Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1251 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1251 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nata a PALERMO il 25/09/1998 (quale legale rappr.te di RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del 15/06/2024 del TRIBUNALE RIESAME di MILANO
letto il ricorso dell’Avv. NOME COGNOME udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME (inammissibilità del ricorso).
Ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti ai sensi degli artt. 610, comma 5 e 611, comma 1-bis, c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOMECOGNOME a mezzo del difensore di fiducia e procuratore speciale, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano del 15/07/2024, con cui è stata rigettata la richiesta di riesame contro il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca (emesso dal Gip del Tribunale di Milano il 20/05/2024) che ha attinto l’intero capitale sociale e i relativi compendi aziendali della società RAGIONE_SOCIALE nell’ambito del procedimento penale nei confronti di COGNOME NOME (e altri), sottoposto alla custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli artt. 512-bis e 629 cod. pen., aggravati dall’art. 416-bis.1 cod pen. e ritenuto l’effettivo dominus della società della quale si sostiene essere la ricorrente la mera titolare formale.
La difesa affida il ricorso a due motivi che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Violazione degli artt. 240-bis, 192 e 321 cod. proc. pen. in ordine alla ritenuta riconducibilità della RAGIONE_SOCIALE al COGNOME COGNOME.
Entrambe le censure, articolate sotto il profilo della violazione di legge, attengono alla valenza dimostrativa degli elementi di prova indicati dal Tribunale a corredo della mera apparenza del dato costituito dalla qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE in capo alla ricorrente, a discapito, invece, di una realtà che individua nell’indagato COGNOME l’unico ed effettivo dominus, indagato per il delitto di intestazione fittizia aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen.
Si lamenta, infatti, che il Tribunale abbia erroneamente ritenuto la società in esame riconducibile al disegno incessantemente perseguito dal COGNOME Agostino di acquisizione di esercizi commerciali, in particolare operanti nel c.d. “INDIRIZZO” in INDIRIZZO Milano (si tratta degli spazi di vendita locati all’interno), al fine di agevolare la cosca di ‘ndrangheta COGNOME nel disegno di infiltrazione nelle attività commerciali legate alla ristorazione.
In particolare, gli indizi costituiti dall’esito della perquisizione effettuata pres l’abitazione dell’indagato (che ha consentito di rinvenire documentazione anche di carattere fiscale della società) e le dichiarazioni rese dal consulente aziendale della società facente parte del raggruppamento di imprese titolare della concessione comunale delle unità immobiliari presenti all’interno del mercato rionale, il quale aveva escluso una presenza anche gestoria della ricorrente (e del suo compagno COGNOME NOMECOGNOME risultavano privi dei crismi della gravità, precisione e concordanza.
Il Tribunale, infatti, non aveva considerato che l’ipotizzata ingerenza del COGNOME trovava la sua giustificazione nella stipula di un contratto di appalto di servizi (datato 3/02/2024), avvenuta con la sua intermediazione, che gli aveva consentito di gestire la società per un periodo limitato (circostanza che giustificava il rinvenimento degli scontrini), ma sempre in costanza della presenza della ricorrente quale legale rappresentante e del suo compagno COGNOME NOME. Nessun dato di indagine confermava la presenza e l’ingerenza del COGNOME all’atto della cessione del ramo d’azienda, avvenuta il 13/04/2023 e, dunque, ben prima della stipula del contratto di appalto. Si trattava di un dato significativo in quanto consentiva di distinguere la posizione dell’odierna società da quelle delle altre, che pure il Gip aveva ricondotto alla titolarità di fatto dell’indagato, in relazione al quali non vi erano negozi giuridici che potessero giustificare la presenza dell’indagato a vario titolo nelle relative compagini sociali e aziendali.
Parimenti perdeva di consistenza anche il rilievo che il COGNOME fosse stato legittimato a gestire la società, in quanto non solo si trattava di un arco temporale assai ristretto, ma avvenuto al cospetto della presenza e supervisione dell’odierna ricorrente nella sua qualità di legale rappresentante della società.
Inconferente era il contenuto delle intercettazioni telefoniche (quelle intrattenute da NOME COGNOME) a cui il Tribunale aveva assegnato rilievo, in quanto non relative alla società in esame. Anzi, la circostanza che il COGNOME fosse monitorato ben prima della stipula del contratto di appalto e che, nei periodi antecedenti di operatività della persona giuridica (2021-2023) nulla fosse emerso con riguardo alla società in esame avvalorava l’estraneità dell’indagato alla contestata gestione di fatto.
Analogamente poteva sostenersi con riguardo alla messaggistica che invece denotava la scissione tra la società in sequestro e l’indagato. A ciò si aggiungeva anche l’assenza di rapporti di parentela o amicali della ricorrente con l’indagato.
2.2. Violazione dell’art. 240-bis cod. pen. e mancanza di motivazione in ordine agli elementi probatori da cui desumere che il legale rappresentante della società sottoposta a sequestro non avesse la capacità reddituale atta a giustificare la stipula del contratto di affitto con la RAGIONE_SOCIALE
Del tutto assente era un accertamento che desse atto dell’esistenza di una sproporzione tra la consistenza economica e patrimoniale della ricorrente al momento degli acquisti. Si era dunque fatto ricorso all’ipotesi del sequestro per sproporzione sulla base di un accertamento reddituale esperito o effettuato esclusivamente nei confronti del soggetto ritenuto il reale proprietario del bene sottoposto a sequestro.
Con requisitoria-memoria del 17 ottobre 2024, il Pubblico ministero – nella persona del sostituto P.G. NOME COGNOME – ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Dalla lettura dell’ordinanza impugnata risultano indicati un complesso di elementi, anche a valenza indiziaria, che danno conto, sotto il profilo del fumus delicti, che la ricorrente abbia funto da prestanome per l’indagato COGNOME nel senso di apparire formalmente come legale rappresentante della società celando l’effettività della gestione in capo al predetto quantomeno da quarl (2023) la RAGIONE_SOCIALE stipulava il contratto di affitto di ramo di azienda co le concessionarie RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
In particolare, i giudici della cautela hanno fatto anzitutto riferimento al ritrovamento della documentazione fiscale ed amministrativa della società in casa dell’indagato, insieme a quella di altre sette società, sottolineando come il dato della disponibilità della documentazione si qualificasse oltremodo identico – per quantità e qualità – a quello delle altre società titolari di insegne nel mercato che si sostiene siano riconducibili, in forza dei plurimi elementi evocato dal Gip nel provvedimento cautelare, al disegno egemonico perseguito dall’indagato.
Si sono, poi, valorizzate le s.i.t. del consulente aziendale di una delle imprese che risultava titolare della concessione comunale dell’intera unità immobiliare costituita dal mercato rionale, il quale ha ricondotto, al pari di altre unità, anche la gestione di fatto del box riferibile alla società della ricorrente al COGNOME alla sua compagna NOME COGNOME per come comprovato dalla circostanza che era proprio quest’ultima ad essere indicata come la responsabile, con tanto di nome e numero telefonico, esattamente come avvenuto per le altre società, riportandosi (nella colonna note) anche l’indicazione che i dipendenti erano i medesimi negli stessi esercizi da sei mesi. Il tutto a fronte di una mancanza di riferimenti da parte del consulente alla ricorrente e al suo compagno COGNOME NOME “neppure per segnalarne l’avvicendamento rispetto al COGNOME“.
Si è, poi, rimarcato come la capacità reddituale della ricorrente che quella della società fosse incompatibile con l’impegno economico derivante dal contratto di affitto del ramo di azienda tra la stessa società e quella concessionaria delle unità immobiliari del mercato rionale.
Si è, inoltre, sottolineato come l’assenza di altre attività di impresa
riconducibili alla RAGIONE_SOCIALE che non fossero quelle relative al mercato rionale rendesse maggiormente pregnante, ai fini dell’interposizione, il dato costituito dalla gestione di fatto del box da parte del Capellaccio.
Tali elementi sono stati poi ricondotti – sulla scorta del contenuto delle intercettazioni telefoniche e della messaggistica citata dal Gip e riportata nell’ordinanza impugnata – al complessivo disegno criminale perseguito dal COGNOME e volto a controllare le attività dell’intero mercato comunale Isola, nell’ambito di un preciso disegno a carattere monopolistico orchestrato dalle cosche di ‘ndrangheta.
Risultano, altresì, disattesi i rilievi difensivi volti a dimostrare il rili discarico che dovrebbe attribuirsi alla stipula del contratto di appalto (di cui i consulente non sarebbe stato a conoscenza) e alla messaggistica citata dalla difesa nella richiesta di riesame.
Si è, infatti, sottolineato come il contratto di appalto di servizi stipulato dal società con l’intermediazione dell’indagato vedeva come controparte proprio la RAGIONE_SOCIALE, ossia la società schermo utilizzata dall’indagato per le altre acquisizioni fittizie, con ciò, pertanto, non sconfessando il quadro – emerso anche sulla scorta del compendio intercettivo – del disegno unitario perseguito di conseguire il controllo degli esercizi di vendita nel mercato cittadino.
Inoltre, si sono anche evidenziati, in ragione della tempistica della vicenda, ulteriori elementi di incongruità dell’operazione intrapresa rispetto alla data in cui dovrebbe essere avvenuta la risoluzione del contratto tra la società e la concessionaria e la tempistica e rilevanza che la difesa assegna al contenuto della messaggistica (v. pag. 10 e 11).
A fronte di tali considerazioni, il ricorso, per un verso, finisce per essere riproduttivo di profili di censura già vagliati e disattesi con corretti argoment giuridici e, per altro, costituito da doglianze in punto di fatto volte a prefigura una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie non consentita in sede di legittimità e, soprattutto, finisce per risultare del tutto avulso dal perimetro della denuncia di violazione di legge, unico vizio di legittimità proponibile a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., nell’ambito dell’impugnazione dei provvedimenti in materia cautelare reale.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso con cui si lamenta l’assenza del requisito di sproporzione dei valori posseduti dalla ricorrente rispetto al reddito dichiarato e ai proventi dell’attività esercitata.
Per come precisato in premessa, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per sproporzione, è stato disposto ai sensi del comma 2 dell’art. 321 cod.
= = 1 2 2 7 2
proc. pen., in relazione all’art. 240-bis cod. pen., nell’ambito del procedimento penale che vede NOME COGNOME (raggiunto anche da misura cautelare personale) indagato dei reati di cui agli artt. 512-bis e 629 cod. pen., aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen.
Pertanto, per come affermato dalla Corte di legittimità con orientamento che il Collegio condivide, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, ma non è legittimato a contestare i presupposti per l’applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso, che solo il proposto può avere interesse a far valere (Sez. 5, n. 48761 del 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285650 – 01).
Alla terza interessata spetta unicamente dare la prova dell’effettiva titolarità della società, tentativo respinto dal Tribunale di Milano per inidoneità delle circostanze dedotte dall’interessata e contrasto con gli altri elementi probatori che non devono rivestire i presupposti stabiliti dall’art. 192, comma 2 cod. proc. pen. previsti in tema di prova, come invece assume la difesa della ricorrente – di cui l’ordinanza impugnata, per come in precedenza osservato, ha dato ampio conto in motivazione, così sottraendosi a qualunque censura di violazione di legge, l’unica consentita in sede di legittimità a fronte dell’impugnazione di provvedimenti resi in materia cautelare.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 7 novembre 2024.