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Intestazione fittizia e confisca: il ruolo del terzo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una legale rappresentante di una società, i cui beni erano stati sequestrati. Si riteneva che la società fosse un caso di intestazione fittizia a favore di un indagato per reati aggravati dal metodo mafioso. La Corte ha stabilito che il terzo intestatario può solo dimostrare la propria effettiva titolarità dei beni, ma non può contestare i presupposti della misura cautelare, come la sproporzione tra il valore dei beni e il reddito dell’indagato principale.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Intestazione Fittizia e Confisca: Quali Difese per il Terzo Intestatario?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 1251/2025) offre un’importante chiarificazione sul tema dell’intestazione fittizia di beni e società, delineando con precisione i limiti delle difese esperibili dal terzo che risulta formale proprietario. La pronuncia stabilisce un principio cardine: il presunto ‘prestanome’ può difendersi solo provando la sua effettiva titolarità, senza poter mettere in discussione i presupposti della misura applicata al soggetto ritenuto il vero dominus.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal sequestro preventivo finalizzato alla confisca dell’intero capitale sociale e dei compendi aziendali di una società a responsabilità limitata semplificata. La misura era stata disposta nell’ambito di un’indagine penale a carico di un soggetto accusato di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis c.p.) ed estorsione, con l’aggravante del metodo mafioso.

Secondo l’accusa, l’indagato era l’effettivo proprietario (dominus) della società, mentre la ricorrente, una giovane donna, ne era solo la legale rappresentante formale, ovvero una ‘prestanome’. L’operazione societaria si inseriva in un più ampio disegno criminale volto all’infiltrazione delle attività commerciali di un noto mercato comunale milanese, per conto di una cosca della ‘ndrangheta.

La legale rappresentante ha proposto ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva confermato il sequestro, sostenendo due motivi principali:
1. L’erronea valutazione degli elementi di prova, ritenuti insufficienti a dimostrare l’intestazione fittizia e la riconducibilità della società all’indagato.
2. La mancata valutazione della sproporzione tra la sua capacità reddituale e gli acquisti effettuati, dal momento che tale verifica era stata condotta solo nei confronti dell’indagato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la validità del sequestro. La decisione si fonda su un’analisi rigorosa sia degli elementi fattuali che dei principi di diritto che governano la materia.

Le Motivazioni della Decisione

I giudici hanno innanzitutto ritenuto che il Tribunale del Riesame avesse correttamente individuato un solido quadro indiziario (fumus delicti) a sostegno della tesi dell’intestazione fittizia. Tra gli elementi valorizzati figurano:
* Il ritrovamento di documentazione fiscale e amministrativa della società presso l’abitazione dell’indagato, insieme a quella di altre sette società a lui riconducibili.
* Le dichiarazioni di un consulente aziendale che aveva identificato l’indagato come il gestore di fatto del box commerciale della società.
* La palese incompatibilità tra la capacità reddituale della ricorrente e l’impegno economico necessario per l’acquisizione del ramo d’azienda.

Il punto cruciale della sentenza, tuttavia, risiede nella disamina del secondo motivo di ricorso. La Corte ha ribadito un principio consolidato in giurisprudenza: in caso di confisca di prevenzione (come quella per sproporzione ex art. 240-bis c.p.) su beni fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo ha un onere probatorio specifico e limitato. Il terzo può esclusivamente “rivendicare l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni”, ma non è legittimato a contestare i presupposti che giustificano la misura nei confronti del proposto (l’indagato principale). Questi presupposti, quali la pericolosità sociale o la sproporzione tra il bene e il reddito dichiarato, possono essere contestati solo dal soggetto principale dell’indagine.

La difesa della ricorrente, avendo tentato di contestare proprio la mancata valutazione della sproporzione a suo carico, è andata oltre i limiti consentiti, trasformando il ricorso di legittimità in un inammissibile tentativo di rivalutazione del merito dei fatti.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale di estrema importanza nella lotta alla criminalità economica. Essa chiarisce che la posizione del terzo intestatario in procedimenti di sequestro per intestazione fittizia è nettamente distinta da quella del soggetto indagato. Il legislatore e la giurisprudenza intendono così evitare che le strategie difensive del ‘prestanome’ possano essere utilizzate per eludere l’accertamento dei requisiti patrimoniali e di pericolosità in capo al vero dominus. Per chi si trova in una simile posizione, l’unica via per ottenere la restituzione dei beni è fornire una prova inequivocabile e convincente della propria, reale e autonoma, titolarità, dimostrando di non essere un semplice schermo per le attività illecite altrui.

In un caso di sequestro per intestazione fittizia, cosa può contestare il terzo a cui i beni sono intestati?
Il terzo può difendersi esclusivamente cercando di dimostrare, con prove concrete, di essere l’effettivo e reale proprietario dei beni sequestrati, assolvendo al relativo onere di allegazione.

Il terzo intestatario può contestare la sproporzione tra il valore dei beni e il reddito del soggetto indagato?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il terzo intestatario non è legittimato a contestare i presupposti per l’applicazione della misura, come la condizione di pericolosità dell’indagato o la sproporzione tra il valore del bene e il suo reddito. Tale contestazione può essere sollevata solo dal soggetto indagato.

Quali elementi hanno convinto i giudici che si trattasse di un’intestazione fittizia in questo caso?
I giudici hanno basato la loro decisione su un complesso di elementi, tra cui: il ritrovamento di documentazione fiscale e amministrativa della società a casa dell’indagato, le dichiarazioni di un consulente che lo indicava come gestore di fatto, e l’incompatibilità tra la capacità reddituale della ricorrente e l’impegno economico richiesto dall’attività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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