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Introduzione cellulare in carcere: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una donna indagata per aver tentato di introdurre un micro-cellulare in carcere, nascondendolo nel proprio corpo. La Corte ha stabilito che il reato di introduzione cellulare in carcere si perfeziona con il solo ingresso del dispositivo nell’istituto, con l’intento di consegnarlo a un detenuto, anche se la consegna materiale non avviene. La sussistenza del ‘fumus commissi delicti’ è stata confermata, rendendo legittimo il sequestro probatorio del dispositivo.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Introduzione Cellulare in Carcere: Anche il Tentativo è Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22036/2025, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità: il reato di introduzione cellulare in carcere. Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere quando questo delitto possa considerarsi consumato, anche in assenza di una consegna effettiva del dispositivo al detenuto. La decisione chiarisce che la soglia di punibilità è anticipata al semplice tentativo di introduzione, purché sussista l’intento di mettere il dispositivo a disposizione del recluso.

I Fatti del Caso: Il Tentativo di Introdurre un Micro-Cellulare

Una donna si recava presso un istituto penitenziario per un colloquio con il proprio convivente, lì detenuto. Durante i controlli di sicurezza, il metal detector segnalava insistentemente la presenza di oggetti metallici all’altezza del bacino, anche dopo che la donna si era quasi completamente spogliata. Messa alle strette, ammetteva di aver occultato all’interno del proprio corpo un micro-cellulare e un cavo di alimentazione, che consegnava quindi alla polizia penitenziaria.

Il Pubblico Ministero disponeva il sequestro probatorio degli oggetti e ne convalidava il decreto. La donna presentava istanza di riesame al Tribunale, che però rigettava la richiesta. Avverso tale decisione, la difesa proponeva ricorso per cassazione.

I Motivi del Ricorso: Quando si Configura il Reato?

La ricorrente basava la sua difesa su due argomentazioni principali:

1. Violazione di legge: Sosteneva che il reato non si fosse configurato, in quanto i dispositivi non erano stati consegnati al detenuto, ma alla polizia penitenziaria. Secondo questa tesi, mancava l’atto finale della messa a disposizione.
2. Manifesta illogicità della motivazione: Lamentava che il Tribunale del riesame avesse integrato la motivazione del decreto di sequestro, che a suo dire era del tutto assente, cosa non consentita dalla legge.

La Decisione della Cassazione sull’Introduzione Cellulare in Carcere

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo infondato il primo motivo e inammissibile il secondo, fornendo chiarimenti cruciali sulla natura del reato.

La Nozione Ampliata del Reato

I giudici hanno spiegato che l’art. 391-ter del codice penale non punisce soltanto la consegna materiale di telefoni o altri dispositivi di comunicazione a un detenuto. La norma, infatti, anticipa la soglia di rilevanza penale alla semplice introduzione di tali strumenti in un istituto penitenziario, qualora sia effettuata con lo scopo di renderli disponibili a un recluso.

Nel caso specifico, diversi elementi provavano in modo inequivocabile l’intenzione della donna:
* La relazione personale con il detenuto.
* L’imminente colloquio personale.
* Le specifiche e ingegnose modalità di occultamento.
* La resistenza iniziale manifestata prima di consegnare gli oggetti.

Questi fattori, nel loro complesso, hanno reso indiscutibile la sussistenza del cosiddetto fumus commissi delicti, ovvero l’apparenza della commissione di un reato, giustificando pienamente il sequestro.

L’Inammissibilità del Secondo Motivo

Per quanto riguarda la seconda doglianza, la Corte l’ha dichiarata inammissibile per genericità. I giudici hanno inoltre precisato che, in sede di ricorso avverso un’ordinanza di sequestro probatorio, ai sensi dell’art. 325 c.p.p., è possibile denunciare solo la violazione di legge e non i vizi di motivazione. La censura della ricorrente, pur qualificata come ‘illogicità’, si traduceva in una critica che non contestava specificamente le affermazioni contenute nel provvedimento impugnato.

Le Motivazioni della Corte

La ratio della decisione risiede nella volontà del legislatore di prevenire in modo radicale la comunicazione illecita tra detenuti e l’esterno. La Corte ha ribadito che la norma mira a colpire non solo il risultato finale (la comunicazione), ma anche tutti gli atti preparatori idonei a realizzarlo, come l’introduzione stessa del dispositivo. L’occultamento del cellulare e la determinazione nel superare i controlli sono stati interpretati come prove concrete della finalità delittuosa, rendendo irrilevante la mancata consegna al destinatario finale.

Conclusioni

Questa sentenza consolida un principio fondamentale: per il reato di introduzione di cellulari in carcere, l’intenzione di consegnare il dispositivo a un detenuto, supportata da atti concreti come l’introduzione e l’occultamento dello stesso, è sufficiente a integrare il delitto. Non è necessario che avvenga il passaggio di mano tra chi introduce l’oggetto e il recluso. La decisione rappresenta un importante monito sulla severità con cui l’ordinamento giuridico persegue ogni tentativo di compromettere la sicurezza e l’ordine all’interno degli istituti penitenziari.

Per commettere il reato di introduzione di un cellulare in carcere è necessario consegnarlo effettivamente al detenuto?
No, la Corte ha chiarito che il reato si configura anche con la semplice introduzione del dispositivo nell’istituto penitenziario, se fatta con lo scopo di renderlo disponibile al detenuto, anche senza l’effettiva consegna.

Quali elementi ha considerato la Corte per ritenere sussistente l’intenzione di consegnare il cellulare?
La Corte ha considerato la relazione personale tra l’indagata e il detenuto, l’imminente colloquio, le particolari modalità di occultamento del dispositivo e la resistenza iniziale alla consegna agli agenti di polizia penitenziaria.

È possibile contestare in Cassazione la motivazione di un’ordinanza sul sequestro?
No, secondo l’art. 325 del codice di procedura penale, il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse in materia di sequestro probatorio è ammesso solo per violazione di legge, non per vizi di motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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