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Intralcio alla giustizia: quando scatta il reato

Un individuo, condannato per aver tentato di far ritrattare una testimonianza tramite pressioni sui familiari della dichiarante, ha presentato ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che il reato di intralcio alla giustizia si configura anche se le pressioni sono rivolte a chi ha reso semplici dichiarazioni durante le indagini preliminari, senza che abbia ancora assunto la qualifica formale di testimone.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Intralcio alla Giustizia: Basta la Pressione su chi ha Reso Dichiarazioni

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26255 del 2024, torna a pronunciarsi sul delitto di intralcio alla giustizia, offrendo un chiarimento fondamentale sulla portata della norma. La decisione conferma che per integrare il reato non è necessario che la vittima della pressione abbia già assunto la qualifica formale di ‘testimone’ in un dibattimento, essendo sufficiente che abbia reso dichiarazioni accusatorie durante la fase delle indagini preliminari. Analizziamo insieme la vicenda processuale e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Processo

La vicenda trae origine da un’accusa di furto aggravato. Un uomo, per garantirsi l’impunità, avrebbe minacciato in due distinte occasioni due cugini per indurre la moglie di uno di loro a ritrattare le dichiarazioni accusatorie che aveva reso nei suoi confronti durante le indagini preliminari. La donna, infatti, lo aveva riconosciuto come autore del furto commesso nell’abitazione della propria madre.

Il Percorso Giudiziario e il Ricorso in Cassazione

In primo grado, il Tribunale ha condannato l’imputato, riqualificando i fatti. Il reato commesso nei confronti della donna che aveva reso le dichiarazioni è stato inquadrato come intralcio alla giustizia (art. 377 c.p.), mentre quello verso uno dei cugini minacciati come tentata violenza privata. In appello, la Corte ha parzialmente riformato la sentenza: pur confermando la condanna per intralcio alla giustizia, ha dichiarato l’improcedibilità per il reato di tentata violenza privata per mancanza di querela, rideterminando la pena complessiva.

Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente due aspetti:
1. Errata applicazione della legge penale: Secondo i legali, il reato di intralcio alla giustizia non poteva sussistere, poiché le pressioni non erano state rivolte direttamente alla potenziale testimone e, soprattutto, perché quest’ultima non aveva ancora formalmente assunto tale qualifica in un processo.
2. Manifesta illogicità della motivazione: La difesa sosteneva che la Corte d’Appello non avesse fornito risposte adeguate alle censure sollevate.

La Decisione della Cassazione: L’inammissibilità del Ricorso per Intralcio alla Giustizia

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi presentati generici, confusi e, in parte, volti a ottenere un riesame dei fatti, attività preclusa nel giudizio di legittimità. La Corte ha colto l’occasione per ribadire principi giuridici consolidati e di fondamentale importanza.

Le Motivazioni

La Cassazione ha chiarito in modo inequivocabile un punto centrale della questione. Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, il reato di intralcio alla giustizia di cui all’art. 377 c.p. è integrato dalla condotta di chi compie pressioni o minacce su una persona che ha reso dichiarazioni accusatorie in fase di indagini preliminari per indurla a ritrattarle, sia in quella stessa fase sia in prospettiva del futuro dibattimento.

La Corte ha specificato che non rileva il fatto che la persona non abbia ancora assunto formalmente la qualità di testimone. È sufficiente che sia inquadrabile nella categoria dei “dichiaranti processuali”, ovvero chiunque abbia fornito informazioni agli inquirenti. La norma, infatti, mira a proteggere la genuinità della prova fin dal suo primo momento di formazione, tutelando la libertà di autodeterminazione di chiunque contribuisca all’accertamento della verità.

Inoltre, i giudici hanno respinto le altre censure come aspecifiche, in quanto si limitavano a enunciare massime giurisprudenziali senza correlarle concretamente alla motivazione della sentenza impugnata. Il tentativo di ottenere una diversa valutazione delle prove è stato giudicato, come di consueto, inammissibile in sede di legittimità.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza la tutela della funzione giudiziaria, estendendo la protezione offerta dalla norma sull’intralcio alla giustizia a una fase cruciale e delicata come quella delle indagini preliminari. La decisione chiarisce che qualsiasi tentativo di inquinare le fonti di prova attraverso minacce o pressioni è penalmente rilevante, a prescindere dallo status formale del dichiarante. Per i cittadini, questo significa una maggiore garanzia che le loro dichiarazioni rese alle autorità siano protette da interferenze illecite fin dal primo momento. Per gli operatori del diritto, è una conferma della vasta applicabilità di uno strumento fondamentale per la repressione dei tentativi di manomettere il corretto funzionamento della giustizia.

Chi può essere vittima del reato di intralcio alla giustizia?
Può essere vittima del reato chiunque abbia reso dichiarazioni accusatorie all’autorità giudiziaria, anche se solo durante la fase delle indagini preliminari e senza aver ancora formalmente assunto la qualifica di testimone in un processo. La legge tutela i cosiddetti “dichiaranti processuali”.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché i motivi erano generici, non si confrontavano specificamente con la motivazione della sentenza impugnata e miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività che non è consentita alla Corte di Cassazione.

Il reato di intralcio alla giustizia richiede che le minacce siano dirette alla persona che ha reso le dichiarazioni?
La sentenza si concentra sulla qualifica della persona offesa (il dichiarante) e non entra nel merito se le minacce debbano essere dirette. Tuttavia, il caso di specie riguardava minacce ai familiari per indurre la dichiarante a ritrattare, condotta che i giudici di merito hanno ritenuto idonea a configurare il reato, e tale valutazione non è stata messa in discussione dalla Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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