Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20887 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20887 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nato a Napoli il 01/07/1956, avverso la sentenza del 24/09/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la condanna di NOME COGNOME ex artt. 99, 377, comma terzo, e 416bis cod. pen. cod. pen. per avere minacciato, nei modi descritti nel capo di imputazione, NOME COGNOME per indurlo a rendere falsa testimonianza, o comunque, a ritrattare quanto prima dichiarato , nell’ ambito del procedimento penale n. 2352705 RGNR DDA.
Nel ricorso presentato dal difensore di COGNOME si chiede l’annullamento della sentenza.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della inchiesta di riapertura delle indagini presentata dal Pubblico ministero presso il Tribunale di Locri, della successiva richiesta di rinvio a giudizio, del decreto di rinvio a giudizio e di tutti gli atti che ne sono conseguiti, a causa della tardività della richiesta (presentata soltanto il 7/06/2022 mentre le indagini erano già state completate il 18/02/2022) e, comunque, in mancanza di nuove fonti di prova che giustificassero la riapertura delle indagini.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deducono violazione di legge e vizio della motivazione circa la prova del reato ascritto a COGNOME anche evidenziando che sulla base degli stessi elementi di fatto in precedenza il Pubblio ministro presso il Tribunale di Locri aveva chiesto l’ archiviazione degli atti valutando che la tesi accusatoria poggia soltanto sulle dichiarazioni delle persone coinvolte nella vicenda, portatrici di interessi contrapposti a quello dell’ imputato e, quindi, inidonee a essere assunte quali uniche fonti di prova.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge nel ravvisare l’aggravante ex art. 416bis .1 cod. pen. fondata soltanto sui contenuti delle dichiarazioni di NOME COGNOME.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si deducono violazione di legge e vizio della motivazione nell’ escludere la prescrizione del reato, trascurando che l’atto interruttivo della prescrizione è intervenuto soltanto il 12/10/2022 quando era già decorso il termine massimo al momento in cui veniva adottato il primo atto interruttivo, costituito dal decreto che dispone il giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso reitera questione già posta sia nel primo che ne secondo grado di giudizio.
La Corte d’appello ha correttamente osservato che l’art. 414 cod. proc. pen. non richiede, quale condizione necessaria per l’autorizzazione alla riapertura delle indagini, che siano già emerse nuove fonti di prova o che siano acquisiti nuovi elementi probatori, perché basta l’esigenza di nuove investigazioni, configurabile anche nel caso in cui si prospetti la rivalutazione, in un’ottica diversa e in base ad un nuovo progetto investigativo, delle precedenti acquisizioni (Sez. 6, n. 18177 del 04/04/2024, Rv. 286489; Sez. 5, n. 13802 del 17/02/2020, Rv. 278991).
Nella fattispecie l ‘ esigenza di riaprire le indagini è sorta dalle due sentenze emesse nel procedimento ‘ Share ‘, dai contenuti della trascrizione del verbale
d’ udienza del 12/04/2021 nel l’ambito del proc . n. 2532/2025 e dalla denuncia di NOME COGNOME e il ricorso non si confronta con le argomentazioni sviluppate al riguardo nel provvedimento impugnato (p. 3-5).
2. Invece è fondato il secondo motivo di ricorso.
Con denuncia presentata ai Carabinieri di Locri il 5/10/2011 e poi confermata nel dibattimento davanti al Tribunale, NOME COGNOME ha dichiarato che, dopo che NOME COGNOME, incontrato in diverse occasioni, gli si era rivolto con l’appellativo «cosu lordu», egli aveva chiesto chiarimenti a COGNOME e questi gli aveva contestato di averlo indicato quale «persona che si era venduta la famosa partita di calcio tra il Locri ed il Crotone» disputatasi nel 1997, alludendo alle dichiarazioni precedentemente rese da COGNOME nell’ambito del procedimento cosiddetto Shark . COGNOME ha precisato che egli rispose di non avere inteso riferirsi a lui, perché COGNOME era stato «cacciato nel ’97 da presidente», e ha aggiunto che, a quel punto, COGNOME affermò «ora vado in Caserma e ti denuncio per calunnia» e, andando via, aggiunse «boh, non ti preoccupare che come esce chi deve uscire saranno cazzi tuoi». COGNOME ha ricordato di avere ritenuto che COGNOME si riferisse a NOME COGNOME ─ coinvolto nelle vicende relative alla squadra di calcio e che, per quel che ne sapeva, stava per essere scarcerato ─ e ha concluso che la vicenda non ebbe sviluppi ulteriori.
La Corte d’ appello ha valutato che le dichiarazioni accusatorie di COGNOME persona offesa dalle minacce e non costituitasi parte civile, risultano attendibili, non mosse da interessi patrimoniali, coerenti e riscontrate dalla scarcerazione di NOME COGNOME (membro di associazione per delineare di stampo mafioso… ) addotta da COGNOME (secondo l’interpretazione della Corte di appello) in termini minatori.
Tuttavia , la condotta ascritta a COGNOMENOME non integra il reato ex art. 377 cod. pen. perché costituisce «intralcio alla giustizia» ex art. 377 cod. pen. la condotta di chi compie pressioni o minacce sulla persona che ha reso dichiarazioni accusatorie in fase di indagini preliminari per indurla alla ritrattazione in detta fase o in prospettiva del successivo dibattimento (Sez. 2, n. 27382 del 08/02/2023, Rv. 284866; Sez. 6, n. 17665 del 17/02/2016, Rv. 266796; Sez. 6, n. 14862 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 263117).
Invece, ne l caso in esame, COGNOME rivolse espressioni offensive a COGNOME , ma non si riferì a ulteriori possibili svolgimento processuali della vicenda per la quale COGNOME aveva testimoniato e non formulò minacce nei suoi confronti, limitandosi a affermare che lo avrebbe denunciato per calunnia, senza che tale proposito risulti essere stato prospettato in termini strumentali a eventuali finalità intimidatorie.
Del tutto vaga si presenta , per altro verso, l’allusione di COGNOME alla scarcerazione di qualcuno e alle possibili ripercussioni negative della stessa per COGNOME con un pronostico, comunque, non collegato a future eventuali interferenze sulle dichiarazioni testimoniali di COGNOME e disgiunto da una possibile partecipazione dello stesso COGNOME, il quale soltanto affermò che, per parte sua, avrebbe sporto una denuncia per calunnia.
Pertanto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste e questo esito priva di rilevanza i residui motivi di ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste. Così deciso il 22/05/2025