Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25514 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25514 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 02/11/1953
avverso la sentenza del 08/11/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME il quale ha
chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso
Ritenuto in fatto
Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della decisione di primo grado, che aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile dei reati continuati di falso ideologico e truffa, ha dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, con riguardo agli episodi di reato aventi a oggetto due dei veicoli indicati nel capo dell’imputazione, assolvendo l’imputato per l’episodio relativo al veicolo Ford e confermando, nel resto, la sentenza di primo grado. Il trattamento sanzionatorio è stato rideterminato in mesi nove e giorni quindici di reclusione.
Secondo la rubrica, l’imputato induceva ripetutamente in errore funzionari del P.R.A. dichiarando di essere proprietario, e simulando attività di compravendita, delle auto descritte in capo d’imputazione, risultate nella disponibilità di altri. L’imputato procurava a sé, inoltre, con raggiri e artifizi un ingiusto profitto con danno all’Erario, nonché agli enti locali di riferimento, aprendo una partita I.V.A., con ciò simulando un’attività di commercio di auto, intestando a sé i veicoli indicati in imputazione.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 479 e 640 cod. pen., per avere la Corte d’appello ritenuto sussistenti i reati ascritti, di cui ai capi A9 e b) della rubrica, e per erronea valutazione delle dichiarazioni testimoniali. In particolare, la Corte d’appello non ha tenuto in conto 1) la data in cui gli autoveicoli erano stati intestati al prevenuto; 2) le date d’immatricolazione degli autoveicoli; 3) l’effettiva attività dell’imputato, che non era un concessionario d’auto, bensì uno sfasciacarrozze, al quale, di frequente, i proprietari d’auto ricorrono per acquistare pezzi di ricambio a prezzi irrisori; 4) l’imputato aveva, in passato, gestito un’attività di autorimessa, ciò che spiega il ritrovamento di vecchi veicoli e rottami rinvenuti nei luoghi di sua proprietà; peraltro, non è stata fornita prova che i mezzi fossero in uso a terzi. In definitiva, i giudici di merito hanno erroneamente basato il giudizio di condanna sul fatto del rinvenimento di un’unica vettura (la Opel Zefiro indicata in rubrica), utilizzata da altri e intestata all’imputato.
2.2 Col secondo motivo, si deduce violazione di legge, in relazione all’aumento determinato per la continuazione con il reato di truffa, di cui al capo b) della rubrica.
Sono pervenute 1) le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso; 2) nomina dell’Avv. NOME COGNOME e procura speciale.
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
1.1 Il primo motivo è inammissibile, in quanto generico e aspecifico, oltre che basato su assunti che tradiscono un mancato confronto con la giurisprudenza di questa Corte in tema di delitto di falso ideologico, correttamente applicata al caso in esame dai giudici d’appello.
A tal riguardo, deve ricordarsi che il delitto di falso ideologico in atto pubblico, mediante induzione in errore del pubblico ufficiale, è integrato dalla condotta di colui che dichiari all’operatore degli uffici del Pubblico Registro Automobilistico di essere proprietario, sì da ottenerne la immatricolazione, di autovetture, in realtà nella effettiva disponibilità di altri, essendone egli solo l’intestatario fittizio per effetto di operazioni di compravendita simulata (Sez. 5, n. 37944 del 31/05/2017, COGNOME, Rv. 270762 – 01; v. anche Sez. F, n. 32499 del 11/08/2011, COGNOME, Rv. 251005; Sez. 5, n. 9537 del 07/07/1992, COGNOME, Rv. 192257).
Di tale principio, i giudici del merito hanno operato buon governo: dopo aver evidenziato come, dal compendio probatorio, sia emerso, in seguito a verifiche presso il P.R.A., che nel corso degli anni l’imputato risultava essere intestatario di oltre 120 veicoli, 30 dei quali ancora -all’epoca delle indagini- intestati allo stesso, si è rimarcata, in motivazione, 1) l’assenza di qualsivoglia documentazione attestante la cessione a terzi degli autoveicoli, ovvero la rottamazione o la dismissione degli stessi 2) la mancata allegazione, da parte difensiva, di ragioni idonee a contrastare la verificata sostituzione di altri alla persona del ricorrente nell’operare le dichiarazioni presso il P.R.A. Si è inoltre osservato che, delle decine di autoveicoli ancora intestate al La Porta, non v’era traccia al momento dei sopralluoghi della p.g. nella sede dell’impresa dell’imputato, che si rivelava essere un terreno abbandonato, con accesso chiuso da un lucchetto. L’obiezione difensiva – che s’incentra sul tipo di attività asseritamente svolta dal ricorrente: sfasciacarrozze, non già concessionario d’auto – non riesce a contrastare il fondamentale dato fattuale valorizzato dalla Corte d’appello, vale a dire l’intestazione di circa 30 veicoli in capo al ricorrente. Neppure le altre eccezioni versate in fatto, oltre che meramente reiterative di quelle già proposte in appello e adeguatamente disattese dalla Corte distrettuale – riescono a scalfire il logico ordito motivazionale della gravata sentenza. Rispetto al metodo argomentativo
prescelto dalla difesa, non può che ribadirsi quanto già chiarito da parte di questa Corte di legittimità, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduca e reiteri gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato e limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838- 01).
1.2. Il secondo motivo è, del pari, inammissibile, in quanto generico e aspecifico. Eludendo il confronto, critico ed effettivo, con la motivazione (sull’aspecificità del motivo intesa come assenza di confronto con la motivazione, cfr., ex plur., Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, COGNOME, Rv. 255568 -01; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, COGNOME, Rv. 253849 – 01), il ricorrente non considera, infatti, il minimo aumento di pena praticato per la continuazione (mesi uno e giorni quindici di reclusione) in relazione alla misura della pena base per il reato più grave (di cui al capo A), fissata, peraltro, in misura pari al minimo edittale. Alcuna sproporzione connota la determinazione individuata dai giudici di merito per la continuazione, ove si consideri, da un lato, la nutrita serie di episodi illeciti che hanno caratterizzato la condotta dell’imputato e, dall’altro, la misura, invero contenuta, praticata per la continuazione
Sicché deve ritenersi adeguata la motivazione, posta, da un lato, l’evidenziata presenza di reati omogenei e, dall’altro, l’obiettivo minimo aumento di pena praticato in relazione alla misura della pena base e alla natura seriale delle condotte illecite ascritte. Va ricordato che, in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base, vieppiù quando -come nel caso specie- non è possibile dubitare del rispetto del limite legale del triplo della pena base ex art. 81, comma primo, cod. pen., in considerazione della misura contenuta degli aumenti di pena irrogati (Sez. 5, n. 32511 del 14/10/2020, Rv. 279770 – 01). La motivazione dell’impugnata sentenza è altresì conforme a quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269, in motivazione), secondo cui, in tema di reato continuato, il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e deve essere tale da consentire di verificare che 1) sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, 2) che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e 3) che non si sia
operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene. Condizioni, queste, che risultano rispettate nel caso in scrutinio.
2. Per le ragioni illustrate, il Collegio dichiara inammissibile il ricorso. Alla ex
pronuncia di inammissibilità consegue, art. 616 cod. proc. pen., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 06/06/2025
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