Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 28490 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 28490 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Procopio NOME COGNOME NOME n. a Catanzaro il 4/6/1983
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro in data 13/3/2025
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del Cons. NOME COGNOME
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc.Gen. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, Avv. NOME COGNOME che ha illustrato i motivi, chiedendone l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’impugnata ordinanza il Tribunale di Catanzaro rigettava l’istanza di riesame proposta da NOME COGNOME NOME quale titolare della omonima ditta individuale avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari di Catanzaro in data 24/2/2025. All’indagato si ascrive al capo 21, nell’ambito di un complesso
procedimento, il delitto ex art. 512 bis cod.pen. con riguardo alla fittizia intestazione della omonima ditta individuale che in realtà sarebbe nella disponibilità effettiva dello zio NOME NOMECOGNOME attinto da incolpazioni provvisorie in relazione alla partecipazione, con ruolo di vertice, ad un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe nonché per plurimi reati-fine.
Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore del Procopio, Avv. NOME COGNOME il quale ha dedotto i motivi di seguito sunteggiati nei termini strettamente necessari per la motivazione:
2.1 la violazione dell’art. 321, comma 1, cod.proc.pen. per avere il Tribunale di Catanzaro confermato il sequestro preventivo c.d. impeditivo in assenza di nesso di pertinenzialità e strumentalità tra l’impresa individuale del ricorrente e i reati di associazione per delinquere, truffa ed autoriciclaggio contestati all’indagato NOME
Il difensore lamenta che l’ordinanza impugnata ha ritenuto con motivazione solo apparente che l’impresa individuale del ricorrente fosse strumentale alla realizzazione dei delitti di truffa commessi dall’associazione per delinquere contestata ai coindagati in quanto parte della merce fraudolentemente acquisita da RAGIONE_SOCIALE veniva trasferita in Calabria, nei locali in cui ha sede anche la ditta individuale di NOME COGNOME GiuseppeCOGNOME al fine di rivenderla ed ottenerne un guadagno. Tuttavia, secondo il ricorrente l’ordinanza impugnata non ha indicato alcuno specifico elemento di prova, omettendo di precisare i reati commessi con l’apporto dell’attività di impresa e i prodotti illecitamente acquistati per essere rivenduti. I giudici cautelari si sono discostati dai principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità che in relazione al sequestro impeditivo adottato nei confronti di società richiede la dimostrazione del durevole asservimento della compagine e del suo patrimonio alla commissione delle attività illecite, quale società strutturalmente illecita o di comodo;
2.2 la violazione degli artt. 321, comma 1, cod.proc.pen. e 512 bis cod.pen. con riguardo alla ritenuta gravità indiziaria in relazione al capo 21. Il difensore censura, innanzitutto, l’affermazione del collegio cautelare che ha ritenuto applicabili alla posizione del ricorrente i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla carenza di legittimazione del terzo a contestare il fumus commissi delicti , trascurando la veste di indagato del Procopio in relazione all’intestazione fittizia di cui al capo 21 e senza differenziare tra sequestro preventivo con finalità impeditive e sequestro finalizzato alla confisca. Aggiunge con riguardo al fumus che l’ordinanza impugnata non ha illustrato alcun elemento atto a dimostrare l’effettiva gestione dell’impresa intestata al ricorrente da parte dello zio NOME COGNOME né ha fornito dimostrazione dell’avvenuto investimento di capitali da parte del medesimo nella costituzione della ditta, nonostante la necessità -ai fini della configurabilità dell’art. 512 bis cod.pen.dell’avvenuta incorporazione nella nuova società di beni o danaro preesistenti.
Il difensore sottolinea, infatti, che al fine della configurabilità del reato la giurisprudenza ha escluso che sia sufficiente la prova che l’indagato rivesta la funzione di amministratore della società di cui si ipotizza la fittizia intestazione e richiede l’individuazione dei beni, del danaro o delle altre utilità che hanno formato oggetto degli atti giuridici di disposizione, come pure delle condotte che ne hanno consentito la fittizia intestazione a soggetti diversi dal reale titolare, profili sui quali il tribunale cautelare non ha ritenuto di soffermarsi, limitandosi a presumere che la ditta individuale del ricorrente, costituita senza alcun trasferimento di beni preesistenti, abbia goduto di fondi provenienti dalle disponibilità economiche di NOME NOMECOGNOME
Secondo il difensore, inoltre, la circostanza che la sede legale della ditta individuale sequestrata fosse adiacente al piazzale dove si trovano i magazzini di altre società dei RAGIONE_SOCIALE non ha rilievo in ordine alla configurabilità del reato in assenza di prova specifica circa la fittizietà della originaria capitalizzazione dell’azienda. Aggiunge che i giudici della cautela hanno impropriamente ricondotto la condotta contestata al ricorrente ad un’ipotesi di interposizione reale, estranea alla fattispecie incriminatrice contestata, e hanno affermato la sussistenza del dolo elusivo sulla base di mere presunzioni, valorizzando il fatto che il NOME NOME ha in passato riportato condanna per il delitto ex art. 416 bis cod.pen. ed è stato sottoposto a misure di prevenzione personali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è nel complesso infondato. L’ordinanza impugnata a sostegno del fumus del reato ex art. 512 bis cod.pen. ha richiamato alle pagg. 4 e segg. gli esiti dell’attività investigativa, dai quali consta che la ditta del ricorrente e quelle facenti capi ai familiari, sebbene formalmente distinte, avevano sedi logistiche ed operative contigue e vedevano l’indistinta partecipazione nella quotidiana gestione delle attività di NOME NOME e dei congiunti, in particolare il fratello NOME e i figli NOME e NOME, segnalando, a dimostrazione della continuità e promiscuità della conduzione aziendale, che -alla stregua del contratto di locazione- il deposito dell’impresa individuale dell’odierno ricorrente ha sede nello stesso immobile precedentemente in uso alla ditta di COGNOME NOME.
I giudici della cautela hanno, inoltre, evidenziato, sulla base delle acquisizioni in atti, che NOME NOME, elemento di vertice dell’associazione per delinquere finalizzata alle truffe, utilizzava sovente quale ‘ufficio’ il deposito dell’impresa intestata al nipote, nel quale intratteneva conversazioni su questioni riservate, e hanno sottolineato che detto indagato nel corso dell’interrogatorio di garanzia ha affermato di essere consapevole, avendo riportato condanna per associazione mafiosa, che eventuali imprese a lui intestate sarebbero state esposte al rischio di ablazione in sede di prevenzione, di fatto, seppur implicitamente, ammettendo il ricorso allo strumento dell’intestazione fittizia in favore di familiari.
1.1 Il collegio cautelare è pervenuto alla conferma della misura reale adottata nei confronti dell’impresa individuale del ricorrente muovendo dalla constatazione fattuale di un consolidato e risalente intreccio proprietario e gestionale tra le ditte individuali riferibili a NOME NOME, intestate ai congiunti, e sul rilievo che l’impresa del ricorrente, al pari di quelle dei familiari, è stata destinataria di almeno parte della merce proveniente dalle truffe commesse da Alipadania nel novarese, trasferita in Calabria per la reimmissione sul mercato.
Le circostanze esposte nell’ordinanza impugnata delineano in maniera adeguata, compatibilmente con la fluidità della fase e avuto riguardo alla natura della misura adottata, il fumus del reato addebitato al ricorrente.
1.2 Pacificamente il sequestro preventivo può essere disposto in presenza del duplice presupposto fattuale del rapporto di pertinenza della cosa con il reato e del concreto pericolo che la sua disponibilità possa aggravarne o protrarne le conseguenze (tra molte, Sez. 4, n. 29956 del 14/10/2020, Valentino, Rv. 279716 – 01). Nella specie, secondo la ricostruzione convalidata dall’ordinanza censurata, l’esistenza del reato di intestazione fittizia avvalora, pur non costituendone un presupposto essenziale, il ritenuto rapporto di pertinenzialità tra la ditta sequestrata e le ipotesi di reato addebitate a NOME NOMECOGNOME chiamato a rispondere della partecipazione, quale esponente apicale, all’associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di truffe, i cui proventi venivano convogliati in aziende a lui sostanzialmente riferibili.
1.2.1 A fronte delle diffuse doglianze difensive che revocano in dubbio la giuridica configurabilità dell’illecito in questione deve rammentarsi che il delitto di trasferimento fraudolento di valori (introdotto nel sistema dall’art. 12 quinquies D.L. n.306 del 1992 convertito nella L. n.356 del 1992) è una fattispecie a forma libera che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o della disponibilità di denaro o altra utilità realizzata in qualsiasi forma. Il fatto-reato consiste, quindi, in una situazione di apparenza giuridica e formale della titolarità o disponibilità del bene, difforme dalla realtà, e nel realizzare volontariamente tale situazione al fine di eludere misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando ovvero al fine di agevolare la commissione di reati relativi alla circolazione di mezzi economici di illecita provenienza. La giurisprudenza di legittimità ha precisato con riferimento all’interpretazione della “ratio” della disposizione, che essa non intende formalizzare i meccanismi -che possono essere molteplici e non classificabili in astrattoattraverso i quali può realizzarsi l'”attribuzione fittizia”, nè intende ricondurre la definizione di “titolarità” o “disponibilità” entro schemi tipizzati di carattere civilistico ma lascia libero il giudice di merito di procedere a tutti gli accertamenti necessari a pervenire – senza vincoli formali – ad un giudizio in concreto degli elementi logici o fattuali, unicamente rispettoso dei parametri normativi di valutazione della prova (Sez. 2, n. 38733 del 09/07/2004, P.m. in
proc. COGNOME ed altri, Rv. 230109 – 01; Sez. 2, n. 52616 del 30/09/2014, Salvi, Rv. 261613 – 01). E’ bensì vero, come rimarcato dalla difesa, che ai fini dell’integrazione del reato di intestazione fittizia di beni non è sufficiente l’accertamento della mera disponibilità del bene da parte di chi non ne risulta essere formalmente titolare, in quanto occorre la prova, sia pur indiziaria, della provenienza delle risorse economiche impiegate per il suo acquisto da parte del soggetto che intenda eludere l’applicazione di misure di prevenzione (Sez. 6, n. 26931 del 29/05/2018, COGNOME, Rv. 273419-01; Sez. 2, n. 28300 del 16/04/2019, Rv. 276216 01, Sez. 5, n. 2640 del 23/09/2021, dep. 2022, Aquino, Rv. 282770-03) ma nel caso a giudizio non può trascurarsi che la costituzione di una ditta individuale, qual è quella intestata al ricorrente, non richiede un capitale sociale minimo e di conseguenza non c’è un importo specifico da versare all’atto dell’iscrizione nel Registro delle Imprese, obbligatoria per quelle che svolgono attività economica. Il richiamo alla giurisprudenza in materia societaria non appare, pertanto, pertinente al caso di specie e la difesa non ha fornito alcuna informazione circa l’eventuale consistenza dell’investimento, le finalità e il concreto ambito d’operatività dell’impresa né tantomeno sulla capacità economica del ricorrente sicché le censure formulate risultano del tutto generiche, risolvendosi nel richiamo a principi dettati con riguardo a fenomeni imprenditoriali radicalmente diversi.
1.2.2 Deve in ogni caso rilevarsi che nel caso in esame, anche ove volesse accedersi all’ipotesi di insussistenza del fumus del delitto ex art. 512bis cod.pen., l’accertamento di una specifica strumentalità dell’impresa rispetto ai delitti di truffa contestati a NOME NOME non farebbe venir meno le ragioni giustificatrici della misura impeditiva, fondata su un collegamento qualificato tra il bene e i reati commessi ed ascritti al predetto congiunto. Al riguardo l’ordinanza impugnata, in linea con quanto già ritenuto dal Giudice per le indagini preliminari, ha evidenziato (pag. 3) che proprio il reticolo di ditte già esistenti e riferibili mediatamente a NOME NOME è entrato a pieno titolo nella programmazione delle truffe attuate da RAGIONE_SOCIALE, costituendo il naturale canale di convogliamento e smercio di tutta la merce acquisita mediante condotte fraudolente ai danni di fornitori del Nord Italia.
Il Tribunale cautelare ha, dunque, dato conto (pag. 4) del rapporto di pertinenzialità del bene sequestrato rispetto ai reati investigati in termini da escludere una relazione meramente occasionale tra gli stessi (Sez. 6, n. 5845 del 20/01/2017, F., Rv. 269374 – 01) mentre non può darsi ingresso nell’analisi del fumus ai rilievi difensivi che lamentano la mancata specificazione del preciso ruolo svolto dall’impresa del ricorrente in relazione a ciascuno dei reati fine addebitati a NOME.
Il durevole asservimento dell’impresa di NOME COGNOME NOME alla commissione delle attività illecite dello zio, quale società strutturalmente illecita o di comodo (Sez. 6, n. 20244 del 08/02/2018, Fedele, Rv. 273268 – 01;Sez. 4, n. 7107 del 25/01/2022,
COGNOME, Rv. 282674 – 01), è nell’odierna fase cautelare adeguatamente attestata dal protratto e strutturale collegamento con i reati-fine contestati, sulla base di evidenze che concorrono a fondare anche il “periculum in mora” ovvero il concreto ed attuale rischio che il bene vincolato sia utilizzato per la commissione di ulteriori reati o per l’aggravamento o la prosecuzione di quelli per cui si procede (Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272928 – 01; Sez. 3, n. 42129 del 08/04/2019, M., Rv. 277173 – 01; Sez. 3 n. 30632 del 13/10/2020,Rv. 280018).
Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso in Roma, 10 luglio 2025
La Consigliera estensore La Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME