Intestazione Fittizia: Quando il Sequestro del Bene è Legittimo?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36113 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità e complessità: l’intestazione fittizia di beni e i presupposti per il loro sequestro preventivo. La decisione offre importanti chiarimenti su come l’autorità giudiziaria debba valutare la titolarità apparente di un bene quando si sospetta che essa serva a mascherare la reale disponibilità da parte di un soggetto indagato. Questo caso specifico riguarda il sequestro di un capannone formalmente di proprietà di una terza persona, ma di fatto riconducibile a un’indagata per gravi reati tributari.
I Fatti del Caso: Il Sequestro del Capannone
Nell’ambito di un’indagine per reati fiscali a carico di diversi soggetti, il GIP del Tribunale di Rovigo aveva disposto il sequestro preventivo di un capannone. L’immobile risultava formalmente di proprietà di una donna, estranea alle indagini principali. Tuttavia, secondo l’accusa, si trattava di un caso di intestazione fittizia, poiché il bene era nella piena disponibilità di una delle principali indagate nel procedimento.
La proprietaria formale ha impugnato il provvedimento, prima davanti al Tribunale del Riesame e poi in Cassazione, sostenendo di essere l’effettiva titolare dell’immobile e negando qualsiasi legame di parentela o di affari con l’indagata.
La Prova dell’Intestazione Fittizia secondo la Cassazione
Il punto centrale della questione giuridica riguarda l’onere della prova in capo al pubblico ministero. La Cassazione, richiamando un suo precedente orientamento (sent. n. 35771/2017), ha ribadito un principio fondamentale: per giustificare il sequestro di un bene intestato a un terzo estraneo al reato, non basta dimostrare la sua mancanza di risorse finanziarie per l’acquisto. È necessario un doppio accertamento:
1. La mancanza di capacità economica del terzo intestatario: Bisogna provare che la persona non aveva i mezzi finanziari per acquisire il bene.
2. La concreta riferibilità del bene all’indagato: Occorre dimostrare che l’indagato avesse l’effettiva disponibilità e il controllo del bene.
Solo quando entrambi i requisiti sono soddisfatti, il sequestro può ritenersi legittimo, in quanto si dimostra che il terzo è solo un prestanome.
Le Motivazioni della Cassazione
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che il Tribunale del Riesame avesse correttamente applicato questi principi, confermando la legittimità del sequestro. Le motivazioni si fondano su una serie di elementi gravi, precisi e concordanti:
– Inconsistenze della proprietaria formale: La donna non ricordava né la data di acquisto, né il prezzo, né l’intermediario dell’operazione. L’unica informazione fornita riguardava il pagamento di una rata di mutuo di 1.200 euro, a fronte di uno stipendio dichiarato di soli 500 euro.
– Sproporzione finanziaria: Le indagini sul suo conto corrente avevano rivelato un saldo attivo irrisorio (circa 524 euro) e solo due operazioni significative risalenti a molti anni prima, del tutto inadeguate a giustificare l’acquisto di un immobile industriale.
– Disponibilità effettiva del bene: Il capannone era utilizzato da società di cui la ricorrente era stata dipendente, ma che erano di fatto gestite e amministrate dall’indagata principale. Quest’ultima, inoltre, era legata da un rapporto di parentela con la ricorrente (sorella del cognato).
Questi elementi, valutati nel loro complesso, hanno portato i giudici a concludere che la ricorrente fosse una mera intestataria fittizia e che il bene fosse nella piena disponibilità dell’indagata. Pertanto, il ricorso è stato rigettato.
Le Conclusioni
La sentenza in esame rafforza un importante principio in materia di misure cautelari reali. L’intestazione fittizia non può essere presunta sulla base della sola sproporzione economica del titolare formale. È richiesta una prova rigorosa, a carico dell’accusa, che dimostri il collegamento concreto tra il bene e l’indagato. La decisione evidenzia come tale prova possa essere raggiunta anche attraverso un quadro indiziario solido, basato su elementi logici, finanziari e fattuali che, nel loro insieme, smascherano la simulazione della titolarità e riconducono il bene al suo effettivo dominus.
Cosa si intende per intestazione fittizia in un procedimento penale?
Per intestazione fittizia si intende la situazione in cui un bene viene formalmente intestato a una persona (detta ‘prestanome’) che non ne è l’effettivo proprietario, al fine di nascondere la reale disponibilità del bene da parte di un altro soggetto, spesso indagato in un procedimento penale.
Chi deve fornire la prova dell’intestazione fittizia per legittimare un sequestro?
L’onere della prova grava sul Pubblico Ministero. Non è sufficiente dimostrare che il proprietario formale non avesse i mezzi economici per l’acquisto, ma è necessario provare anche che l’effettiva disponibilità del bene fosse riconducibile all’indagato.
Quali elementi ha considerato decisivi la Cassazione per confermare il sequestro in questo caso?
La Corte ha ritenuto decisivi tre elementi: 1) la palese sproporzione tra i redditi della proprietaria formale e il costo dell’immobile; 2) le dichiarazioni confuse e lacunose della stessa riguardo all’acquisto; 3) il fatto che il bene fosse concretamente utilizzato e nella disponibilità di società riconducibili all’indagata, la quale era anche legata da un rapporto di parentela con la ricorrente.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 36113 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 36113 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2024
SENTENZA
sul ricorso di NOME COGNOME, nata in Cina il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza in data 21/12/2023 del Tribunale di Rovigo, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; letta la replica del difensore AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 21 dicembre 2023 il Tribunale del riesame di Rovigo ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto in data 21 novembre 2023 del G.i.p. del Tribunale di Rovigo dell’istanza di dissequestro dell’immobile di proprietà della ricorrente.
La ricorrente contesta l’intestazione fittizia del bene e nega di essere parente di NOME COGNOME. Chiede quindi la restituzione del bene.
Ribadisce le sue ragioni nella replica alla requisitoria del Procuratore generale.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
Nell’ambito di un più complesso procedimento per i reati degli art. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, a carico di vari soggetti di origine cinese, il GIP del Tribunale di Rovigo ha disposto il sequestro preventivo di un capannone, formalmente di proprietà della ricorrente, terza interessata, in realtà riconducibile a una degli indagati, NOME COGNOME.
La ricorrente ha negato la relazione di parentela con la stessa e ha insistito sulla proprietà del bene.
Dall’istruzione, sia pure sommaria della cautela reale, è emerso invece, come riportato nella lunga ed esaustiva motivazione dell’ordinanza impugnata, che il bene era di COGNOME: la terza interessata non ricordava né la data di acquisto né il prezzo né il soggetto che aveva intermediato l’affare; l’unica cosa che sapeva era che pagava una rata di euro 1.200 a fronte di uno stipendio di euro 500 corrisposto dalla ditta RAGIONE_SOCIALE che operava all’interno del capannone e di cui era dipendente, mentre, a suo dire, la restante somma veniva corrisposta per euro 600 dalla società e per euro 100 dal marito; dai controlli sul suo conto corrente era emerso un saldo attivo di soli 524,08 euro e due operazioni, una di euro 5.000 con un assegno del 2012 e un altro di euro 500 del 2013. Il capannone, dove avevano operato varie società di cui la ricorrente era stata dipendente, era entrato nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE di cui era amministratrice NOME COGNOME, sorella di suo cognato.
Va ribadito che, in caso di sequestro preventivo per equivalente, avente a oggetto beni formalmente intestati a persona estranea al reato, incombe sul giudice una pregnante valutazione sulla disponibilità effettiva degli stessi; a tal fine, non è sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo al terzo intestatario, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti, essendo invece necessaria la prova, con onere a carico del pubblico ministero, della riferibilità concreta degli stessi all’indagato (Sez. 3, n. 35771 del 20/01/2017, NOME, Rv. 270798-01). Nello specifico, risultano assolti entrambi i requisiti, perché è stato dimostrato che il capannone era nella disponibilità dell’indagata NOME COGNOME e la terza interessata era solo un’intestataria fittizia.
Il ricorso va, pertanto, rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso, il 2 luglio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente