Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12694 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 12694 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Simeri Crichi il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/03/2023 della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME;
sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
sentiti l’AVV_NOTAIO COGNOME, nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, e l’AVV_NOTAIO COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale riforma della pronuncia del Giudice per le indagini preliminari di RAGIONE_SOCIALE, emessa all’esito di rito abbreviato, ha rideterminato la pena nei confronti di NOME COGNOME in tre anni di reclusione ed C 5.666 di multa per i delitti di cui all’art. 512-bis cod. pen. (capi 2, 4 e 7) e all’art. 648-ter.1 cod. pen. (capo 9), previa esclusione del delitto di cui al capo 5) perché non contestato e nei confronti di NOME COGNOME in tre anni e quattro mesi di reclusione ed C 6000 di multa per i delitti di cui all’art. 512-bis cod. pen. (capi 2, 4, 5 e 7) e all’art. ter cod. pen. (capo 9); mentre ha confermato la condanna di NOME COGNOME ad anni atto e mesi dieci di reclusione, per i delitti di cui agli artt. 416-bis cod. pen t:apti GLYPH Luti, peri, cúpi 2, 4, 9o 7), 629 cod. pen: (C212e GLYPH ún -G-ht e 648-ter.1 cod. pen. (capo 8), 648-ter.1 cod. pen. (capo 9), oltre la confisca di società e somme di denaro.
Avverso la sentenza della Corte distrettuale NOME AVV_NOTAIO ha proposto due atti di ricorso tramite i propri difensori.
Ricorso dell’AVV_NOTAIO.
2.1. Violazione della legge penale e vizio di motivazione, con riferimento all’art. 512-bis cod. pen., in quanto la Corte di appello, in assenza di specifiche indagini, non ha trattato questioni decisive quali: a) la provenienza illecita dei beni oggetto di intestazione fittizia e di trasferimento, presupposto per temere l’applicazione di una misura di prevenzione; b) la sussistenza del dolo specifico a fronte dell’utilizzo di istituti disciplinati dal codice civile; c) l’assen sproporzione visti i documentati utili delle società oggetto di intestazione fittizia.
2.2. Violazione della legge penale, per il capo 2), con riferimento all’art. 512bis cod. pen. in quanto la Corte di appello ha ritenuto il trasferimento delle quote della RAGIONE_SOCIALE, da un intestatario fittizio a favore di NOME COGNOME, moglie del ricorrente in comunione dei beni, uno schermo formale nonostante il ritorno nella disponibilità familiare e, dunque, in assenza di intenti elusivi.
2.3. Violazione della legge penale e vizio di motivazione, per i capi 4) e 7), con riferimento all’art. 512-bis cod. pen. in quanto la Corte di appello non ha considerato la speciale natura giuridica dei Consorzi (l’essere enti privi di capitali propri, di quote societarie e strutture imprenditoriali) che di per sé esclude l’elemento materiale del reato ed eventuali fittizie intestazioni che non li coinvolgono riguardando solo le società consorziate. Infatti, il RAGIONE_SOCIALE
NOME ha doverosamente rimesso l’intero corrispettivo dell’appalto alla consorziata che aveva svolto i lavori.
Né può valere la circostanza, rilevante per escludere il dolo specifico, che l’intento del ricorrente fosse quello di eludere un’interdittiva antimafia, stante l differenza di questa dalle misure di prevenzione.
2.4. Vizio di motivazione, per i capi 2), 4) e 7), con riferimento all’art. 512bis cod. pen. in quanto la Corte di appello non ha valutato, ai fini dell’elemento psicologico del reato, che il ricorrente avesse ammesso le interposizioni fittizie e queste fossero avvenute con atti tracciabili (le cessioni di quote con atto pubblico ex art. 2470 cod. civ.), per eludere la disposta interdittiva antimafia che non gli consentiva di lavorare, ma non anche per sottrarre il patrimonio ad un’eventuale misura di prevenzione non aggirabile, peraltro, con intestazione a parenti.
2.5. Violazione della legge penale e vizio di motivazione, per il capo 9), in relazione all’art. 648-ter.1 cod. peri. in quanto, con riferimento al contratto di appalto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, la Corte di appello ha erroneamente ritenuto configurato il delitto nell’impiego di entrate necessarie per soddisfare i creditori, in operazioni lecite, con emissione di regolari fatture e tracciabilità dei versamenti, consistite nel pagamento di fornitori, subappaltatori e dipendenti.
Ricorso dell’AVV_NOTAIO.
3.1. Violazione della legge penale e vizio di motivazione, con riferimento all’art. 270 cod. proc. pen., in quanto la Corte di appello, in adesione agli argomenti della sentenza di primo grado, ha ritenuto erroneamente utilizzabili le intercettazioni del procedimento RGNR 1968/2007, in ragione della connessione qualificata con il presente procedimento, ex art. 12 cod. proc. pen., in base a mere congetture e nonostante: a) l’archiviazione del procedimento originario per fatti risalenti al 2006 (data delle prime intestazioni fittizie); b) l’estraneità dei del per i quali le intercettazioni erano state disposte, come da nota della Procura generale del 24 novembre 2023, acquisita agli atti; c) l’utilizzo dei soli esiti intercettivi del proc. RGNR 1968/2007.
3.2. Violazione della legge penale e vizio di motivazione, con riferimento all’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., in quanto la Corte di appello ha ritenuto utilizzabili le intercettazioni tramite captatore informatico (“trojan”) gestito da RAGIONE_SOCIALE sebbene i server CSS e HDM fossero collocati in luoghi privati anziché nella Procura della Repubblica, nel periodo compreso tra agosto e settembre 2019, senza che l’autorità giudiziaria ne fosse a conoscenza e in mancanza di qualsiasi provvedimento autorizzativo, tanto da determinare dubbi sulla liceità e genuinità delle captazioni.
3.3. In data 30 gennaio 2024 sono pervenuti motivi nuovi, a firma degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, per violazione di legge e vizio di motivazione in ordine ai requisiti dell’art. 512-bis cod. pen., quali la provenienza illecita dei beni oggetto dell’interposizione fittizia e la sproporzione rispetto redditi dichiarati, necessari per il timore dell’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto due atti di ricorso tramite i propri difensori.
4.1. Il ricorso dell’AVV_NOTAIO è identico a quello proposto nell’interesse di NOME COGNOME e, dunque, si possono richiamare i medesimi motivi di cui al § 2 che precede.
4.2. In data 6 febbraio 2024 sono pervenuti motivi nuovi incentrati sui medesimi argomenti di cui al § 3.3 con specifico riferimento al dolo specifico.
Il ricorso dell’AVV_NOTAIO.
5.1. Violazione della legge penale con riferimento all’art. 270 cod. proc. pen., in quanto la Corte di appello, senza alcun richiamo ai decreti autorizzativi, ha ritenuto utilizzabili le intercettazioni del procedimento RGNR 1968/2007, in ragione della connessione qualificata ai sensi dell’art. 12 lett. c) cod. proc. pen. e non, come ritenuto dal Giudice del primo grado, ai sensi dell’art. 12 lett. b) cod. proc. pen. sebbene non risultasse, a carico del ricorrente, non solo il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen., ma neanche una connessione qualificata nei termini indicati dalla norma e dalla giurisprudenza di legittimità. Peraltro, gli argomenti utilizzati dalla Corte di appello a pagina 8 contrastano con quelli della sentenza di primo grado a pagina 12, che pur ne aveva ritenuta l’irrilevanza, nella parte in cui sottolineano che, già nell’ambito di quel procedimento, si erano verificate le prime condotte di interposizione.
5.2. Violazione della legge penale, con riferimento all’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., in quanto la Corte di appello ha erroneamente rigettato l’eccezione difensiva in base al limitato tempo dell’illegittima allocazione dei server e ritenendo l’attività di mero transito in assenza di elementi.
5.3. Difetto di motivazione in relazione all’art. 414 cod. proc. pen. in quanto la Corte di appello ha ritenuto sussistente la connessione qualificata tra il procedimento RGNR 1968/2007 e quello in esame ma, nonostante il decreto di archiviazione, ha illogicamente concluso per l’assenza di preclusione all’esercizio dell’azione penale, sostenendo che i fatti di reato fossero diversi in base alla nota della Procura generale di RAGIONE_SOCIALE del 24 gennaio 2023.
5.4. Violazione della legge penale e difetto di motivazione in relazione alli art. 512-bis cod. pen., contestato ai capi 2), 4) e 7), in quanto il ricorrente ha sempre riconosciuto le condotte di interposizione fittizia chiarendo, però, che la finalità fosse solo quella di sottrarre le aziende alle possibili interdittive antimafia e non anche l’elusione della normativa delle misure di prevenzione patrimoniali.
5.5. Violazione della legge penale con riferimento all’art. 648-ter.1 cod. pen., innanzitutto, per l’assenza del reato presupposto (per i motivi di cui supra § 5.4) e poi per la mancata individuazione della sua autonoma rilevanza penale. Infatti, non solo risulta la liceità del contratto di appalto tra RAGIONE_SOCIALE, ma anche la risalenza dell’interposizione fittizia a 10 anni prima (data di costituzione della società RAGIONE_SOCIALE) e l’utilizzo del profitto p operazioni lecite e tracciabili.
5.6. Vizio di motivazione in relazione sia alla mancata declaratoria di prescrizione del reato contestato al capo 2), la cui consumazione avviene nel momento costitutivo dell’interposizione fittizia (in questi termini la sentenza della Corte di cassazione, Sez. 3, n. 23097); sia alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, nonostante l’incensuratezza, l’avanzata età (75 anni) e le condizioni di salute di NOME COGNOME, oltre che la risalenza delle condotte contestate.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto, a mezzo del suo difensore, un unico atto di ricorso.
6.1. Vizio di motivazione per omessa valutazione da parte della Corte di appello della formazione di un giudicato interno derivante sia dal decreto di archiviazione, emesso per insussistenza del fatto, nel procedimento a carico del ricorrente e di COGNOME per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.; s dall’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen., in relazione al fine agevolativo del sodalizio, da parte del giudice di primo grado nel presente processo. Ciò determina effetti decisivi nell’inibizione a NOME COGNOME dell’attribuzione della qualità di concorrente esterno e del ruolo di esattore di somme di denaro da altre imprese edili di RAGIONE_SOCIALE, per il quale, non solo mancano prove ma, al contrario, emerge che NOME COGNOME fosse vittima delle cosche.
6.2. Vizio di motivazione circa il mancato accertamento della credibilità dei singoli collaboratori di giustizia da parte della sentenza impugnata, espressa con mere clausole di stile, e non secondo i canoni stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, come risulta peraltro dal fatto che COGNOME avesse intrapreso il percorso di collaborazione dopo un periodo di carcerazione.
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6.3. Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa di cui al capo 1), peraltro con la messa a disposizione a favore di due diversi gruppi mafiosi tra loro in contrasto, fondato sulle intercettazioni e sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
In ordine alle prime, relative alle conversazioni tra i due fratelli COGNOME (pagg. 25 e ss.), la Corte di appello si è limitata a desumere un precedente incontro tra il ricorrente ed il capo cosca, elemento decisivo per il delitto di cui all’art. 416-bi cod. pen., senza verificare se vi fosse la prova di un accordo tra l’imprenditore ed il mafioso, tale da produrre effetti positivi per il sodalizio, e la messa a disposizione del COGNOME, a fronte delle reiterate e gravi aggressioni subite dalle sue aziende intensificatesi nel corso degli anni. Peraltro, la circostanza che il ricorrente avesse pagato il prezzo dell’estorsione non lo rende responsabile di questa, restandone vittima come dimostrato dall’avere denunciato ai carabinieri il danneggiamento della betoniera il giorno successivo all’evento.
In ordine ai collaboratori di giustizia la Corte di appello: a) non ha accertato i riscontri esterni individualizzanti alle dichiarazioni rese da COGNOME, operativo solo fino al 2016, nonostante questi fosse un imputato di reato connesso e nessuno le avesse confermate; b) ha ritenuto che gli altri collaboratori fossero convergenti nel considerare il ricorrente collettore di tangenti a favore della cosca in cambio di protezione in assenza di elementi di fatto e non valutando le prove a discarico, visto che i collaboratori avevano sostenuto che fosse vittima delle cosche, come indicato a pag. 24 della sentenza.
Inoltre, la Corte di merito non ha accertato l’episodicità della messa a disposizione di NOME COGNOME tale, al più, di configurare il delitto di estorsione in concorso con altri, con l’aggravante soggettiva.
6.4. Violazione di legge con riferimento all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. per il capo 6) in quanto la Corte di merito, in base alle sole intercettazioni tra terzi e con un ragionamento induttivo ha ritenuto avvenuta l’intimazione alla persona offesa in assenza di un seguito e senza accertarne l’evoluzione.
6.5. Vizio di motivazione in relazione al delitto di autoriciclaggio nonostante i trasferimenti bancari fossero tracciabili.
6.6. Vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio in quanto la sentenza impugnata ha ritenuto erroneamente corretta la pena applicata dal giudice di primo grado, quantificata su quella più grave, sebbene la contestazione di concorso esterno partisse dal 2012 e mancasse l’accertamento di condotte successive al 2015.
6.7. Vizio di motivazione in relazione al delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. per essere stato fondato il dolo specifico su una presunzione, quale l’elusione di
una potenziale misura di prevenzione a fronte dell’esistenza di cause concorrenti indicate dal giudice di primo grado.
6.8. In data 16 febbraio 2024 è pervenuta una memoria difensiva con la quale sono stati ribaditi i motivi del ricorso principale con specifico riferimento all’assenza di elementi per ritenere sussistente la condotta di concorrente esterno di NOME COGNOME non solo in quanto vittima delle cosche criminali, ma anche per il decreto di archiviazione emesso nei suoi confronti per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e non valutato dalla sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono tutti inammissibili per le ragioni di seguito indicate.
Ragioni di ordine sistematico impongono di anticipare alcune considerazioni sul piano del metodo dell’esame dei ricorsi i cui motivi sono in gran parte comuni e riguardano sentenze di merito emesse in c.d. doppia conforme.
Innanzitutto, saranno affrontati i motivi di natura processuale, seguirà l’esame generale dei motivi di censura sui delitti di intestazione fittizia e poi ciascuno di essi con riferimento ai singoli capi di imputazione; per concludere con l’esame dei motivi dei restanti delitti.
I motivi di ricorso relativi all’inutilizzabilità delle intercettazioni s manifestamente infondati e in parte generici e reiterativi di quelli già proposti con l’atto di appello.
2.1. Le sentenze di merito (pp. 11-13 della sentenza di primo grado e 8-9 della sentenza di secondo grado che ne fa propri gli argomenti) hanno dato atto che gli odierni ricorrenti sono stati già coinvolti in passato in attività di intercettazione anche con captatore informatico, in relazione a diversi procedimenti penali di cui sono stati acquisiti gli esiti nel presente processo.
Con particolare riferimento al procedimento RGNR 1968/2007, detto “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, menzionato nei ricorsi ed oggetto di censura, risulta che tutti e tre i ricorrenti in data 24 maggio 2007 erano stati iscritti nel registro degl indagati per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. in quanto il RAGIONE_SOCIALE di società a loro riferibile aveva uno stretto legame con contesti ‘ndranghetisti e alcune istituzioni del catanzarese. Nelle intercettazioni di quel procedimento non solo era emerso che il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME risultava in difficoltà per il rilascio delle certificazioni antimafia, indispensabili per la partecipazione alle gare di appalto, ma era in stretto rapporto con la cosca ‘ndranghetista facente capo a COGNOME, attinta da misura di prevenzione patrimoniale nel 2007, stesso anno in cui era avvenuta la “frantumazione societaria” delle aziende dei ricorrenti,
tramite intestazioni fittizie utili ad aggirare i controlli antimafia, con un modus operandi che da quell’epoca si era sviluppato in modo continuo e sempre uguale a sé stesso attraverso il controllo sostanziale dei COGNOME di aziende solo formalmente di terzi.
2.2. In forza di detti elementi di fatto i giudici di merito hanno correttamente ritenuto, innanzitutto, che il presente processo, pur promanando da una medesima originaria indagine (RGNR 1968/2007), riguardasse fatti e fattispecie diverse, come da nota della Procura generale del 24 novembre 2023 (depositata con il consenso delle parti all’udienza del 6 marzo 2023), tanto da escludere la preclusione all’esercizio dell’azione penale, ex art. 414 cod. proc. pen., in ragione dell’avvenuta archiviazione del procedimento. Inoltre, l’infondatezza della notitia criminis di quel procedimento, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non ne travolge le intercettazioni in quanto queste, disposte per l’accertamento di un reato – peraltro diverso -, sono utilizzabili purché ne ricorrano i presupposti, come risulta nella specie. Infatti, non solo in forza di quelle originarie intercettazioni Pubblico ministero aveva raccolto elementi di ulteriori fatti costituenti reato nei confronti dei COGNOME, oggetto del presente processo, diversi ed ulteriori da quelli per i quali stava procedendo, ma si è trattato di reati, quali il concorso esterno in associazione mafiosa (capo 1), per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza ex art. 270 cod. proc. pen.
2.3. Altrettanto inammissibile per genericità è la censura circa l’assenza di connessione tra i fatti per i quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta e quelli in esame, rientranti nei limiti di cui all’art. 266 cod. proc. pen., alla luce de giurisprudenza delle Sezioni unite, secondo cui la connessione ex art. 12 cod. proc. pen. sussiste: quando tra i procedimenti, la regiudicanda oggetto di ciascun reato viene, anche in parte, a coincidere con quella oggetto degli altri (Sez. U, n. 27343 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 255345) oppure vi è un legame oggettivo tra due o più reati (Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, COGNOME, Rv. 271223) o risulta il medesimo disegno criminoso, per cui al momento della commissione del primo reato della serie i successivi erano stati realmente già programmati almeno nelle loro linee essenziali (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
Nel caso di specie la connessione, che la Corte di appello ha ritenuto di qualificare ex art. 12, lett. c), cod. proc. pen., rendendo utilizzabili le intercettazioni disposte nel diverso precedente procedimento (RGNR 1968/2007) da cui quello odierno trae origine, si fonda sia sul collegamento dei COGNOME con le cosche di ndrangheta (COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME); sia sul giro di compravendita di quote societarie, relative ad imprese riconducibili all’omonimo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, volte a ripulire la compagine sociale dalla presenza di nominativi che impedivano il rilascio della certificazione antimafia, sostituendoli
con prestanome compiacenti secondo un medesimo disegno criminoso proseguito negli anni.
E’ appena il caso di precisare che il criterio assunto dalle Sezioni unite Cavallo (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, Cavallo, Rv. 277395) per escludere la diversità del procedimento ai fini dell’art. 270 cod. proc. pen. (la connessione ex art. 12 cod. proc. pen.), ha ad oggetto un legame “sostanziale” tra i diversi fatti-reato, indipendente dalla vicenda processuale relativa al procedimento (o meglio al reato per il quale l’autorizzazione all’intercettazione è stata concessa). Quel che rileva è che il provvedimento autorizzatorio dell’intercettazione non assuma la fisionomia di autorizzazione “in bianco”.
2.4. La censura sulla collocazione del server esterna agli Uffici della Procura è inammissibile per carenza di interesse in quanto nella sentenza di primo grado, a pag. 14, si dà atto che le intercettazioni telematiche hanno dato esito sostanzialmente negativo, eccetto pochissime conversazioni relative alla effettiva riconducibilità ai COGNOME delle società fittiziamente intestate ad altri, ovverosia una circostanza ammessa dagli stessi indagati, e confermata in tutti i ricorsi, tale da rendere l’ipotizzata inutilizzabilità priva di rilevanza ai fini del decidere.
Tutti i ricorsi contestano sostanzialmente l’assenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen., sotto il profilo oggettivo e soggettiv per mancato accertamento sia dell’eventuale provenienza illecita dei beni oggetto di intestazione fittizia o di trasferimento; sia della sproporzione rispetto agli uti provenienti dalle società oggetto di intestazione fittizia e, soprattutto, per l’ammissione dei COGNOME di avere provveduto in modo trasparente e tracciabile all’intestazione a terzi delle diverse società del RAGIONE_SOCIALE (capo 2 RAGIONE_SOCIALE; capo 4 RAGIONE_SOCIALE; capo 5 RAGIONE_SOCIALE; capo 7 RAGIONE_SOCIALE) esclusivamente per eludere la disposta interdittiva antimafia che impediva loro di partecipare agli RAGIONE_SOCIALE pubblici e di lavorare, tanto da far venire meno il dolo specifico.
Occorre premettere che le sentenze di merito, in base alle intercettazioni, oltre che alle dichiarazioni dei diversi collaboratori di giustizia, hanno accertato che il RAGIONE_SOCIALE, costituito da NOME COGNOME e dai due figli, NOME e NOME COGNOME, fosse in stretta cointeressenza con la ‘ndrangheta locale, così individuando i 3 diversi ambiti delittuosi: le intestazioni fittizie (capi 4, 5 e 7), il riciclaggio e l’autoriciclaggio (capi 8 e 9), il concorso esterno associazione di tipo mafioso di NOME COGNOME (capo 1 e l’estorsione di cui al capo 6).
4.1. La sentenza impugnata, in conformità a quella ancor più puntuale di primo grado, ha accertato che a decorrere dal 2007 si erano succeduti una serie di trasferimenti e acquisti di quote societarie, oltre che di dimissioni e nomine di legali rappresentanti di diverse aziende dei COGNOME, volte ad evitare l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali, ritenute irrogabili in ragione dell’assiduo legame degli imputati con la ‘ndrangheta locale – in particolare, con la cosca RAGIONE_SOCIALE che ne era stata attinta proprio nel 2007 -, come comprovato sia dal mancato rilascio del nulla osta antimafia e sia dall’emissione dell’interdittiva antimafia, nel 2016, nei confronti di 2 società del RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, di cui NOME COGNOME era legale rappresentante). I profitti delle società formalmente cedute a terzi rientravano poi nella disponibilità dei COGNOME attraverso condotte di riciclaggio ed autoriciclaggio (capi 8 e 9).
Prima di esaminare i singoli delitti contestati agli imputati, i giudici di merito hanno collocato la frequentazione e il legame dei COGNOME con le diverse famiglie di ‘ndrangheta a partire già dal 1992, elencando i diversi procedimenti penali (e le sentenze) da cui emergeva la loro contiguità alle cosche COGNOME e COGNOME, sino ad arrivare al procedimento c.d. “RAGIONE_SOCIALE“, sopra citato, in cui era risultato sia che la cosca RAGIONE_SOCIALE si era attivata affinché il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si aggiudicasse gli RAGIONE_SOCIALE pubblici sotto la sua protezione, seguendo con molta preoccupazione anche il rinnovo della certificazione antimafia (pagg. 24-26 della sentenza di primo grado); sia lo stabile legame con NOME COGNOME, boss di Cutro.
4.2. I motivi relativi al mancato accertamento della provenienza illecita dei beni oggetto di interposizione fittizia, utile per escludere il fine elusivo, son inammissibili per manifesta infondatezza.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, il reato di intestazione fittizia punisce la condotta dei soggetti potenzialmente assoggettabili a misure di prevenzione che evitino di far figurare la loro disponibilità di beni o altre utilità prescindere dalla provenienza di questi da delitto (Sez. 2, n. 29455 del 13/11/2018, dep. 2019, Rv. 276669).
4.3. I motivi relativi sia alla tracciabilità delle operazioni societarie, d trasferimenti di denaro e delle intestazioni, oltre che quelli riguardanti l’assenza di sproporzione, anch’essi utili per escludere il fine elusivo dell’art. 512-bis cod. pen., sono inammissibili per genericità.
4.3.1. L’utilizzo di strumenti civilistici, riconosciuti dall’ordinamento, pe consumare le condotte denunciate; il rientro dei beni tramite l’intestazione a parenti per i quali vale la presunzione di interposizione fittizia oppure la tracciabilità dei trasferimenti di denaro sono circostanze di fatto che non escludono la sussistenza del reato, di pericolo astratto e a forma libera, volto alla repressione
della capacità di penetrazione della criminalità organizzata nel mondo dell’economia. La circostanza che si utilizzino schemi negoziali previsti dall’ordinamento non fa venire meno la causa illecita sottostante, costituita proprio dalla finalità elusiva delle misure di prevenzione.
Il delitto, infatti, è integrato quando una persona sottoponibile a misura di prevenzione compie un qualsiasi negozio giuridico volto ad eluderla, a prescindere dalla sua concreta idoneità, attraverso una valutazione da compiere ex ante e alla luce delle circostanze che, al momento della condotta, erano conosciute o conoscibili (Sez.2, n. 7317 del 18/11/2022, dep. 2023, Rv.284386; Sez.2, n. 12871 del 30/03/2016, Rv. 266661). Ne consegue che anche le operazioni a favore di persone per le quali operano le presunzioni di interposizione fittizia, ex art. 26, comma 2, d. Igs. n. 159 del 2011 (coniuge, figli, ecc.), non impediscono la configurazione del delitto perché non vige alcun automatismo, imponendosi sempre l’accertamento dell’elemento soggettivo della fattispecie (da ultimo Sez. 1, n. 39846 del 23/05/2023, Rv. 285368).
4.3.2. Anche il requisito della sproporzione tra beni o capacità economiche dei ricorrenti è irrilevante ai fini della configurazione del delitto di interposizione fitti perché attiene ad altro istituto ovverosia alla confisca dei beni che non abbiano una giustificata provenienza e siano esagerati rispetto al reddito dell’imputato (Sez. 2, numero 13448 del 16/12/2015, dep. 2016, Rv. 266438).
4.4. I motivi relativi al dolo specifico sono inammissibili per genericità.
I ricorrenti hanno rivendicato, nei processi di merito e anche in questa sede, che l’intestazione a terzi delle loro società fosse volta ad aggirare i divieti derivanti dall’essere ritenuti imprenditori collusi con la ‘ndrangheta e tali da non consentire loro di partecipare alle gare di appalto, ma non anche il timore di essere raggiunti dalle misure di prevenzione patrimoniale.
Come risulta dalle sentenze di merito, l’inizio delle attività di interposizione fittizia nel 2007 da parte dei COGNOME avviene in corrispondenza con l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale a COGNOME; cui seguono il mancato rinnovo della certificazione antimafia e poi l’emissione dell’ interdittiva nei confronti di due società del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (di cui NOME COGNOME era legale rappresentante) nel 2016, cioè provvedimenti con i quali il Prefetto aveva formulato un giudizio di pericolosità delle imprese dei ricorrenti in ragione del tentativo di infiltrazione mafiosa nell’Amministrazione. A ciò si aggiunge che il timore di essere oggetto di misure di prevenzione patrimoniale è stato puntualmente argomentato dalle sentenze sia di primo grado (pagg. 54-55), che di secondo grado (pag. 14), proprio valorizzando l’intercettazione del 22 dicembre 2018, non contestata dai ricorsi, nella quale NOME COGNOME aveva esplicitamente dichiarato “per il discorso dell’antimafia si possono prendere pure
il bar…. Io adesso appena risolvo il problema gli passo subito la licenza con il nome di NOME e me la pulisco”.
La tesi difensiva, secondo la quale l’intenzione di eludere le sole misure interdittive adottate dal Prefetto non rientrerebbe nel perimetro del dolo specifico richiesto dalla norma contestata, è contraddetta, dunque, dalle stesse prove acquisite.
Peraltro, per ragioni di mera logica, detta finalità non esclude, ma comprova, la prospettiva di diventare anche destinatari delle misure di prevenzione patrimoniali. Infatti, è proprio l’attenzione riservata dalle autorità istituzionali collegamento con contesti mafiosi, di rilievo tale da avere determinato l’emissione delle misure interdittive, a costituire un indice di grave allarme per il destinatario circa il pericolo concreto, valutato ex ante, in ordine all’adozione di misure di prevenzione patrimoniali (Sez. 2, n. 46704 del 09/10/2019, Rv. 277598). D’altra parte, costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte che, per la configurabilità del dolo specifico richiesto dall’art. 512-bis cod. pen., è sufficiente che l’interessato possa fondatamente presumere di essere sottoponibile a misura di prevenzione patrimoniale, di cui è proprio l’adozione di misure interdittive a costituire indice premonitore, rispondendo entrambi gli istituti alla medesima ratio: evitare commistioni e contaminazioni tra amministrazioni pubbliche e imprese contigue al sistema mafioso.
5. Il ricorso di NOME COGNOME.
5.1. I motivi di ricorso nell’interesse di NOME COGNOME, relativi al capo 2), sono manifestamente infondati.
La Corte di appello, come già il Tribunale, ha correttamente ritenuto che il trasferimento di quote societarie della RAGIONE_SOCIALE, del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, da un intestatario fittizio a favore di NOME COGNOME, moglie del ricorrente, non escludesse per ciò solo il delitto in piena coerenza con il canone ermeneutico sino ad oggi fatto proprio da questa Corte per il quale si rinvia al § 4.3.1.
D’altra parte, oltre al fatto che è lo stesso ricorrente a rivendicare la titolarit della società e la natura simulata dell’atto dispositivo a favore della moglie, deve essere valorizzato l’antecedente logico e storico costituito dall’intestazione fittizia ad un terzo (NOME COGNOME) già nel 2007, epoca in cui era stato già delineato il disegno di dismissioni del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a favore di teste di legno.
5.2. Il terzo motivo di ricorso nell’interesse di NOME COGNOME, relativo ai capi 4) e 7), è manifestamente infondato.
Il ricorso esclude la sussistenza del reato lì dove viene coinvolto un RAGIONE_SOCIALE per la sua peculiare natura giuridica, quale entità autonoma rispetto alle società
che ne fanno parte, per la finalità mutualistica che persegue e per l’assenza di capitali e strutture proprie.
L’argomento difensivo non si confronta né con quanto affermato dai giudici di merito sin dalla sentenza di primo grado (pag. 61 e ss.), né con la ratio ed il dato testuale della norma, oltre che con la costante giurisprudenza di questa Corte, in quanto la condotta materiale è data dalla creazione di una situazione di apparenza della titolarità che, stante la forma libera del delitto, può avvenire attraverso qualsiasi “attribuzione fittizia”, al di là di individuati meccanismi contrattuali (Sez 2, n. 8452 del 21/01/2019, Rv. 275611, in tema di consorzi).
5.3. Il quinto motivo di ricorso nell’interesse di NOME COGNOME, relativo al capo 9), è aspecifico.
Premesso che la censura relativa al profitto dell’autoriciclaggio non risulta posta con l’atto di appello, la Corte di merito con argomenti logici e coerenti ha configurato la commissione del delitto di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. proprio per la complessità dell’operazione che, puntualmente descritta, in fatto, dal Tribunale alle pagg. 67-72, si era articolata con diversi passaggi volti ad ostacolare, in modo ben strutturato, l’identificazione della provenienza del denaro, costitutiva del delitto di autoriciclaggio (Sez. 1, n. 39489 del 22/06/2023, Rv. 285123) e non certo a saldare i creditori.
La circostanza che successivamente, solo grazie a specifiche e mirate attività di indagine, siano state identificate le operazioni di dissimulazione frutto della consumazione del delitto presupposto è del tutto irrilevante ai fini della configurazione del reato in quanto l’emissione di fatture e la tracciabilità dei pagamenti non escludono l’idoneità ex ante della condotta delittuosa dovendosi accertare che la condotta posta in essere dall’agente fosse concretamente idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Rv. 279407).
5.4. Il quinto motivo di ricorso, nell’interesse di NOME COGNOME, relativo al trattamento sanzionatorio è generico.
La Corte di merito ha congruamente disatteso la richiesta difensiva negando le circostanze attenuanti generiche in base alla gravità e pervicacia delle condotte poste in essere dall’ imputato che ha mostrato una rilevante pericolosità criminale senza addurre elementi positivi apprezzabili.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
6.1. Per i motivi di ricorso comuni o identici a quelli proposti nell’interesse di NOME COGNOME si rinvia alle osservazioni che precedono, onde evitate inutili ripetizioni.
6.2. Il quinto motivo di ricorso (atto AVV_NOTAIO) relativo alla condotta di autoriciclaggio è inammissibile per aspecificità in quanto, rinviandosi alle osservazioni esposte al § 5.3. anche con riferimento alla c. d. clausola modale contenuta all’art. 648-ter.1 cod. pen., non disarticolano il coerente ragionamento della Corte di merito circa la sussistenza del delitto né la natura lecita del contratto di appalto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, visto che la reimmissione del denaro proveniente dal reato-presupposto richiede l’uso di strumenti giuridici formalmente regolari attraverso i quali si contamina l’ordine economico protetto dalla norma; né la collocazione della costituzione della società RAGIONE_SOCIALE al 2008, visto che la data del reato presupposto, di cui all’art. 512-bis cod. pen., è collocata dal capo 3) – dichiarato prescritto in primo grado – al 9 gennaio 2015, data di nomina di NOME COGNOME quale procuratore generale ed institore dell’azienda, in perfetta continuità rispetto alle condotte di autoriciclaggio contestate.
6.3. Il motivo di ricorso relativo alla prescrizione del reato è manifestamente infondato.
Il reato di trasferimento fraudolento di valori, in quanto delitto istantaneo con effetti permanenti, si perfeziona nel momento in cui è consapevolmente realizzata la difformità tra titolarità formale e apparente e titolarità di fatto d beni.
Ai fini dell’individuazione del tempus commissi delicti non assumono rilievo le operazioni commerciali, successive all’originaria interposizione fittizia, che attengono alla normale dinamica societaria, senza l’ingresso di nuovi interponenti o interposti, ovvero senza ulteriori attività di schermatura dell’interponente (Sez. 5, n. 22106 del 10/03/2022, Rv. 283256).
Invece, come correttamente avvenuto nella specie, la consumazione si sposta in avanti in caso di creazione, da un’originaria società, di diverse entità fittizie o cambi dei vertici societari, purché le operazioni abbiano avuto, ciascuna, la finalità di introdurre ripetuti elementi di novità nella compagine RAGIONE_SOCIALE tanto da assumere una propria autonomia perché idonee a creare un complesso schermo capace di occultare l’effettiva realtà dell’impresa criminale (Sez. 2, n. 38053 del 05/10/2021, Rv. 282129).
6.4. Il motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio è generico in quanto la Corte di merito ha congruamente disatteso la richiesta difensiva alla luce della gravità dei fatti e della protratta programmazione criminosa di questi.
7. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
7.1. Il primo motivo di ricorso, sulla rilevanza del giudicato interno per escludere la qualità di concorrente esterno di NOME COGNOME, è inammissibile.
Il decreto di archiviazione è stato solo genericamente richiamato nell’atto di appello (pagg. 6 e 7), senza che ne siano stati indicati nè il contenuto né gli argomenti posti a suo fondamento, necessari, invece, per renderlo decisivo ai fini richiesti, tanto da non poter formare oggetto di ricorso per cassazione (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 268822); mentre la valenza attribuita all’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.l. cod. pen. da parte del giudice di primo grado in ordine alle intestazioni fittizie non è stata neanche menzionata nell’atto di appello.
Né le questioni potevano essere introdotte (o specificate) con la sola memoria depositata il 6 marzo 2023 (in sede di discussione).
L’obbligo per il giudice di appello di procedere alla valutazione di una memoria difensiva sussiste infatti solo se ed in quanto il contenuto della stessa sia in relazione con le questioni devolute con una ammissibile impugnazione sul punto.
7.2. Il secondo motivo di ricorso, relativo al mancato accertamento della credibilità ed attendibilità dei singoli collaboratori di giustizia, è inammissibile quanto non ha costituito motivo di appello.
7.3. Il terzo motivo di ricorso circa la configurazione del concorso esterno in associazione mafiosa di cui al capo 1), è aspecifico.
La sentenza impugnata ha coerentemente fondato l’accertamento della responsabilità di NOME COGNOME per il delitto contestatogli sulle intercettazioni e sulle dichiarazioni convergenti dei diversi collaboratori di giustizia interni ai grupp criminali di riferimento.
Il ricorso opera una non consentita rivalutazione dei plurimi contenuti intercettivi, relativi alla richiesta di “protezione” dei fratelli COGNOME a NOME COGNOME a seguito dell’incendio di un mezzo dell’azienda di famiglia, e si muove su un piano di parcellizzazione delle prove che, invece, sono state correttamente collocate in un contesto più ampio di reciproche cointeressenze tra l’imprenditore colluso e la cosca di COGNOME per ottenere di lavorare nel Villaggio di Simeri Crichi.
La Corte di appello non fonda la posizione di concorrente esterno di NOME COGNOME sul singolo incontro, ritenuto non accertato, con il menzionato capo cosca, ma sul suo ruolo di “imprenditore colluso” postosi a disposizione, negli anni, di più gruppi di ndrangheta che si erano spartite il territorio, sia per evitare danni alle aziende del RAGIONE_SOCIALE, sia per essere preferito ad altri nel mercato calabrese, come comprovato dall’intero sistema di intestazioni fittizie articolatosi nell’ambito del proficuo contesto degli RAGIONE_SOCIALE pubblici.
Altrettanto aspecifiche risultano le censure sull’apporto dei collaboratori di giustizia in quanto le plurime dichiarazioni di NOME COGNOME, secondo cui NOME COGNOME per gli COGNOME era un “imprenditore intoccabile” e collettore delle estorsioni
nel catanzarese, erano state confermate sia dalle intercettazioni (cfr. pag. 49 della sentenza di primo grado) che dagli altri collaboratori (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) ritenuti tutti soggettivamente attendibili e convergenti, senza che rilevi il momento in cui COGNOME ha intrapreso il percorso di collaborazione.
In piena adesione agli ormai consolidatisi parametri ermeneutici di questa Corte (Sez. U, n. 33478 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231671), le sentenze di merito hanno ritenuto NOME COGNOME concorrente esterno delle due cosche di ndrangheta in quanto, senza farvi parte, ne ha condiviso negli anni obiettivi ed azioni operative, apportando un contributo concreto e volontario alla conservazione o al rafforzamento dei sodalizii, consapevole dei fini e dei metodi di questi, in un rapporto sinallagmatico che deve consentire alle parti di conseguire reciproci vantaggi, quali, nella specie, l’imposizione sul mercato e la realizzazione di lavori pubblici (da ultimo Sez. 1, n. 47054 del 16/11/2021, COGNOME, Rv. 282455; Sez. 6, n. 1496 del 20/12/2023, dep. 2024, Prospero).
7.4. Il quarto motivo di ricorso, relativo al capo 6), è aspecifico.
Altrettanto incensurabile è la motivazione relativa all’estorsione ai danni di NOME COGNOME, dipendente della RAGIONE_SOCIALE, fondata su dati inequivoci tratti dalle captazioni lette in modo coerente e non illogico dalla Corte di merito a pag. 21 che aveva dato anche come la minaccia avesse raggiunto lo scopo delle dimissioni del lavoratore (intercettazione tra COGNOME e il ragioniere COGNOME).
7.5. Il sesto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata ha correttamente quantificato il trattamento sanzionatorio sulla pena vigente, e non su quella meno grave antecedente al 2015, in ragione della contestazione del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. (capo 1) “dal 2012 con condotta permanente” in quanto il legame di NOME COGNOME con i contesti di ndrangheta si erano protratti, senza soluzione di continuità, con le intestazioni fittizie, in ragione della sua posizione di “imprenditore colluso”, a prescindere dall’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., come risulta dall’intercettazione riportata a pag. 14 della sentenza del 22 dicembre 2018, dall’inequivoco contenuto (NOME COGNOME richiama la “pulizia” dell’intestazione della licenza del bar per aggirare “l’antimafia”).
Alla luce degli argomenti esposti i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
La ,Presidente
La Consigliera estensora
Così deciso il 22 febbraio 2024