Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33688 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33688 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/05/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, la quale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso riportandosi alla requisitoria scritta gi depositata.
udito il difensore:
AVV_NOTAIO si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza n. 39846 del 23 maggio 2023, la I sezione di questa Corte ha rigettato, per quanto rileva in questa sede, il ricorso proposto nell’interesse NOME COGNOME avverso la decisione della Corte d’appello di Palermo, che aveva confermato il giudizio di responsabilità nei confronti della stessa per il concorso nel reato di cui all’art. 512 bis cod. pen., con specifico riguardo alla fittizia attribuzione della titolarità di una tabaccheria.
Avverso la sentenza della I sezione della Corte di cassazione ha proposto ricorso straordinario per cassazione, ex art. 625 bis cod. proc. pen., NOME COGNOME, per il tramite dei propri difensori, affidando le proprie censure ad un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con cui si duole di violazione di legge per avere la Corte di cassazione omesso l’esame di una decisiva circostanza di fatto, specificamente dedotta con atto d’appello, vale a dire l’utilizzazione, da parte della ricorrente, di un finanziamento bancario di euro 250.000, contratto personalmente, utilizzato per l’acquisto della tabaccheria. La personale disponibilità, in capo alla COGNOME, della provvista finanziaria avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a escludere in radice la fittizietà dell’intestazione del bene stesso. Peraltro, gli stessi giudici del merito hanno riconosciuto che parte significativa della somma utilizzata per l’acquisto del bene derivasse proprio da quel finanziamento bancario e che la parte residua della somma fosse derivata dalla vendita di un immobile di proprietà, in ogni caso, della ricorrente.
La I sezione, nel replicare alla deduzione difensiva in parola, si sarebbe limitata a rinviare alle considerazioni svolte, nella medesima sentenza oggetto dell’odierno ricorso, a proposito del coimputato, NOME COGNOME, marito della COGNOME, affermando che, dagli accertamenti patrimoniali espletati nei confronti dei coniugi, emergeva come questi ultimi avessero prodotto, negli anni considerati, redditi quasi nulli o, comunque, insufficienti a giustificare gli ingenti investimenti patrimoniali operati a partire dall’acquisto della tabaccheria il 5 ottobre 2015.
In tal modo, la I sezione sarebbe incorsa in un duplice errore, materiale e percettivo, non avendo considerato né la riferibilità alla COGNOME delle risorse economiche impegnate per l’acquisto del bene, né la sicura tracciabilità della parte preponderante delle risorse investite nell’operazione. La difesa chiede, di conseguenza, l’immediata caducazione dell’impugnato provvedimento o, in subordine, l’adozione di una nuova decisione, emendata dal dedotto errore di fatto, che determini l’annullamento della decisione della Corte d’appello di
Palermo anche in merito all’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME per il concorso nel delitto ascritto.
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il AVV_NOTAIO Procuratore generale, NOME COGNOME, ha chiesto l’inammissibilità del ricorso, riportandosi alla requisitoria scritta già depositata. L’AVV_NOTAIO si è riportato ai motivi di ricorso e ha insistito per l’accoglimento dello stesso.
Considerato in diritto 1. L’unico motivo di ricorso è infondato, per le ragioni di seguito illustrate. Nel contestare l’omessa valutazione, da parte della I sezione di questa Corte, di un decisivo profilo, la ricorrente elude il confronto, critico ed effettivo, con l motivazione dell’impugnata sentenza. Invero, per il tramite del rinvio, operato dalla I sezione, al paragrafo 6.4 della sentenza rescindente, dedicato all’esame del tema della provvista finanziaria (utilizzata per l’acquisto della tabaccheria) con riferimento alla posizione del coniuge coimputato, NOME COGNOME, la Corte ha implicitamente fornito replica ai temi dedotti -e in questa sede riproposti- dalla ricorrente, e ciò sia con riguardo al finanziamento contratto dalla stessa sia al profilo della tracciabilità delle risorse investite nell’operazione. In particolare, nel rigettare il terzo motivo di ricorso con cui NOME COGNOME aveva eccepito la contestazione ex art. 512 bis cod. pen, elevata nei confronti suoi e della moglie NOME COGNOME, la I sezione premetteva quanto segue: «il ragionamento sviluppato dai giudici di merito si impernia sul presupposto che la tabaccheria sita in Palermo, INDIRIZZO – che NOME COGNOME acquistò, il 5 ottobre 2015, per un prezzo complessivo di euro 500.000, di cui 100.000 coperti mediante permuta e 250.000 contestualmente corrisposti – apparteneva, in realtà, a NOME COGNOME, che aveva procurato le risorse necessarie e si era servito dell’intestazione fittizia alla moglie, concorrente nel reato, al fine di ostacolare le indagini patrimoniali che sarebbero state eseguite nell’ambito del procedimento di prevenzione che egli temeva potesse essere instaurato a suo carico». Tanto premesso, la I sezione disattendeva il profilo dedotto dall’attuale ricorrente osservando come «l’argomento difensivo, che esalta la disponibilità, in capo alla COGNOME, dell’importo, pari a 435.000 euro, derivato dalla vendita, il 5 settembre 2012, della nuda proprietà dell’immobile di INDIRIZZO di AVV_NOTAIO», si infrangesse «contro le risultanze degli accertamenti patrimoniali espletati nei confronti di NOME COGNOME, oltre che del marito, illustrate dal Giudice dell’udienza preliminare alle pagg. 326 e ss. della sentenza di primo grado (espressamente richiamata alla pag. 132 di quella di appello), ove è chiarito, in Corte di Cassazione – copia non ufficiale
termini di lampante chiarezza, con i quali il ricorrente rinunzia a confrontarsi, che entrambi i coniugi hanno prodotto, negli anni considerati, redditi leciti pressoché nulli e, comunque, sicuramente insufficienti a giustificare gli ingenti investimenti operati, a partire dall’acquisto del bene in Mandello, avvenuto il 4 luglio 2008 per l’importo di euro 408.000. La menzionata decisione contiene, più in particolare, l’indicazione del risultato economico, quasi sempre negativo, conseguito dalla COGNOME nella conduzione del negozio di ‘RAGIONE_SOCIALE‘, a lei intestato a far data dal 6 marzo 2008 e gestito in sinergia con il marito, nei periodi in cui questi, a lungo ristretto, si trovava in stato di libertà, e non manca di segnalare come i coniugi COGNOMECOGNOME, quantunque assistiti da consulente di parte, abbiano omesso di offrire credibile giustificazione circa la provenienza delle ingenti risorse impiegate per l’acquisto dell’immobile di AVV_NOTAIO e per quelli successivamente effettuati attraverso una proficua attività di investimenti e disinvestimenti, culminata nell’acquisizione del bene cui si riferisce il presente addebito».
A fronte di tali obiezioni, la tesi difensiva – che insiste, come già illustrato, sulla riconducibilità a NOME COGNOME del finanziamento bancario di euro 250.000, contratto personalmente dalla stessa, e servito a finanziare buona parte dell’investimento in parola- prescinde dai precipui rilievi della I sezione circa il mancato confronto dell’allora ricorrente con le risultanze degli accertamenti patrimoniali espletati nei confronti dei coniugi COGNOME, dai quali era risultata la sostanziale impossidenza, da parte degli stessi, di redditi leciti.
La ricorrente vanamente insiste, da un lato, sulla riconducibilità a se stessa della provvista dei 250.000 euro (peraltro, trascurando del tutto l’evidenza del “costo” di qualsivoglia finanziamento bancario, che implica una precisa capacità reddituale in capo al beneficiario, dovendo la provvista finanziaria essere ripagata, con interessi) e, dall’altro, sulla liceità della provenienza della restante somma, in tesi difensiva derivante dalla vendita di un immobile (sito in Modello) di sua proprietà. Ma, anche rispetto a tale parte residua della somma, la I sezione ha efficacemente disatteso le censure difensive, ricordando l’assenza di credibile giustificazione circa la provenienza delle risorse impiegate per l’acquisto dell’immobile di AVV_NOTAIO.
La tesi difensiva va quindi disattesa, in quanto la I sezione, nell’affermare il principio di diritto secondo cui «in tema di trasferimento fraudolento di valori, il delitto è configurabile anche nel caso in cui i beni del soggetto sottoposto o sottoponibile a misura di prevenzione patrimoniale siano stati fittiziamente intestati a persone (quali il coniuge, i figli, i conviventi nell’ultimo quinquennio ecc.) per le quali opera la presunzione d’interposizione fittizia ex art. 2-ter legge 31 maggio 1965, n. 575, ora sostituito dall’art. 26, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159» ha certamente verificato, come fin qui illustrato, «la capacità elusiva
dell’operazione patrimoniale, alla luce di elementi di fatto ulteriori rispetto all’atto del trasferimento, idonei a consentire la ricostruzione dell’elemento soggettivo della fattispecie» (Sez. 1, n. 39846 del 23/05/2023, Salerno, Rv. 285368 – 02).
Sicché l’asserito errore di fatto, posto dalla difesa a oggetto del ricorso, aggredisce, in realtà, «non già una svista o un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto» sia stato «percepito dalla Cassazione «in modo difforme da quello effettivo» (Sez. 4, n. 3367 del 04/10/2016, dep. 2017, Troise, Rv. 268953 – 01; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280 01), bensì una ricostruzione di tipo eminentemente valutativo compiuta dalla Corte di cassazione, come tale esclusa dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen (ex plur., Sez. 5, n. 7469 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259531 – 01; Sez. 6, n. 35239 del 21/05/2013, COGNOME, Rv. 256441 – 01; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, 17/10/2011, Rv. 250527 – 01).
Per i motivi fin qui esposti, il Collegio rigetta il ricorso; alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21/05/2024
Il consigliere estensore
Il presidente