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Inutilizzabilità chat criptate: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di narcotraffico basato su prove provenienti da un sistema di comunicazione cifrata, acquisite tramite Ordine Europeo di Indagine. I ricorsi degli imputati, che lamentavano l’inutilizzabilità delle chat criptate per presunta violazione dei diritti di difesa, sono stati in gran parte rigettati. La Corte ha ribadito la validità di tali prove, fondandosi sul principio di fiducia reciproca tra Stati UE e ponendo a carico della difesa l’onere di provare specifiche violazioni dei diritti fondamentali. La sentenza ha annullato con rinvio solo una delle posizioni per un vizio di motivazione relativo alla collocazione temporale della condotta associativa.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inutilizzabilità Chat Criptate: La Cassazione si Pronuncia sull’Uso delle Prove Digitali Estere

L’era digitale ha trasformato le indagini penali, introducendo nuove sfide legate all’acquisizione di prove da sistemi di comunicazione cifrata. Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema di cruciale importanza: la presunta inutilizzabilità delle chat criptate ottenute da autorità estere tramite un Ordine Europeo di Indagine (O.I.E.). La decisione fornisce chiarimenti fondamentali sui principi di cooperazione giudiziaria europea e sui limiti dei diritti della difesa.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’ampia indagine che ha smantellato un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico. Le condanne, confermate in primo e secondo grado (la cosiddetta ‘doppia conforme’), si basavano in modo significativo su un vasto compendio di conversazioni intercorse su una piattaforma di messaggistica cifrata. Tali prove digitali erano state decrittate e acquisite dalle autorità giudiziarie francesi e successivamente trasmesse alla Procura italiana in esecuzione di un Ordine Europeo di Indagine.

Le Doglianze dei Ricorrenti e la questione dell’inutilizzabilità chat criptate

Gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione, articolando diverse censure. Il fulcro delle argomentazioni difensive ruotava attorno alla richiesta di dichiarare l’inutilizzabilità delle chat criptate. Secondo i ricorrenti, le modalità di acquisizione delle prove da parte delle autorità estere, che avevano fatto uso di un captatore informatico (‘trojan’) per decrittare i server, sarebbero state illegittime e lesive dei diritti fondamentali. In particolare, si lamentava l’impossibilità per la difesa di verificare la genuinità, la completezza e le modalità di estrazione dei dati, a causa del segreto apposto dalle autorità francesi sulle operazioni. Tale situazione, a dire delle difese, avrebbe violato il diritto a un giusto processo e il diritto di difesa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato la maggior parte dei ricorsi, ritenendoli infondati, ma ha annullato la sentenza per uno degli imputati con rinvio ad un nuovo giudizio d’appello. La decisione di annullamento, tuttavia, non è dipesa dalla questione delle chat, ma da un vizio di motivazione della Corte territoriale, che aveva fondato la condanna per il reato associativo su condotte avvenute in un periodo antecedente a quello contestato nel capo d’imputazione.

Per quanto riguarda la questione centrale dell’inutilizzabilità delle chat criptate, la Corte ha confermato la piena validità e utilizzabilità delle prove trasmesse dalla Francia.

Le motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su principi ormai consolidati nella giurisprudenza, sia nazionale che europea, riaffermando i cardini del sistema di cooperazione giudiziaria.

1. Principio di Reciproca Fiducia e Presunzione di Legittimità

Il sistema di cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione Europea si fonda sul principio della fiducia reciproca e sulla presunzione che le attività svolte dalle autorità di un altro Stato membro siano conformi ai diritti fondamentali. Questa presunzione, sebbene relativa, non può essere superata da generiche doglianze. La Corte ha sottolineato che, in assenza di prove concrete che dimostrino una palese violazione dei diritti fondamentali, l’autorità giudiziaria italiana deve presumere la legittimità dell’operato dello Stato estero.

2. Onere della Prova a Carico della Difesa

Di conseguenza, spetta alla parte che eccepisce la violazione dei diritti fondamentali — in questo caso, la difesa — l’onere di allegare e provare i fatti specifici da cui tale violazione deriverebbe. Non è sufficiente lamentare la mancanza di documentazione o l’impossibilità di accedere all’algoritmo di decrittazione. La difesa avrebbe dovuto attivarsi, ad esempio richiedendo al giudice l’emissione di un ulteriore O.I.E. per acquisire maggiori informazioni, cosa che nel caso di specie non è avvenuta. La scelta del rito abbreviato non esime la difesa da tale onere.

3. Distinzione tra Acquisizione e Circolazione della Prova

La Cassazione ha chiarito la differenza tra un O.I.E. volto a compiere un atto di indagine (es. installare un captatore) e un O.I.E. per la trasmissione di prove già acquisite. Nel caso in esame, le autorità italiane hanno richiesto prove già nella disponibilità dello Stato francese. Questa seconda ipotesi rientra nella disciplina della ‘circolazione’ della prova, che prevede requisiti meno stringenti rispetto alla ‘formazione’ della prova.

4. Compatibilità del Captatore Informatico

Infine, la Corte ha escluso che l’uso di un captatore informatico su un server da parte di un’autorità straniera costituisca di per sé una pratica inammissibile per l’ordinamento italiano. Sebbene il codice di rito italiano disciplini l’uso del trojan in dispositivi portatili, ciò non rende tale strumento, in astratto, incompatibile con i principi fondamentali del nostro sistema legale, soprattutto quando utilizzato da un’altra giurisdizione nel rispetto delle proprie leggi.

Le conclusioni

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza per la lotta alla criminalità organizzata transnazionale. La Corte di Cassazione conferma che le prove digitali ottenute da sistemi di comunicazione cifrati, acquisite da partner europei e trasmesse tramite O.I.E., sono pienamente utilizzabili nei processi italiani. La decisione pone un argine a eccezioni difensive generiche, stabilendo che la presunzione di legittimità può essere vinta solo attraverso la dimostrazione concreta di una violazione dei diritti fondamentali. Si tratta di una pronuncia che bilancia le esigenze investigative nell’era digitale con la tutela dei diritti processuali, rafforzando gli strumenti di cooperazione giudiziaria europea.

Le prove ottenute da una chat criptata da autorità estere sono utilizzabili in un processo italiano?
Sì, sono utilizzabili. La Corte di Cassazione ha stabilito che le prove acquisite da un’autorità giudiziaria di un altro Stato membro dell’UE e trasmesse tramite Ordine Europeo di Indagine (O.I.E.) sono legittimamente utilizzabili, in virtù del principio di reciproca fiducia e della presunzione di conformità ai diritti fondamentali.

A chi spetta dimostrare che l’acquisizione di queste prove ha violato i diritti della difesa?
L’onere di allegare e provare una specifica violazione dei diritti fondamentali grava sulla difesa. Non è sufficiente sollevare dubbi generici sulle modalità di acquisizione della prova all’estero, ma è necessario fornire elementi concreti che dimostrino la violazione. La difesa ha strumenti per attivarsi, come la richiesta di un ulteriore O.I.E. per ottenere chiarimenti.

L’uso di un ‘captatore informatico’ (trojan) da parte della polizia straniera rende le chat inutilizzabili in Italia?
No. La Corte ha chiarito che l’impiego di un captatore informatico da parte di un’autorità estera per decifrare le comunicazioni non rende di per sé la prova inutilizzabile nel processo italiano. Tale strumento non è considerato intrinsecamente contrario ai principi fondamentali dell’ordinamento italiano al punto da determinare l’inutilizzabilità della prova acquisita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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