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Intralcio alla giustizia: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha confermato una condanna per intralcio alla giustizia, chiarendo che il reato si configura come reato di pericolo. È sufficiente esercitare pressioni su chi ha reso dichiarazioni accusatorie per indurlo a ritrattare, a prescindere dal fatto che la persona abbia già assunto la qualifica formale di testimone o che l’imputato abbia scelto il rito abbreviato. La Corte ha inoltre confermato il diniego della sospensione condizionale della pena basandosi su una prognosi negativa sulla futura condotta dell’imputato.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Intralcio alla Giustizia: Quando Pressioni e Minacce Diventano Reato

Il reato di intralcio alla giustizia, previsto dall’art. 377 del codice penale, tutela il corretto funzionamento dell’amministrazione della giustizia, punendo chi tenta di inquinare le fonti di prova. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sulla natura di questo delitto, specificando che si tratta di un reato di pericolo, la cui configurabilità non dipende né dalla qualifica formale di ‘testimone’ della persona offesa, né dalle scelte processuali dell’imputato, come l’accesso al giudizio abbreviato.

I Fatti del Processo e i Motivi del Ricorso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un imputato condannato in primo e secondo grado per aver sollecitato una persona, che aveva reso dichiarazioni accusatorie alla polizia giudiziaria, a ritrattarle. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due principali motivi.

In primo luogo, si sosteneva che il reato di intralcio alla giustizia non fosse configurabile. Secondo la tesi difensiva, il reato si applicherebbe solo a dichiarazioni da rendere all’Autorità Giudiziaria o a un suo delegato, mentre nel caso di specie la persona era stata sollecitata a recarsi dalla Polizia Giudiziaria che agiva autonomamente. Inoltre, si evidenziava che la persona offesa non aveva mai assunto formalmente la qualità di testimone, poiché l’imputato aveva scelto il rito abbreviato, un procedimento che inibisce l’attività istruttoria dibattimentale e quindi l’assunzione di testimonianze.

In secondo luogo, la difesa lamentava il mancato riconoscimento della sospensione condizionale della pena, sostenendo che la Corte d’Appello avesse violato il divieto di reformatio in peius negando il beneficio solo sulla base di precedenti penali, senza una valutazione complessiva e in assenza di un appello del Pubblico Ministero sul punto.

La Decisione della Cassazione: Natura di Pericolo del Reato

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi di ricorso, ritenendoli infondati e offrendo una lettura chiara e rigorosa dell’art. 377 c.p.

Il fulcro della decisione riguarda la natura del reato di intralcio alla giustizia. La Corte ha ribadito che si tratta di un ‘reato di pericolo’. Questo significa che per la sua consumazione non è necessario che l’azione intimidatoria raggiunga il suo scopo, ovvero che il dichiarante modifichi o ritratti effettivamente le sue affermazioni. È sufficiente che la condotta (violenza, minaccia, offerta di denaro) sia, in base a un giudizio ex ante, potenzialmente idonea a condizionare la genuinità della prova. La norma, infatti, mira a fornire una tutela anticipata al bene giuridico dell’amministrazione della giustizia, punendo il semplice tentativo di inquinamento probatorio.

Di conseguenza, è irrilevante che la persona su cui si esercita la pressione abbia già assunto la qualità formale di testimone. La tutela si estende anche a chi ha reso dichiarazioni accusatorie nella fase delle indagini preliminari, in vista di una possibile testimonianza futura. Allo stesso modo, la scelta del rito abbreviato da parte dell’imputato non esclude il reato, poiché la pericolosità della condotta va valutata al momento in cui è stata posta in essere, non in base a successive scelte processuali.

La Questione della Sospensione Condizionale della Pena

Anche il secondo motivo è stato respinto. La Corte ha chiarito che la decisione della Corte d’Appello di negare la sospensione condizionale non era basata unicamente sulla presenza di precedenti penali. Al contrario, i giudici di merito avevano compiuto una valutazione specifica e approfondita della condotta oggetto dell’imputazione e della personalità complessiva dell’imputato, desunta anche dai precedenti. Sulla base di questi elementi, avevano formulato una prognosi negativa circa la sua futura astensione dal commettere reati, ritenendo quindi non meritato il beneficio.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda sulla necessità di garantire una tutela robusta e anticipata al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. Classificare l’intralcio alla giustizia come reato di pericolo significa sanzionare qualsiasi comportamento che metta a rischio la genuinità delle prove, prima ancora che questo rischio si traduca in un danno concreto. L’azione delittuosa si perfeziona nel momento in cui la pressione viene esercitata, perché è in quel frangente che si manifesta la minaccia al bene giuridico protetto. Attendere che il dichiarante diventi formalmente ‘testimone’ o che si apra un dibattimento lascerebbe priva di tutela tutta la cruciale fase delle indagini preliminari, dove spesso si raccolgono gli elementi probatori decisivi. Per quanto riguarda la sospensione condizionale, la Corte ribadisce che si tratta di un beneficio subordinato a una prognosi favorevole sulla futura condotta del reo, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, sindacabile in Cassazione solo per vizi logici manifesti, qui non riscontrati.

Le Conclusioni

Questa sentenza consolida un principio fondamentale: la lotta all’inquinamento probatorio inizia nel momento stesso in cui si tenta di influenzare un potenziale testimone. Il reato di intralcio alla giustizia non richiede il successo dell’intimidazione né particolari formalità processuali, ma si configura ogni volta che una condotta aggressiva o corruttiva è potenzialmente idonea a deviare il corso della giustizia. La decisione riafferma la centralità della fase delle indagini e la necessità di proteggere coloro che collaborano con l’autorità fin dal primo momento, garantendo che il processo penale possa basarsi su fonti di prova genuine e non inquinate.

Il reato di intralcio alla giustizia si configura solo se la persona intimidita è già formalmente un testimone?
No. Il reato si configura anche se la pressione viene esercitata su una persona che ha reso dichiarazioni accusatorie in fase di indagini preliminari, per indurla a ritrattare in quella stessa fase o in vista di un futuro dibattimento. La qualifica formale di testimone non è un requisito necessario.

La scelta del rito abbreviato da parte dell’imputato esclude il reato di intralcio alla giustizia?
No. La scelta di un rito che non prevede l’assunzione di testimonianze, come il giudizio abbreviato, non fa venire meno il reato. Essendo un reato di pericolo, la sua sussistenza va valutata al momento in cui la condotta è stata posta in essere, a prescindere dagli sviluppi processuali successivi.

Perché è stata negata la sospensione condizionale della pena all’imputato?
La sospensione condizionale è stata negata non solo per la presenza di due precedenti sospensioni, ma perché la Corte d’Appello, valutando specificamente le condotte dell’imputato e la sua personalità, non ha ravvisato elementi per formulare una prognosi positiva circa la sua futura astensione dal commettere altri reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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