Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22036 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22036 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nata a Comiso (RG) il 26/10/1995
avverso l’ordinanza del 04/04/2025 del Tribunale di Ragusa;
letti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; lette le conclusioni del difensore della ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Ragusa ha rigettato la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto di convalida del sequestro probatorio di un microcellulare e di un cavo di alimentazione, emesso dal Pubblico ministero presso quel Tribunale.
COGNOME è indagata per il delitto di cui all’art. 391-bis, cod. pen., per aver occultato all’interno del retto quei dispositivi, in occasione di un suo accesso alla
casa circondariale di quella città per effettuare un colloquio con il proprio convivente, ivi detenuto.
Ella ricorre avverso tale decisione con atto del proprio difensore, ritenendola viziata da:
violazione di legge in punto di configurabilità del reato, giacché quei dispositivi non sono stati da lei consegnati al detenuto, ma alla polizia penitenziaria;
II) manifesta illogicità della motivazione, non potendo il Tribunale del riesame integrare la motivazione del decreto di convalida del sequestro, nel caso di specie del tutto mancante.
Ha depositato la propria requisitoria la Procura generale, chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
Anche la difesa della ricorrente ha depositato le proprie conclusioni scritte, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso, in tema di configurabilità del reato, è per lo meno infondato.
L’art. 391-ter, cod. pen., non si limita alla punizione della messa a disposizione del detenuto – mediante consegna o consenso all’uso – di telefoni od altri dispositivi di comunicazione, ma anticipa la soglia di penale rilevanza anche alla semplice introduzione di simili strumenti in un istituto penitenziario, se effettuata con lo scopo di renderli disponibili ad un detenuto.
Nello specifico, dunque, considerando la relazione personale esistente tra l’indagata ed il detenuto, l’imminente contatto personale tra i due in occasione del loro previsto colloquio, le modalità di occultamento di quegli strumenti e la resistenza alla consegna manifestata dalla donna (a ciò risoltasi solo quando, ormai completamente denudatasi, il metal detector continuava a segnalare la presenza di oggetti metallici all’altezza del bacino), non vi può essere dubbio sul fatto che ella intendesse consegnarli al proprio congiunto ristretto.
Di qui, l’indiscutibile sussistenza del fumus commissi delicti.
La seconda doglianza è inammissibile per genericità.
Premesso che, più che un vizio di motivazione, non censurabile in questa sede (art. 325, comma 1, cod. proc. pen.), essa denuncia una violazione di legge, sub
specie del difetto della necessaria motivazione del provvedimento applicativo della
misura, non emendabile dal giudice del riesame, è indiscutibile, anzitutto, che il decreto di convalida del sequestro reso dal Pubblico ministero fosse privo di
motivazione, consistendo esclusivamente nell’apposizione, a margine del relativo verbale della polizia penitenziaria, della dicitura “V°
si convalida”. È
ormai ius
receptum, invece, che il decreto di sequestro probatorio – così come il decreto di
convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente
della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti. (Sez. U, n. 36072 del
19/04/2018, COGNOME, Rv. 273548).
È egualmente indiscusso, però, che il Pubblico ministero possa colmare l’eventuale lacuna motivazionale del proprio decreto anche nel corso dell’udienza
di riesame (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226713; Sez. 2, n.
49536 del 22/11/2019, Vallese, Rv. 277989; Sez. 4, n. 54827 del 19/09/2017,
COGNOME, Rv. 271579; Sez. 3, n. 37187 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 260241).
E proprio questo è quanto risulta essere avvenuto nello specifico, secondo quel che si legge espressamente nell’ordinanza impugnata e nel verbale d’udienza (consultabile dalla Corte di cassazione per la natura procedurale della questione devolutale), senza che il ricorrente contesti la relativa affermazione: di qui, dunque, la genericità della sua censura.
Al rigetto del ricorso segue obbligatoriamente per legge la condanna della proponente a farsi carico delle relative spese (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2025.