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Intestazione fittizia di beni: serve il dolo specifico

La Corte di Cassazione ha annullato una confisca per intestazione fittizia di beni, stabilendo che non è sufficiente provare l’attribuzione fittizia della titolarità di una società a un prestanome. È necessario dimostrare anche il dolo specifico, ovvero l’intenzione di eludere le misure di prevenzione patrimoniali o di agevolare reati come riciclaggio o reimpiego. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione. Il ricorso del prestanome è stato invece dichiarato inammissibile per carenza di interesse.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Intestazione Fittizia di Beni: La Cassazione Sottolinea l’Importanza del Dolo Specifico

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, n. 2754 del 2024, offre un importante chiarimento sul reato di intestazione fittizia di beni, disciplinato dall’art. 512-bis del codice penale. La Corte ha annullato con rinvio una misura di confisca, affermando un principio cruciale: per integrare il reato non è sufficiente dimostrare la mera interposizione di un prestanome, ma è indispensabile provare il cosiddetto ‘dolo specifico’, ossia la finalità di eludere le misure di prevenzione o di agevolare gravi reati. Analizziamo insieme la vicenda.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda due soggetti, un imprenditore e una donna, che avevano impugnato un decreto della Corte di Appello. Tale decreto confermava la confisca del capitale sociale e del patrimonio di una società a responsabilità limitata, oltre a un’autovettura e a strumenti finanziari riconducibili all’imprenditore. Inizialmente, la misura si basava sulla presunta appartenenza dei soggetti a un’associazione criminale. La Corte d’Appello, pur escludendo tale appartenenza, aveva ritenuto sussistente un grave quadro indiziario per il reato di intestazione fittizia di beni.

Secondo i giudici di merito, la donna ricopriva solo formalmente il ruolo di amministratrice della società, mentre l’imprenditore ne era l’effettivo titolare. Quest’ultimo, attraverso la società-schermo, operava in un sistema di appalti ‘sotto costo’ per servizi di pulizia, ottenendo commesse con offerte anti-economiche e realizzando profitti tramite condotte illecite, come l’abbattimento dei costi del lavoro e delle materie prime.

La Questione del Dolo Specifico nell’Intestazione Fittizia di Beni

I ricorrenti, con un unico atto, hanno lamentato la violazione di legge, sostenendo che mancasse l’elemento soggettivo richiesto dalla norma sull’intestazione fittizia di beni: il dolo specifico. La difesa ha argomentato che l’intestazione fittizia alla donna era solo un espediente per permettere all’imprenditore di continuare a operare, essendo stato dichiarato fallito e quindi impossibilitato a esercitare attività d’impresa. L’obiettivo, quindi, non era quello di eludere misure di prevenzione patrimoniale o di agevolare riciclaggio e reimpiego di capitali illeciti, finalità espressamente richieste dall’art. 512-bis c.p.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’imprenditore, ritenendolo fondato, mentre ha dichiarato inammissibile quello dell’amministratrice fittizia.

La Posizione dell’Imprenditore

I giudici di legittimità hanno rilevato una lacuna fondamentale nella motivazione della Corte d’Appello. Quest’ultima si era ampiamente soffermata sulla natura fittizia del ruolo dell’amministratrice e sull’illiceità dell’attività d’impresa, ma aveva completamente trascurato di analizzare il dolo specifico. La Cassazione ha ribadito che per la configurabilità del reato non basta accertare l’interposizione fittizia, ma è necessario dimostrare che tale condotta sia stata posta in essere con lo scopo preciso di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione o di contrabbando, oppure per agevolare la commissione di delitti come ricettazione, riciclaggio o reimpiego.

La Posizione dell’Amministratrice Fittizia

Il ricorso della donna è stato invece dichiarato inammissibile per carenza d’interesse. La Corte ha osservato che la confisca era stata confermata solo nei confronti dei beni dell’imprenditore e della società. Avendo lei stessa ammesso di essere una mera prestanome ed estranea alla gestione, un eventuale annullamento della confisca non avrebbe avuto alcun effetto positivo sulla sua posizione giuridica.

Le Motivazioni

La motivazione della sentenza è netta: la Corte d’Appello ha confuso l’illiceità generale dell’attività economica con la specifica finalità richiesta dal reato di intestazione fittizia. Il fatto che l’impresa operasse in modo ‘truffaldino’ non implica automaticamente che lo scopo della fittizia intestazione fosse quello previsto dall’art. 512-bis c.p. La Cassazione ha quindi annullato il provvedimento, rinviando il caso a una diversa sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio. Questo nuovo esame dovrà accertare, con un supplemento di motivazione, se esisteva o meno il dolo specifico. In alternativa, la Corte di rinvio dovrà valutare se la confisca possa essere disposta sulla base di un’altra norma, qualora si accerti che l’imprenditore vivesse abitualmente con i proventi di attività delittuose.

Conclusioni

Questa pronuncia riafferma un principio fondamentale del diritto penale: la necessità di provare rigorosamente tutti gli elementi costitutivi del reato, compreso quello soggettivo. Per l’intestazione fittizia di beni, non è sufficiente dimostrare l’esistenza di un ‘prestanome’. L’accusa deve andare oltre e provare che l’intera operazione era finalizzata a sottrarre i beni a possibili misure di prevenzione o a facilitare altri gravi reati. In assenza di tale prova, la condotta, pur potenzialmente illecita sotto altri profili, non integra la fattispecie di cui all’art. 512-bis del codice penale. La decisione invita i giudici di merito a una maggiore attenzione nella distinzione tra il movente generico di un’azione e il dolo specifico richiesto dalla singola norma incriminatrice.

Per configurare il reato di intestazione fittizia di beni è sufficiente dimostrare che una persona è solo un prestanome?
No, secondo la sentenza non è sufficiente. Oltre a provare l’attribuzione fittizia dei beni, l’accusa deve dimostrare anche la presenza del ‘dolo specifico’, cioè l’intenzione di eludere le norme in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di agevolare reati come riciclaggio o reimpiego di capitali illeciti.

Quale è stata la conseguenza della mancanza di prova sul dolo specifico nel caso di specie?
La Corte di Cassazione ha annullato il decreto di confisca nei confronti del titolare effettivo della società e ha rinviato il caso alla Corte d’Appello per un nuovo esame. La Corte territoriale dovrà verificare se sussiste il dolo specifico o se, in alternativa, la confisca possa fondarsi su un’altra ipotesi di pericolosità sociale.

Perché il ricorso dell’amministratrice fittizia è stato dichiarato inammissibile?
Il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile per ‘carenza d’interesse’. Poiché la confisca riguardava beni della società e del titolare effettivo, e lei stessa si era dichiarata estranea alla proprietà e alla gestione reale, l’esito del ricorso non avrebbe prodotto alcun effetto concreto sulla sua posizione giuridica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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