Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26255 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26255 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Foggia il DATA_NASCITA; avverso la sentenza emessa in data 10.05.2023 dalla Corte di appello di Bari visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale NOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME è stato tratto a giudizio innanzi al Tribunale di Foggia per rispondere dei reati di intralcio alla giustizia, in relazione all’art. 372 cod. pe commessi ai danni di NOME COGNOME, di NOME COGNOME, nato il DATA_NASCITA, e
di NOME COGNOME, nato il DATA_NASCITA, commessi in Orta Nova il 9 e 10 novembre 2017.
Secondo l’imputazione, il COGNOME, imputato del reato di furto aggravato commesso nell’abitazione di NOME COGNOME, madre di NOME COGNOME, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in due distinte occasioni, avrebbe minacciato NOME COGNOME, nato il DATA_NASCITA, e il cugino omonimo, nato il DATA_NASCITA, per indurre NOME COGNOME, moglie del primo, che aveva reso dichiarazioni accusatorie nei suo confronti e lo aveva riconosciuto nella fase delle indagini preliminari, a ritrattare le dichiarazioni rese e in tal modo commettere il delitto di falsa testimonianza; fatto aggravato ai sensi dell’art. 61 n. 2 cod. pen. perché commesso per assicurarsi l’impunità.
Il Tribunale di Foggia, con sentenza emessa in data 9 luglio 2019, ha dichiarato NOME COGNOME responsabile dei reati a lui ascritti, previa riqualificazione del reato commesso nei confronti di NOME COGNOME ai sensi dell’art. 377 cod. pen. in relazione all’art. 371-bis cod. pen. e cli quello commesso nei confronti di NOME COGNOME, nato il DATA_NASCITA, ai sensi degli artt. 56, 610 cod. pen. e ritenuta la continuazione, riconosciute le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva e applicata l’aggravante contestata di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., lo ha condannato alla pena di due anni e otto mesi di reclusione.
Il Tribunale ha, altresì, assolto l’imputato dal delitto di inl:ralcio alla giusti a lui ascritto nei confronti di NOME COGNOME, nato il DATA_NASCITA, perché il fatto non sussiste.
La Corte di appello di Bari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, appellata dall’imputato, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti del predetto in ordine al reato di cui agli artt. 56, 610 cod. pen., essendo lo stesso improcedibile per difetto di querela, e ha rideterminato la pena inflitta all’imputato per il residuo delitto in due anni e quattro mesi di reclusione.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, nell’interesse dell’imputato, hanno presentato ricorso avverso tale sentenza e ne hanno chiesto l’annullamento, deducendo due motivi.
4.1. Con il primo motivo i difensori censurano, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 533, 535, 521, 192 cod. proc. pen. e degli artt. 377, 371-bis, 133, 99, 69, 62-bis, 61 n. 2 cod. pen.
I difensori rilevano che la sentenza impugnata non avrebbe rispettato il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio e che illegittimamente sarebbe stata affermata la responsabilità penale dell’imputato per il delitto di intralcio al
giustizia, in quanto «l’invito» rivolto dall’imputato ai cugini COGNOME non sarebbe stato indirizzato al potenziale testimone, NOME COGNOME, e non avrebbe avuto né valenza intimidatoria, né alcuna connessione con la vicenda del 13 agosto 2016.
Il delitto di intralcio alla giustizia non potrebbe, del resto, essere commesso se non nei confronti di chi abbia assunto la qualità di testimone.
Il trattamento sanzionatorio sarebbe stato, del resto, determinato in violazione delle disposizioni di legge e le attenuanti generiche sarebbero state inspiegabilmente riconosciute solo in termini di equivalenza; l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen. avrebbe dovuto essere esclusa, al pari della recidiva, non essendovi alcun legame tra i fatti giudicati nel presente processo e i precedenti del COGNOME.
4.2. Con il secondo motivo i difensori deducono, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione, in quanto Corte di appello non avrebbe fornito risposte alle censure proposte nell’atto di appello in ordine al giudizio di responsabilità penale e alla determinazione della pena.
Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso è stato trattato con procedura scritta.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 21 marzo 2024, il Procuratore generale, nella persona di NOME COGNOME, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto i motivi proposti sono diversi da quelli consentiti dalla legge o, comunque, manifestamente infondati.
Con il primo motivo i difensori censurano, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 533, 535, 521, 192 cod. proc. pen. e degli artt. 377, 371-bis, 133, 99, 69, 62-bis, 61 n. 2 cod. pen.
3. Il motivo è inammissibile.
3.1. Il motivo, infatti, espone in un unico e non perspicuo flusso narrativo una serie di censure, la cui esatta determinazione (quanto a punti della decisione impugnata, motivi di ricorso e questioni sollevate), di fatto, viene inammissibilmente rimessa dalla Corte di cassazione.
In tema di ricorso per cassazione, è, infatti, inammissibile, per aspecificità, ex artt. 581, comma 1 e 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., il motivo che
denunci l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonché, in modo cumulativo, promiscuo e perplesso, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, ove non sia indicato specificamente il vizio di motivazione dedotto per i singoli, distinti aspetti, con purCuale richiamo, alle parti della motivazione censurata (Sez. 4, n. 8294 del 01/02/2024, COGNOME, Rv. 285870 – 01; conf. Sez. 2, n. 3126 del 29/11/2023 (dep. 2024), COGNOME, Rv. 285800 – 01).
3.2. Il ricorrente, peraltro, in ordine all’affermazione della responsabilità penale dell’imputato, non censura carenze della motivazione o suoi vizi logici, ma inammissibilmente propone, peraltro in termini apodittici, un diverso apprezzamento delle condotte accertate dalle sentenze di merito.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944).
Sono precluse al giudice di legittimità, la rilettura degli elementi di fatto post a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
3.3. La censura relativa alla violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio si risolve e nella mera enunciazione di massime della giurisprudenza di legittimità, prive di connessione con la sentenza impugnata.
È, infatti, inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso che risolva nella mera enunciazione dei principi giurisprudenziali (Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, Ruci, Rv. 267611).
3.4. Parimenti manifestamente infondata’ è la censura di violazione di legge, fondata sul rilievo che il delitto di intralcio alla giustizia non potrebbe esse commesso se non nei confronti di chi abbia assunto la qualità di testimone.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, integra il delitto di intralcio alla giustizia di cui all’art., 377 cod. pen. la condotta di chi compie pressioni o minacce sulla persona che ha reso dichiarazioni accusatorie in fase di indagini preliminari per indurla alla ritrattazione in detta fase o prospettiva del successivo dibattimento (Sez. 2, n. 27382 del 08/02/2023, Ricotta, Rv. 284866 – 01, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sufficiente ad integrare il reato la circostanza che la persona offesa avesse sporto denuncia e fosse, quindi,
inquadrabile nella categoria dei “dichiaranti processuali”, ancorché avesse reso informazioni solo in fase di indagini preliminari; Sez. 6, n. 17665 del 17/02/2016, COGNOME, Rv. 266796 – 01; Sez. 6, n. 50008 del 20/10/2015, COGNOME, Rv. 266040 01).
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tale disposizione di legge, in quanto non è in discussione che NOME COGNOME sia stata sentita nel corso delle indagini preliminari relative al furto subito nell’abitazione della madre.
3.5. Le censura relative alla violazione di legge nella determinazione del trattamento sanzionatorio sono inammissibili per aspecificità, in quanto si risolvono nella mera enunciazione di massime della giurisprudenza di legittimità, relative al bilanciamento delle circostanze, alla recidiva e all’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., e non correlate alla motivazione della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo i difensori deducono, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione, in quanto l Corte di appello non avrebbe fornito risposte alle censure proposte nell’atto di appello in ordine al giudizio di responsabilità penale e alla determinazione della pena.
Anche questo motivo è aspecifico, in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata.
Il motivo è, tuttavia, generico, in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, ma si limita a citazioni della giurisprudenza di legittimità sul tema della determinazione della pena e del riconoscimento delle attenuanti generiche.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2024.