regolare attività lavorativa. L’ordinanza impugnata è generica.
I motivi di ricorso sono stati ribaditi con la memoria prodotta in vista della trattazione dell’odierna udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’ordinanza impugnata, per le ragioni di seguito precisate, deve essere annullata con rinvio.
2.11 primo motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato.
Va rilevato che in tema di motivazione dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare, ai fini del rispetto dell’obbligo di autonoma valutazione previsto dall’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., non assume rilevanza il difetto di originalità linguistica o espositiva del contenuto del provvedimento cautelare emesso dal giudice per le indagini preliminari rispetto alla richiesta del pubblico ministero, difetto che non implica automaticamente la violazione dell’obbligo di autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza e che rileva soltanto come uno degli elementi da cui desumere l’insussistenza di un effettivo vaglio da parte del giudice. (Sez. 2, n. 43676 del 07/10/2021, COGNOME, Rv. 282506) vieppiù quando, come nel caso in esame, la pretesa mancanza di originalità espositiva, riguardi singole parti dell’ordinanza cautelare.
Il ricorrente, limitatosi a riportare tali passaggi, non si è in realtà confrontato con le argomentazioni svolte dal Tribunale del riesame che (cfr. pag. 2 dell’ordinanza impugnata) ha, invece, ampiamente dato conto dell’attività di “ricapitolazione” degli elementi emergenti dagli atti di indagine svolta dal giudice per le indagini preliminari operazione, questa che implica, di per sé, un vaglio critico e non solo grafico, nella selezione e rielaborazione del materiale indiziario tratto dalla richiesta cautelare. Si tratta, peraltro, di un’operazione di rielaborazione critica affatto inficiata dal rinvio, per relationem, alla richiesta cautelare, tecnica di redazione del provvedimento imposta dalla mole del materiale indiziario e dalla superfluità della sua riproposizione testuale essendo, viceversa molto più agevole,i fini della sintesi poi compiuta dal giudice, tale tipologia di I rinvio. Per costan GLYPH giurisprudenza di legittimità, infatti, ai fini del rispetto dell’obbligo di autonoma valutazione è sufficiente che dal contenuto complessivo ,’,
del provvedimento emerga una conoscenza degli atti del procedimento e, ove necessario, una rielaborazione critica o un vaglio degli elementi sottoposti all’esame giurisdizionale poiché la valutazione autonoma non implica la difforme valutazione del compendio indiziario e delle esigenze cautelari (Sez. 5, n. 1304 del 24/09/2018, dep. 2019, Pedato, Rv. 275339).
3.Ritiene il Collegio che sia preliminare, siccome svolto in rito e relativo alla inutilizzabilità degli elementi indiziari posti a fondamento dell’ordinanza, l’esame del sesto motivo di ricorso che concerne l’eccezione di inutilizzabilità delle conversazioni intercettate, che costituiscono la struttura portante della motivazione sia del reato associativo che dei reati cd. fine ascritti al ricorrente, perché eseguite in un momento successivo alla scadenza del termine delle indagini preliminari a carico di NOME COGNOME.
L’eccezione era stata già proposta dal Tribunale del riesame che, tuttavia, l’ha rigettata con motivazione apparente, e, comunque, erronea.
Dal ricorso, che riporta l’eccezione proposta al Tribunale di Catanzaro e il contenuto della memoria difensiva depositata in udienza, si evince, infatti, che l’eccezione proposta riguardava la utilizzabilità delle intercettazioni delle conversazioni rilevanti a carico dell’indagato, intervenute nel periodo agosto/dicembre 2021 con NOME COGNOME e frutto del captatore informatico installato sul telefono cellulare di questi. Il ricorrente sosteneva che tali intercettazioni erano successive alla scadenza del termine delle indagini preliminari eseguite nel procedimento (cd. Reset) iscritto il 26 agosto 2020 a carico del COGNOME per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990.
Il motivo di ricorso è fondato.
Il Tribunale, invero, ha dato una risposta eccentrica e, comunque, erronea alla deduzione difensiva richiamando genericamente la giurisprudenza, affatto pertinente, di questa Corte in materia di inutilizzabilità delle risultanze delle operazioni di intercettazione ai sensi degli artt. 267 e 268 cod. proc. pen.
L’inutilizzabilità delle risultanze delle indagini eseguite dopo la scadenza del termine (nel caso, in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 iscritto a carico del Meduri il 26 agosto 2020), va, infatti, ricondotta alle previsioni dei termini di durata delle indagini preliminari stabiliti dagli artt. 405, comma 2, 406 e 407 cod. proc. pen., collegati ad ineludibili garanzie per il soggetto indagato, con la conseguenza che non può superarsi, se non a seguito di proroga, il termine di un anno, previsto per il reato di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 cit.
Tale inutilizzabilità è rilevabile d’ufficio e può essere eccepibile ad istanza di parte in ogni stato e grado del procedimento, e, quindi, anche nella fase cautelare e, a fronte della motivata eccezione proposta dal difensore del ricorrente, il
Tribunale del riesame doveva esercitare il potere-dovere di verificare la legittimità delle intercettazioni siccome intervenute entro il termine di legge ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, che su tali intercettazioni si fondavano.
Ne discende che non è onere della parte che propone l’eccezione ma onere del P.M. trasmettere al G.I.P. e, successivamente, al Tribunale della libertà in sede di riesame o di appello, e, comunque, onere del Tribunale acquisire i provvedimenti di iscrizione della notizia di reato e quelli di proroga, nonché quelli eventualmente adottati a carico del ricorrente nel procedimento che direttamente lo riguarda, tanto al fine di esercitare le funzioni di controllo dennandate dalla legge.
Consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio affinchè il Tribunale provveda, nei termini di cui al principio di diritto innanzi enunciato.
4.E’, invece, manifestamente infondato il quinto motivo di ricorso.
E’ pacifico, a tenore della disposizione recata dall’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. che il divieto di utilizzazione delle risultanze delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte non riguarda quelle intercettazioni che siano indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza di reato, quali, giustappunto i reati di cui agli artt. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 cit. ascritti al ricorrente e che rientrano fra quelli passibili di arresto obbligatorio in flagranza in ragione della pena edittale prevista (art. 380, comma 1, lett. h), cod. proc. pen.).
Tale deroga, prevista dalla legge, al divieto di utilizzazione in procedimenti diversi costitutiva la premessa anche della sentenza COGNOME, resa dalle Sezioni Unite di questa Corte, che avevano esaminato un aspetto ulteriore e, cioè, quello della operatività del divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. in procedimenti diversi e con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 cod. proc. pen., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata “ah origine” disposta (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Rv. 277395).
L’art. 270 cod. proc. pen., come noto, ha subito varie modifiche, dapprima con la I. n. 216 del 2017, che, con l’art. 9, rubricato «disposizione provvisoria», prevedeva, in deroga al principio intertemporale del tempus regit actum, una specifica disciplina funzionale a differenziare il momento della entrata in vigore delle singole disposizioni dettate in tema di intercettazioni dalla legge in questione applicabile alle notizie di reato iscritte successivamente al 30 aprile 2020, e poi con il d.l. n. 161 del 30 dicembre 2019, convertito, con modificazioni dalla I. 28 febbraio 2020 n. 7, che ha spostato al 30 agosto 2020, l’entrata in vigore della nuova disciplina l’inserimento del secondo comma nel senso che, fermo restando quanto previsto L’art. 270 cod. proc. pen. è stato successivamente modificato con
dal comma 1, i risultati delle intercettazioni fra presenti operate con il captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati dall’art. 266, comma 2-bis cod. proc. pen. e, dunque, per quanto qui rileva, nei procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3 quater, cod. proc. pen., anche per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990.
Si ritiene che nella nuova formulazione, il citato art. 270, comma 1, cod. proc. pen. disciplina due distinte deroghe al generale divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi rispetto a quello in cui il mezzo di ricerca della prova è stato disposto: alla deroga già in precedenza prevista, relativa dell’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, è stata aggiunta quella riguardante l’accertamento dei reati compresi nell’elenco dall’art. 266, comma 1, cod. proc. pen.
Questa Corte ha già affermato che la disciplina del regime di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi, di cui all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. – nel testo introdotto dal decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n.7 ed anteriore al decreto-legge 10 agosto 2023, n.105, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 ottobre 2023, n. 137 – si applica solo nel caso in cui il procedimento nel quale sono state compiute le intercettazioni sia stato iscritto successivamente al 31 agosto 2020 (Sez. U, n. 36764 del 18/04/2024, COGNOME, Rv. 287005).
Alla stregua di tale precisazione si rivela infondato lo stesso presupposto da cui muove l’eccezione difensiva posto che il processo cd. Reset risulta iscritto, a carico di COGNOME NOME, solo in data 26 agosto 2020: in tale evenienza, la utilizzabilità delle intercettazioni nel diverso procedimento (quello a carico del ricorrente NOME COGNOME), è soggetta al regime di utilizzabilità previsto ante riforma con la conseguenza che le intercettazioni ambientali sono utilizzabili perché indispensabili ai fini dell’acquisizione di elementi di prova in relazione a reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, ai sensi dell’art. 380 cod. proc. pen., e, dunque, ai delitti di cui all’art. 73 comma 1, d.P.R. n. 309 cit.
5.E’ fondato il secondo motivo di ricorso.
L’ordinanza impugnata, che descrive in dettaglio le modalità di organizzazione del traffico di droga nella città di Cosenza – prevalentemente eroina e cocaina poiché era, invece, oggetto di libero smercio, la cessione di sostanza di tipo leggero – si occupa del ricorrente alle pagg. 62 e ss. individuandolo come uno dei pusher di fiducia di NOME COGNOME, capo del sottogruppo che si occupava dello spaccio nel quartiere cittadino di INDIRIZZO.
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Al GLYPH ricorrente sono ascritti GLYPH numerosi GLYPH reati cd. fine (capi GLYPH 239, 231,241,251,253,254,258,260).
Il Tribunale, ai fini della ricostruzione del contributo partecipativo dell’indagato ha ritenuto che il numero dei reati-fine, oltre a evidenziare la caratura delinquenziale dell’indagato, ne rivelasse il suo inserimento nel sodalizio perché espressivi di una condotta strutturale e dinamica dell’indagato oltre a denotare il rapporto privilegiato con il capo, NOME COGNOME.
Ha valorizzato, a questo fine: a) la circostanza, desumibile dalla conversazione del 1 ottobre 2021, in cui, l’indagato, trovandosi a casa del COGNOME, veniva fatto assistere ad una delicata conversazione in cui NOME COGNOME parlava con NOME COGNOME delle forniture di stupefacenti chiedendogli l’aumento delle stesse e, dunque, mettendolo in condizione di conoscere delicati aspetti del traffico di droga; b) che in altra circostanza NOME COGNOME aveva chiesto al ricorrente la collaborazione nel taglio della cocaina venendo informato dal COGNOME che vi aveva già provveduto; c) che NOME COGNOME, trovandosi in debito verso il COGNOME, veniva autorizzato da questi a rifornirsi di droga direttamente da uno principali canali del gruppo (NOME COGNOME), circostanza che, nel corso di conversazioni successive, COGNOME aveva confermato al COGNOME.
Ritiene il Collegio che le tali circostanze, ancorchè sintomatiche di un forte e diretto collegamento dell’indagato con NOME COGNOME, non denotano, altresì, in termini inequivoci che l’indagato prestasse un contributo causalmente rilevante all’associazione, consolidandone e rafforzandone gli affari la cui gestione faceva capo direttamente al COGNOME.
Risulta pacifico che il ricorrente fosse un assuntore di stupefacenti e, altresì, che la droga acquistata fosse, in parte destinata anche alla cessione a terzi: tuttavia gli elementi indiziari acquisiti non depongono nel senso che l’indagato fosse un pusher del Meduri e addetto stabilmente, per conto di questi, alle cessioni: le conclusioni alle quali il Tribunale è pervenuto sono, pertanto, illogiche e segnate da intrinseca contraddizione nella parte in cui ricostruiscono la consapevole partecipazione del ricorrente all’associazione in forza dello stabile collegamento unicamente con il soggetto apicale del gruppo.
Ed invero l’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato nel carattere stabile dell’accordo criminoso, e, quindi nella presenza di un reciproco impegno alla commissione di una pluralità di reati e richiede che la reiterazione si collochi nell’ambito dell’esecuzione del programma associativo di commissione di una serie indeterminata di reati ( Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017, COGNOME, Rv. 270564).
Tale accordo, in forza dei connotati fattuali descritti nell’ordinanza impugnata, non può essere desunto unicamente dal rapporto intercorrente fra il COGNOME, anche quale fornitore della droga a NOME COGNOME, e neppure dal convergente scopo verso il sostegno ed ampliamento della platea dei consumatori, eventualmente riforniti dal COGNOME, condotta che si risolve nella riproduzione dello schema comune anche al reato di spaccio continuato, ma richiede, ai fini della prova dell’accordo proprio la dimostrazione, anche attraverso facta concludentia, della esistenza di un durevole accordo e di una protratta comunanza di scopo dell’odierno ricorrente e costituita dall’interesse ad immettere sostanza stupefacente sul mercato del consumo attraverso una struttura operativa, anche rudimentale, nonché la prova della esistenza di un vincolo stabile riconducibile all'”affectio societatis” tale per cui può ritenersi provato che la volontà dei contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale e sia stato realizzato un legame che riconduce la partecipazione del singolo al progetto associativo.
Il Tribunale non ha approfondito tali aspetti elevando a gravità indiziaria della condotta partecipativa la mera reiterazione dei reati di cessione ascritti al Della Cananea, approfondimento viepiù necessario, da compiere in sede di rinvio, dal momento che non risultano dimostrati rapporti del ricorrente con altri componenti dell’associazione ma unicamente con il COGNOME, suo abituale fornitore.
6.11 terzo motivo di ricorso propone motivi in parte indeducibili e in parte generici.
Posto che con la richiesta di riesame e con la successiva memoria non era stata contestata, se non per le ragioni indicate al punto 3 del Considerato in diritto del presente provvedimento, la gravità indiziaria in relazione ai reati di cui ai capi 251, 253, 254, 258, 259 e 260, risultano indeducibili le censure che riguardano detti reati.
Sono, invece, generici perché svolti in fatto i motivi di ricorso in relazione ai reati di cui ai capi 239 e 241.
Il Tribunale ha dato atto della identificazione del ricorrente e ha valorizzato, anche per escludere che oggetto delle compravendite, quelle che Della Cananea riferiva al Meduri di avere effettuato da tale COGNOME, possano essere riferite a droghe cd. leggere e queste ultime nonché quelle relative alle vendite direttamente eseguite dal Meduri, possano essere ricondotte alla fattispecie lieve di cui al comma 5, dell’art. 73, d.P.R. n. 309 cit. La droga acquistata da COGNOME si prestava, infatti, al successivo frazionamento in dosi e il suo quantitativo viene individuato, con argomenti non manifestamente illogici, in ca. 50 gr., mentre si
evince dalla conversazione intercettata che NOME COGNOME aveva consegnato al ricorrente ca. 150 gr. di eroina (cfr. pag. 63 dell’ordinanza impugnata).
7.11 quarto motivo di ricorso, con riferimento alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. declinata sotto il profilo dell’agevolazione mafiosa, è fondato, con riferimento sia al reato associativo che a tutti i reati ascritti al ricorrente ai capi 239, 241, 251, 253, 254, 258, 259 e 260.
Premesso che l’aggravante in esame ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere (Sez. U n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734), la sua imputazione all’agente richiede che la sussistenza di tale aggravante debba essere motivata avendo riguardo alla finalità tipizzante costituita dallo scopo di agevolare non il singolo esponente dell’associazione di tipo mafioso, bensì l’attività dell’associazione quale gruppo sopraindividuale. E’ richiesto, dunque, in capo all’agente il dolo specifico di perseguire un interesse collettivo per l’intero gruppo criminale attraverso la commissione dei delitti in materia di stupefacenti, finalità che non può ricavarsi dal mero inserimento nell’attività di acquisto e cessione della droga richiedendo un quid pluris che denoti la sussistenza di finalità agevolativa.
Una finalità che, con riguardo al reato associativo, ènon è adeguatamente motivata anche avuto riguardo alle ragioni che si sono indicate al punto 5 che precede.
8.La fondatezza dei motivi di ricorso innanzi illustrata, con riferimento al tema della utilizzabilità delle conversazioni intercettate, al reato associativo di cui al capo 1 e alla finalità agevolatrice di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., comporta l’annullamento dell’ordinanza impugnata con nuovo giudizio sui punti indicati assorbenti rispetto alla verifica della sussistenza delle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura. La Cancelleria è delegata agli adempimenti di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di C RAGIONE_SOCIALE Catanzaro competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p.. Manda alla cancelleria < RAGIONE_SOCIALE per gli adempimenti di cui all’art.94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 28 novembre 2024
La Consigliera relatrice