Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2754 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2754 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME COGNOME, nato a Cittanova (RC) il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a Serravalle Scrivia (AL) il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 05/05/2023 della Corte di appello di Reggio Calabria;
visti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni del difensore dei ricorrenti, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME e NOME COGNOME, con unico atto del loro comune difensore, nonché procuratore speciale della seconda, impugnano il decreto della Corte di appello di Reggio Calabria dello scorso 5 maggio, nella parte in cui ha confermato la confisca del capitale sociale e del patrimonio aziendale della “RAGIONE_SOCIALE, con sede in Serravalle Scrivia (AL), nonché di un’autovettura e degli strumenti finanziari riconducibili al NOME ed ivi compiutamente descritti.
La confisca è stata disposta a mente dell’art. 24, d.lgs. n. 159 del 2011, essendo stati costoro ritenuti soggetti pericolosi ai sensi del precedente art. 4, lett. b), in quanto gravemente indiziati del delitto di cui all’art. 12-quinquies, dl. n. 306 del 1992, conv. dalla legge n. 356 del 1992, ora trasfuso nell’art. 512-bis, cod. pen..
La Corte d’appello ha dissentito dal Tribunale, che aveva ravvisato a carico dei predetti un quadro indiziario di appartenenza alla cosca di “ndrangheta” delle famiglie COGNOME, COGNOME ed COGNOME, operante nel territorio del comune di Cittanova, in Calabria, e con ramificazioni anche nel centro-nord Italia. Tuttavia, ha ritenuto sussistente un quadro di gravità indiziarla per il delitto di intestazione fittizia di beni, in quanto l’attribuzione alla RAGIONE_SOCIALE della carica di amministratore della società era puramente fittizia, essendone NOME l’effettivo titolare, e, attraverso la rete di relazioni personali di quest’ultimo, anche con esponenti della criminalità, la società si era inserita nel sistema delittuoso degli appalti “sotto costo” per servizi di pulizia, aggiudicandosi le commesse con offerte al ribasso antieconomiche, ma poi lucrando mediante l’abbattimento dei costi per lavoro, materie prime ed altre spese, e quindi con condotte sistematicamente “truffaldine” nonché reimpiegando nell’impresa gli utili così illecitamente realizzati.
3. Il comune ricorso degli interessati lamenta la violazione dell’art. 4, lett. b), cit., ritenendo non configurabile, sulla base dei dati di fatto valorizzati dallo stesso decreto impugnato, un quadro indiziario per il delitto di cui all’art. 512-bis, cod. pen., dal momento che neppure la Corte d’appello ha ravvisato nella loro condotta il dolo specifico di tale delitto: ovvero la finalità, mediante l’intestazione fittizia beni, di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di agevolare la realizzazione di reati di ricettazione, riciclaggio o reimpiego in attività economiche dei proventi di delitti.
Secondo quei giudici, infatti, la fittizia intestazione della società alla RAGIONE_SOCIALE aveva rappresentato esclusivamente l’espediente per consentire a NOME di continuare ad operare nell’anzidetto sistema illegale di distribuzione degli appalti, eludendo, in tal modo, l’ostacolo costituito dall’essere stato dichiarato fallito e dal connesso divieto di esercitare attività d’impresa.
Suggestiva, in tal senso, secondo il ricorso, si rivela la circostanza che nel processo di cognizione fondato sul medesimo compendio probatorio – nel quale COGNOME e COGNOME erano imputati di partecipazione ad associazione mafiosa, ma poi sono stati ritenuti colpevoli di partecipazione ad associazione per delinquere non qualificata (sebbene con sentenza ancora non definitiva) – non era stata neppure elevata loro un’imputazione per il delitto di cui all’art. 512-bis, cit., benché l descritta condotta d’interposizione fittizia fosse una di quelle poste a fondamento
dell’accusa di partecipazione associativa. Né peraltro può ritenersi – concludono i ricorrenti – che il giudice della prevenzione, come pure sarebbe stato in sua facoltà, abbia valutato le emergenze probatorie diversamente da quello della cognizione, avendo anzi espressamente dichiarato di aderire alla ricostruzione dei fatti operata da quest’ultimo.
Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per il rigetto del ricorso.
Ha depositato conclusioni scritte il difensore dei ricorrenti, ribadendo le richieste e gli argomenti rassegnati in ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME è fondato.
La GLYPH natura GLYPH fittizia GLYPH dell’attribuzione alla GLYPH COGNOME della qualifica di amministratore della “RAGIONE_SOCIALE” è indiscussa.
Tanto non basta, però, per poter ravvisare un quadro indiziario riferibile al delitto di cui all’art. 512-bis, cod. pen., trattandosi di fattispecie caratterizzat altresì dal dolo specifico di elusione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione o di contrabbando ovvero di agevolazione dei delitti di ricettazione, riciclaggio o reimpiego di profitti di reato.
Ebbene, il decreto impugnato si sofferma ampiamente sulla fittizietà del ruolo della RAGIONE_SOCIALE e sull’illiceità dell’attività esercitata dal RAGIONE_SOCIALE attraverso lo schermo societario, che definisce “truffaldina”, ma trascura completamente il tema del dolo specifico: del quale, invece, il ricorso contesta I l’esistenza con rilievi puntuali e con precisi riferimenti al “parallelo” procedimento di cognizione, il cui compendio istruttorio è stato dichiaratamente posto dalla Corte d’appello a base del proprio decreto.
Si rende perciò necessario, sul punto, un supplemento di motivazione, anche al fine di verificare, in ragione della natura sicuramente delittuosa dell’attività sistematicamente svolta dal RAGIONE_SOCIALE attraverso la società (attività compiutamente descritta dal decreto e praticamente non contestata dal ricorso), se la confisca, sulla base degli stessi fatti ed elementi di prova posti a fondamento della decisione, o di altri che potranno essere acquisiti nel contraddittorio delle parti, possa eventualmente essere disposta a norma dell’art. 4, lett. c), anziché lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011, in relazione al precedente art. 1, lett. b), qualora si accerti che quegli abitualmente vive – o viveva, all’epoca degli accertati incrementi patrimoniali – con i proventi di attività delittuose.
Non può essere ammesso, invece, il ricorso della COGNOME, a norma degli artt. 10, comma 4, e 27, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, e 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., per carenza d’interesse.
Il decreto impugnato ha annullato la confisca dei beni nella sua disponibilità, disposta in primo grado, confermando la misura esclusivamente nei confronti di quelli direttamente riferibili a NOME e della società “RAGIONE_SOCIALE“, alla quale, però, ella si è dichiarata estranea, in quanto amministratrice puramente fittizia della stessa.
Pertanto, come rilevato dal Procuratore generale nella sua requisitoria, a lei non si può riconoscere alcun interesse all’impugnazione, poiché l’esito della stessa non avrebbe alcun effetto sulla sua posizione.
All’inammissibilità del suo ricorso consegue obbligatoriamente, per la RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen., la condanna al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (yds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato nei confronti di NOME COGNOME e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria in diversa composizione.
Dichiara inammissibile il ricorso di RAGIONE_SOCIALE, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2023.