Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20748 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20748 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a MONTECORVINO ROVELLA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROCCADASPIDE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a COGNOME il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a EBOLI il DATA_NASCITA Avverso la sentenza del 30/06/2023 della CORTE di APPELLO di COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio per COGNOME e COGNOME ed il rigetto degli altri ricorsi.
AVV_NOTAIO per NOME COGNOME e COGNOME NOME, l’AVV_NOTAIO in difesa di COGNOME NOME e l’AVV_NOTAIO per NOME COGNOME insistevano per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di COGNOME, decidendo con le forme del rito abbreviato:
confermava la condanna di NOME COGNOME per i reati di riciclaggio e di intestazione fittizia (le si contestava di avere assunto fittiziamente la legale rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE“, di fatto nella disponibilità di NOME COGNOME, ed, in tale qualità, di avere ricevuto un bonifico di euro 10.000 provento di condotte appropriative);
confermava la condanna di NOME COGNOME per i reati di intestazione fittizia, riciclaggio ed emissione di false fatture a fini di evasione fiscale (si contestava al stesso di avere assunto fittiziamente la carica di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE“, di fatto nella disponibilità di NOME COGNOME, ed, in tale qualità, d avere ricevuto ed incassato un assegno che si riferiva al pagamento delle prestazioni della “RAGIONE_SOCIALE” a favore di “RAGIONE_SOCIALE“, emettendo, per giustificare l’incasso, una falsa fattura a favore di RAGIONE_SOCIALE);
confermava la condanna di NOME COGNOME per i reati di intestazione fittizia delle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, di fatto nella disponibilità di NOME COGNOME;
-confermava la condanna di NOME COGNOME per la condotta di intestazione fittizia della RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, anch’essa facente capo a NOME COGNOME.
Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione i difensori di NOME COGNOME, che deducevano:
2.1. violazione di legge (art. 512-bis cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine all conferma di responsabilità per il reato di interposizione fittizia della RAGIONE_SOCIALE“: non sarebbe stato dimostrato il trasferimento delle “risorse” ritenute oggetto di interposizione fittizia; si allegava, inoltre, che i beni della RAGIONE_SOCIALE, all’atto scioglimento, avrebbero dovuto essere devoluti ad altra RAGIONE_SOCIALE, come previsto dall’art. 9 dello statuto, sicché non sarebbero stati recuperabili; sarebbe, inoltre, errata la data d consumazione del reato, che avrebbe dovuto essere identificata nel 15 dicembre 2004, quando era stata costituita l’associazione, e non nel 9 maggio 2015, dunque quattordici anni prima della dichiarazione di pericolosità di COGNOME, avvenuta solo nel 2018; infine, non sarebbe stata dimostrata la reale finalità di COGNOME, ovvero quella di non essere perseguito per il reato di cui all’art. 389 cod. pen.; infine, non sarebbe stato dimostrat il dolo specifico;
2.2.violazione di legge (art. 648-bis cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine al reato di riciclaggio: la condotta di “ricezione del denaro” attraverso un bonific integrerebbe, al più, il concorso nella appropriazione della somma, ma non il reato di
riciclaggio; peraltro se la appropriazione indebita integrava il delitto presupposto, concorso nella stessa escludeva la possibilità di ritenere consumato il riciclaggio; si deduceva, inoltre, che la semplice ricezione di un bonifico era condotta inidonea a dissimulare la ipotetica provenienza illecita del denaro, essendo un’attività tracciabile.
Si deduceva, infine, che non sarebbe stato provato il delitto presupposto del riciclaggio, dato che non sarebbe stata effettuata nessuna indagine sulla provenienza delittuosa delle somme bonificate.
3.Ricorreva per cassazione il difensore di NOME COGNOME, che deduceva:
3.1. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilità per il reato previsto dall’art. 512-bis cod. pen.: si allegava che la RAGIONE_SOCIALE” era un’organizzazione non lucrativa, che aveva il divieto di distribuire ricavi con un patrimonio vincolato. Tanto premesso si deduceva (a) che non era stata provato il trasferimento di denaro, beni, o “altre utilità” da COGNOME a Potolicchi dato che il conferimento della “legale rappresentanza” di una RAGIONE_SOCIALE era inidonea ad integrare il reato; (b) che la presunta attività appropriazione dei proventi della RAGIONE_SOCIALE non era idonea ad agevolare la commissione dei reati di ricettazione, riciclaggio ed autoriciclaggio, i quali presuppongono la dimostrazione dell’illiceità del bene che si intende immettere nel mercato, mentre, nel caso in esame, i fondi pubblici erogati costituivano il lecito rimborso per l’attività svolta dal personale impiegato; (c) che no sarebbe stato provato che la condotta contestata fosse finalizzata ad eludere le misure di prevenzione, tenuto conto che l’individuazione del periodo di manifestazione della pericolosità di COGNOME dipendeva dall’accertamento di reati ancora sub iudice; (d) che dalle dichiarazioni raccolte non risultava alcun riferimento alla “RAGIONE_SOCIALE“, (e) che il rapporto di parentela tra COGNOME e COGNOME non poteva essere indicativo dell’intestazione fittizia, (f) che la RAGIONE_SOCIALE di cui COGNOME era legale rappresentante n aveva avuto rapporti con le società RAGIONE_SOCIALE Adriatica. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In sintesi: si deduceva che mancherebbe la prova degli elementi costitutivi del reato, in quanto non sarebbe stato provato il trasferimento di “denaro, beni o utilità” da COGNOME a COGNOME, anche tenuto conto del fatto che l’attribuzione della “legale rappresentanza” di una RAGIONE_SOCIALE non sarebbe condotta idonea ad integrare il reato contestato.
3.2. Violazione di legge (art. 648-bis cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine all conferma della responsabilità per riciclaggio: si deduceva che sia il pagamento dell’assegno, che l’emissione della fattura, risalivano al 2016, epoca in cui non avrebbero potuto essere individuate le persone che, successivamente, avrebbero reso le prestazioni; e che, analogamente, non avrebbero potuto essere specificate le attività oggetto di pagamento. Si contestava anche la capacità dimostrativa delle dichiarazioni di COGNOME, dato che dalle stesse non si ricaverebbe che le prestazioni provenissero dalla “RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE“. Che l’assegno fosse destinato a questa RAGIONE_SOCIALE non troverebbe alcun riscontro, tenuto conto che il titolo risultava intestato genericamente a “RAGIONE_SOCIALE“, senza ulteriori specificazioni. Pertanto, il coinvolgimento nella vicenda della RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” non trovava conferme neanche in prove che dimostrassero il coinvolgimento della RAGIONE_SOCIALE nello svolgimento del servizio (se ciò fosse avvenuto, l’RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto remunerare “RAGIONE_SOCIALE“, perché la sostituzione sarebbe avvenuta senza autorizzazione).
Si deduceva, inoltre, che mancherebbe la prova del reato presupposto, dato che l’appropriazione alla base del riciclaggio avrebbe richiesto l’individuazione del servizio reso e del personale impiegato, che non avrebbe ricevuto il rimborso, in ipotesi dirottato verso la RAGIONE_SOCIALE di cui COGNOME era legale rappresentante. Il fatto che dal conto corrente della RAGIONE_SOCIALE nei giorni successivi al versamento dell’assegno fossero state prelevate somme (che in linea di massima coincidevano con l’importo dell’assegno) indebolirebbe la tesi accusatoria, in quanto tali somme sarebbero state destinate proprio a remunerare le prestazioni del personale medico infermieristico ed ausiliario
In sintesi: si deduceva che mancherebbero gli elementi costitutivi del riciclaggio, in quanto non sarebbe stata provata la sussistenza del reato presupposto e, dunque, la provenienza delittuosa delle somme oggetto del reato;
3.3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla conferma della responsabilità per il reato previsto dall’art. 8 del d.lgs n. 74 del 2000: non sarebbe stat provata la falsa fatturazione, dato che non sarebbe stato dimostrato che la “RAGIONE_SOCIALE” non aveva effettuato la prestazione descritta in favore di “RAGIONE_SOCIALE“; peraltro, gli emolumenti corrisposti per attività di volontariato inizialmente non erano soggetti prelievo fiscale e, quando tale prelievo è stato previsto, lo stesso veniva effettuat contestualmente all’erogazione delle somme, sicché l’importo dell’assegno (13.535, 00 euro) indicherebbe una somma “al netto” del prelievo fiscale, destinata al rimborso dei volontari che avevano effettuato il servizio. Tali emergenze osterebbero a ritenere provata la sussistenza del dolo specifico richiesto, ovvero quello di perseguire la finalità di evasion
fiscale.
4.Ricorreva per cassazione il difensore di NOME COGNOME che deduceva:
4.1. violazione di legge (art. 512-bis cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine all intestazione fittizia della società “RAGIONE_SOCIALE“; si deduceva che il conferimento dell “legale rappresentanza” della società non sarebbe idonea ad integrare l’attribuzione della titolarità o della disponibilità di “beni, denaro od altra utilità”, sicché la condotta conte non sarebbe riconducibile alla fattispecie prevista dall’art. 512-bis cod. pen.. A ciò aggiungeva che la carica ad NOME COGNOME non sarebbe stata conferita da COGNOME,
bensì dalla moglie di questi, AVV_NOTAIO NOME: si tratterebbe, pertanto, di un secondo trasferimento, che costituirebbe un post factum non punibile;
4.2. violazione di legge (art. 512-bis cod. pen.) e vizio di motivazione componibile con riferimento alla intestazione fittizia della società unipersonale “RAGIONE_SOCIALE“: si deduceva che non si sarebbe trattato di un “trasferimento”, ma della costituzione di una “società nuova” la quale, peraltro, non avrebbe svolto alcuna attività e non avrebbe avuto capitale sociale; si deduceva che la mera costituzione di una società, senza trasferimento o attribuzione di beni, denaro, o altra utilità, non sarebbe condotta idonea ad integrare il reato contestato. Si allegava, inoltre, che il Tribunale di COGNOME, sezion misure di prevenzione, aveva respinto la richiesta di sequestro della società, rilevando che la stessa non aveva alcun valore.
Ricorreva per cassazione anche il difensore di NOME COGNOME che deduceva:
5.1. violazione di legge (art. 512-bis cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla fittizia intestazione della RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“: il ricorrente non sarebbe stato consapevole dell’attribuzione fittizia, come emerso dai chiarimenti resi nel corso dell’interrogatorio de 30 marzo 2021; si allegava che lo stesso avrebbe assunto la legale rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE quando questa era stata già sequestrata, sicché i suoi poteri gestionali sarebbero stati nulli. Sarebbe, pertanto, illegittima la riconduzione della condotta contestata nella fattispecie astratta prevista dall’art. 512-bis cod. pen.;
5.2. violazione di legge (art. 69 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee: le attenuanti generiche non erano state ritenute prevalenti sulle aggravanti con motivazione carente ed inadeguata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Si esamineranno, anzitutto, le doglianze proposte nei confronti della conferma delle condanne per i reati di riciclaggio contestati a NOME COGNOME e NOME COGNOME.
A NOME COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, si contestava il reato di riciclaggio (capo 29), identificando la condotta illecita quella di ricezione “senza giustificazione” di un bonifico relativo a somme provento dell’appropriazione indebita ai danni della RAGIONE_SOCIALE.
Anche a NOME COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, si contestava il riciclaggio (capo 30): la condotta illecita veniva, in questo caso identificata nell’incasso” di un assegno relativo a somme provento della appropriazione indebita ai danni della RAGIONE_SOCIALE e nella successiva attività di “prelievo, e dispersione”, delle somme incamerate.
1.1.11 collegio ribadisce che il delitto di riciclaggio si connota per l’idoneità della condot ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene e per la sussistenza del dolo generico di trasformazione della cosa, per impedirne l’identificazione (Sez. 2, n. 30265 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 270302 – 01, Sez. 2, n. 50950 del 13/11/2013, COGNOME, Rv. 257982-01; Sez. 2, n. 48316 del 06/11/2015, COGNOME, Rv. 265379-01; Sez. 6, n. 28715 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 257205-01).
Invero mentre la ricettazione si perfeziona solo con la (consapevole) ricezione del bene di provenienza illecita, il riciclaggio ha una condotta complessa che presuppone che l’autore del reato abbia la disponibilità del bene di provenienza illecita – il che ne impl la ricezione -, ma che si perfeziona solo con la “sostituzione” o il “trasferimento” di ta bene, o con il compimento, in relazione allo stesso, di “operazioni che ne ostacolino la provenienza delittuosa”.
Anche per consumare il riciclaggio, come per la ricettazione è, pertanto, necessario che l’autore riceva i beni di provenienza illecita; tuttavia tale azione “passiva” non sufficiente ad integrare il reato, dato che questo si perfeziona solo con una – indispensabile e successiva – azione “attiva”, individuabile nella sostituzione del bene, nel suo trasferimento o nel compimento di azioni dissimulatorie.
Seguendo tali indicazioni ermeneutiche, la Cassazione ha affermato, con riferimento al riciclaggio di denaro, che integra il reato qualsiasi “prelievo o trasferimento” di fon successivo a precedenti versamenti, ed anche il mero “trasferimento” di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato, ed acceso presso un differente istituto di credito (Sez. 2, n. 43881 del 09/10/2014, COGNOME; Rv. 260694 – 01). Si è affermato anche che, per integrare il riciclaggio «non è necessario che sia “efficacemente impedita” la tracciabilità del percorso dei beni, essendo sufficiente che essa sia anche solo “ostacolata”». Sicché si è affermata la sussistenza del reato di riciclaggio anche nel caso di mero trasferimento del denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente ad un altro di un diverso istituto bancario (Sez. 2, 6 novembre 2009, n. 47375, COGNOME). E’ stato, altresì, affermato, seguendo lo stesso tracciato ermeneutico, che integra il delitto di riciclaggio, la condotta di chi, dopo av “ricevuto” un assegno di provenienza delittuosa, apra un conto corrente attribuendosi falsamente il nome del suo beneficiario, lo versi sul conto e successivamente prelevi le somme ivi depositate, “sostituendo”, in tal modo, il valore degli assegni con denaro contante e realizzando la condotta, tipica del riciclaggio, ovvero la “sostituzione” dell somme costituenti il controvalore del titolo, idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa (Sez. 2, n. 4853 del 16/12/2022, dep. 2023, Natale, Rv. 284437 01).
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In sintesi: deve ritenersi che il riciclaggio è un reato con condotta complessa che presuppone che l’autore – che non deve avere concorso nel reato presupposto -, abbia la disponibilità del bene di provenienza illecita e, dunque, che lo abbia ricevuto; per integrare il reato è indispensabile, tuttavia, che a tale condotta “passiva”, che da sola integra il delit di ricettazione, si aggiunga una azione “positiva” di sostituzione, trasferimento o dissimulazione.
Quando il provento del reato è il denaro, bene per sua natura fungibile e privo di collegamenti immediatamente percepibili con il delitto che lo ha generato, il “trasferimento” da un conto all’altro è condotta con potenzialità dissimulatorie, in quanto è idonea a rendere difficoltosa la rilevazione del collegamento del denaro con il reato presupposto.
1.2. Si afferma, pertanto, che per integrare il reato di riciclaggio occorre (a) l consapevole ricezione del bene di provenienza illecita, (b) la sua successiva manipolazione, funzionale a dissimularne la provenienza delittuosa.
Consuma, quindi, il delitto di riciclaggio chi, non essendo concorrente nel reato presupposto, agisce sul bene provento del reato, compiendo qualunque azione che abbia idoneità dissimulatoria, non essendo necessario che la provenienza delittuosa del bene sia efficacemente impedita, essendo, invece, sufficiente che sia ostacolata.
Con riferimento al “denaro” il riciclaggio si perfeziona quando lo stesso, dopo essere entrato nella disponibilità di chi non ha concorso nel reato presupposto, viene trasferito da un conto corrente all’altro o, semplicemente, prelevato.
Di contro, quando il provento del reato è costituito da un assegno, il suo semplice incasso definisce solo la “ricezione” del bene illecito e, dunque, integra una condotta di ricettazione (Sez. 6, n. 24941 del 22/03/2018, COGNOME, Rv. 274725, Sez. 2, n. 12894 del 05/03/2015, COGNOME, Rv. 262931). Tuttavia, se chi versa l’assegno, successivamente preleva le somme incassate, questi agisce una condotta “positiva”, idonea a dissimulare la provenienza illecita del denaro, integrando il delitto di riciclaggio (Sez. 2, n. 4853 d 16/12/2022, dep. 2023, Natale, Rv. 284437 – 01).
1.3. Rispettando tali coordinate ermeneutiche, deve ritenersi che il riciclaggio risulta legittimamente contestato a COGNOME, dato che (a) non è emerso che lo stesso abbia partecipato al reato presupposto, ovvero all’illecita appropriazione delle risorse della RAGIONE_SOCIALE, (b) ha ricevuto le somme, incassando un assegno, ma – ed il dato è dirimente – le ha successivamente prelevate e disperse, agendo una condotta idonea ad ostacolare il riconoscimento della loro provenienza illecita.
Nessuna censura può rivolgersi, inoltre, nei confronti della identificazione del reato presupposto del riciclaggio contestato – ovvero l’appropriazione indebita – dato che il reato presupposto, anche alla luce delle indicazioni ermeneutiche più rigorose, risulta individuato nella sua tipologia, pur non essendone necessaria la ricostruzione in tutti gli estremi storici e fattuali (Sez. 2, n. 46773 del 23/11/2021, Peri, Rv. 282433 – 02; Sez. 2, n. 29689 del
28/05/2019, COGNOME, Rv. 277020). A ciò si aggiunge che le censure rivolte nei confronti della motivazione della sentenza impugnatasi si risolvono nella richiesta di assegnare una diversa capacità dimostrativa alle prove ritenute indicative della provenienza illecita del denaro, attività esclusa dalla competenza del giudice di legittimità.
1.4. Il ricorso proposto nei confronti della conferma della condanna per riciclaggio di NOME COGNOME è, invece, fondato.
La contestazione elevata nei confronti della ricorrente si limita ad attribuire a questa la condotta “passiva” di ricezione, senza alcuna giustificazione, di un bonifico relativo alle somme di cui COGNOME si era appropriato illecitamente.
La Corte di appello, sulla base di tale contestazione, ha ritenuto integrato il reato senza identificare alcuna azione positiva, funzionale alla dissimulazione della provenienza illecita delle somme bonificate, e senza dimostrare la estraneità della ricorrente alla consumazione del reato presupposto.
Le due sentenze conformi di merito hanno infatti accertato che la rete di RAGIONE_SOCIALE affidate · ai COGNOME di COGNOME erano dirette a garantire l’appropriazione indebita del denaro pubblico destinato al pagamento di prestazioni per il trasporto di infermi. Se il progetto in questione era – come è stato accertato – condiviso dai prestanome e, dunque, anche da NOME COGNOME, era necessario chiarire se questa fosse, o meno, concorrente del reato appropriativo, presupposto del contestato riciclaggio.
Sul punto la motivazione della sentenza impugnata si limita a rilevare che il bonifico ricevuto (dell’ammontare di diecimila euro) fosse “privo di giustificazione”, elemento che veniva ritenuto, da solo, sufficiente per ritenere provato il riciclaggio (pag. 40 del sentenza impugnata), senza effettuare alcun cenno né alla esclusione della partecipazione della ricorrente al reato di appropriazione indebita, né alla idoneità dissimulatoria della condotta contestata.
Sul punto la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.
2.Non superano invece la soglia di ammissibilità le censure rivolte nei confronti della conferma della responsabilità di NOME COGNOME per il reato di interposizione fittizia.
2.1. Il collegio riafferma che è configurabile il reato di trasferimento fraudolento d valori in capo all’autore del delitto presupposto, il quale attribuisca fittiziamente ad altr titolarità o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità provento di tale delitto rimanga effettivamente dominus, al fine di agevolarne la successiva circolazione nel · tessuto finanziario, economico e produttivo (Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, Iavarazzzo, Rv. 259590 – 01).
La sentenza impugnata, contrariamente a quanto dedotto, ha offerto una esaustiva risposta alle doglianze proposte con l’appello, che si limitavano a contestare la provenienza
delle risorse dalla RAGIONE_SOCIALE, l’elemento soggettivo della intestazione fittizia, res incerto dal fatto che, al tempo della costituzione della RAGIONE_SOCIALE, non vi sarebbero state. evidenze della pericolosità, oltre al fatto che alla base dell’intestazione fittizia vi sare stata la volontà di COGNOME di aggirare il divieto di svolgere attività imprenditoriali.
Rispetto a tale devolutum la Corte di appello ha adempiuto il suo onere motivazionale, rilevando sia che le prove raccolte fossero indicative della riconducibilità a RAGIONE_SOCIALE dei beni della RAGIONE_SOCIALE (lo stesso aveva ammesso di essere proprietario delle. ambulanze), sia che il dolo fosse provato dal fatto che l’intestazione risaliva al 2017, epoca prossima alla cessazione della sanzione accessoria. Quanto alla finalità di eludere le misure di prevenzione (indicata nel capo di imputazione come direzione della condotta contestata), la stessa, si ricavava con chiarezza dalla biografia giudiziaria di COGNOME che risulta essere stato attinto da plurimi provvedimenti applicativi di misure di prevenzione personale e patrimoniale (pagg. 19 e 20 della sentenza impugnata).
Si riafferma, peraltro, che il delitto di trasferimento fraudolento di valori può esser commesso anche da chi non sia ancora sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali e ancora prima che il relativo procedimento sia iniziato, occorrendo solo, ai fini dell configurabilità del dolo specifico, che l’interessato possa fondatamente presumere l’avvio , di detto procedimento (Sez. 5, n. 1886 del 07/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282645 – 01; Sez. 1, n. 19537 del 02/03/2004, Veneziano, Rv. 227969)
In conclusione, il collegio ritiene che la motivazione della sentenza impugnata, offra una esaustiva risposta alle doglianze avanzate con l’atto di appello e si sottragga, pertanto ad ogni censura in questa sede.
Anche il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile nella parte in cui contesta la conferma della responsabilità per il reato previsto dall’art. 512-bi cod. pen..
3.1. Le censure proposte nei confronti della contestazione di intestazione fittizia . della RAGIONE_SOCIALE“, centrate sulla dedotta inidoneità del trasferimento della legale rappresentanza di una società senza scopo di lucro (e dei beni ad essa pertinenti) ad integrare la condotta di intestazione fittizia, a causa della natura vincola delle attività della società e della loro direzione non lucrativa, non superano la soglia d ammissibilità, in quanto si configurano come meramente reiterative rispetto a quelle , proposte con la prima impugnazione, oltre che dirette ad ottenere una nuova valutazione della capacità dimostrativa delle prove, attività esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza di legittimità.
Contrariamente a quanto dedotto, la Corte di appello offriva una esaustiva motivazione in ordine alla conferma di responsabilità di COGNOME per il reato di intestazione fitti Veniva rilevato, infatti, che era emerso che COGNOME aveva un forte interesse patrimoniale
a conservare la disponibilità occulta delle RAGIONE_SOCIALE e dei beni strumentali ad esse facenti capo, dato che, attraverso tali strutture, operanti nel settore del trasporto degli infermi, riusci ad appropriarsi delle risorse pubbliche erogate dall’RAGIONE_SOCIALE
Come legittimamente rilevato dalla Corte di appello, ai fini dell’integrazione del reato contestato, non rilevavano i vincoli giuridici inerenti lo statuto delle RAGIONE_SOCIALE, in quanto e pacificamente emerso che la rete di società riconducibile a COGNOME fosse funzionale a garantire la prosecuzione dell’attività di illecita appropriazione delle risorse pubblich anche nel caso in cui lo stesso fosse stato attinto da misure di prevenzione. Era infatti essenziale per la riuscita del progetto criminoso che egli avesse la disponibilità delle ambulanze utilizzate per il servizio del trasporto infermi e che tale servizio fosse “schermato” da RAGIONE_SOCIALE intestate a COGNOME.
La Corte territoriale riteneva, pertanto, integrata la condotta riconducibile all fattispecie prevista dall’articolo 512-bis cod. pen., dato che COGNOME non solo aveva assunto la legale rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE, ma aveva anche la materiale disponibilità dei beni e delle risorse ad esse riconducibili, strumenti essenziali per la continuazione dell’attività criminosa di COGNOME, che questi intendeva salvaguardare anche dall’applicazione di misure di prevenzione (pag. 23 della sentenza impugnata).
Contrariamente a quanto dedotto, la Corte di appello offriva una motivazione completa e priva di fratture logiche, anche in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo.
La fattispecie prevista dall’art. 512-bis cod. pen. richiede, infatti, la necessità che condotta di intestazione fittizia sia sorretta dal dolo specifico di “eludere i procedimenti prevenzione”, il che non implica la necessità che gli stessi siano stati avviati e che sia stata accertata la pericolosità sociale, ma solo che l’interponente agisca nella convinzione di sottrarsi all’azione ablativa (cfr.: giurisprudenza citata sub § 2.1.)
3.2. Infine: non supera la soglia di ammissibilità il motivo che contesta la conferma della responsabilità per il reato previsto dall’art. 8 digs n. 742000.
La doglianza si risolve nella richiesta di rivalutare la capacità dimostrativa delle prove, esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimità. Contrariamente a quanto dedotto, la Corte di appello ha confermato la condanna rilevando la univocità e convergenza delle prove raccolte; infatti, tenuto conto del fatto che l’esenzione fiscale riservata alle RAGIONE_SOCIALE riguarda attività di interesse generale, svolte dietr versamento di corrispettivi, che non superino i costi effettivi, con un margine di tolleranza di circa il 5%, la Corte rilevava che l’emissione della fattura contestata era diretta realizzare l’evasione fiscale, in quanto creava costi fittizi, che impedivano ai ricavi lievitare oltre il livello dei costi, così incidendo sulla tassabilità dei proventi.
In sintesi la Corte riteneva, con motivazione che non si presta a censure, che l’emissione della falsa fattura nei confronti di “RAGIONE_SOCIALE” fosse diretta a consentire al destinatario di evadere il fisco, tenuto conto che lo stesso poteva utilizzarla per dedurre
dai ricavi le somme corrispondenti ai costi indicati nel falso documento (pagg. 34 e 35 della sentenza impugnata).
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, nella parte in cui contesta la legittimità della conferma della condanna per l’intestazione fittizia relativa al “Li RAGIONE_SOCIALE” (capo 7), è fondato.
5.1. Il collegio riafferma che ai fini dell’integrazione del reato è necessari l’attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, beni o altre sicché, in ossequio al principio di tassatività, non assume rilievo il simulato trasferimento dei compiti di amministrazione di una società commerciale, anche nel caso in cui la condotta sia finalizzata alla elusione dell’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali. Invero, per la configurabilità del delitto di trasferimento fraudolento di valori è necessari che l’attribuzione della titolarità o della disponibilità della cosa, pur non inquadrabi nell’ambito di rigorosi schemi civilistici, comporti, quantomeno, il fittizio conferimento un’apprezzabile signoria sulla res (Sez. 2, n. 29633 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 276733 01; Sez. 6, n. 37375 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 261655; Sez. 5, n. 48415 del 06/10/2014, COGNOME, Rv. 261027).
5.2. Nel caso in esame la Corte di appello non ha chiarito se la ricorrente si sia limitata ad assumere compiti gestionali relativi alla amministrazione della società RAGIONE_SOCIALE o, se, invece, la stessa sia entrata in possesso delle quote della società (quanto descritto a pag. 26 circa la “gestione” dei beni societari, è contraddetto da quanto riportato a pag. 27, dove si fa riferimento, invero non circostanziato, alla cessione delle quote).
Tale connotazione della condotta – ovvero se la COGNOME abbia assunto solo compiti di gestione ovvero anche la titolarità delle quote -, essendo essenziale ai fini della configurabilità del reato, dovrà essere chiarita dalla Corte di appello di Napoli, che deciderà in sede di rinvio.
6.Non superano, invece, la soglia di ammissibilità le censure proposte nell’interesse di NOME COGNOME nei confronti della conferma della condanna per l’intestazione fittizia della “RAGIONE_SOCIALE” contestata al capo 15) della rubrica.
Contrariamente a quanto dedotto, la Corte di appello ha offerto una esaustiva motivazione in ordine alle doglianze proposte con la prima impugnazione, rilevando che (a) che la “RAGIONE_SOCIALE” era una società diversa dalla “RAGIONE_SOCIALE“, sequestrata a COGNOME, e che la stessa era stata costituita proprio per preservare i beni della società sequestrata da misure ablative, (b) che la COGNOME aveva accettato consapevolmente la carica di legale rappresentante della società, nonché il passaggio dell’integrità delle quote, (c) che il fatto che la società fosse inattiva era irrilevante, dato che l’organism
societario era dotato di intrinseco valore, come dimostrava il fatto che fosse stato costituito per preservare la società sequestrata da vincoli ablatori.
Il ricorso non contesta specificamente tale persuasivo percorso argomentativo, dato che si limita a reiterare quanto già allegato con l’atto d’appello circa la impossibilità configurare il reato a fronte del trasferimento fittizio di società inattiva.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
7.1. La doglianza in ordine alla responsabilità si profila reiterativa rispetto a quell proposta con l’atto d’appello e non si confronta con l’esaustiva motivazione offerta dalla sentenza impugnata, che ha evidenziato come COGNOME non avesse dimostrato la sua estraneità alla condotta contestata. Invero l’assunzione della rappresentanza dell’ente subito dopo la convalida del sequestro è stata, persuasivamente, ritenuta indicativa sia del carattere fittizio dell’intestazione, che della sussistenza dell’elemento soggettivo, dato che l’intestazione si profilava come diretta a tenere indenne COGNOME da eventuali misure ablatorie (pag. 30 della sentenza impugnata).
La motivazione, sul punto, si sottrae ad ogni censura in questa sede.
7.2. Anche le doglianze in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio non possono essere accolte in quanto manifestamente infondate.
Contrariamente a quanto dedotto, la Corte d’appello ha offerto un’esaustiva motivazione in ordine alla quantificazione della pena, ed ha rilevato che non vi fossero le condizioni per escludere la recidiva; si riteneva, tra l’altro che COGNOME non aveva fornito un contributo all’accertamento dei fatti, idoneo a giustificare un più favorevole bilanciamento. Si rilevava, peraltro, che la pena base era stata contenuta nel minimo edittale (pag. 37 della sentenza impugnata).
7.3.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro tremila.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al capo 30) con rinvio alla Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio sul suddetto capo; dichiara inammissibile nel resto il ricorso della COGNOME; dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME in relazione ai capi 1c) e 28) e lo rigetta in relazione al capo 29). Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al capo 7), con rinvio la Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio sul suddetto capo; dichiara
inammissibile il ricorso della COGNOME in relazione al capo 15). Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 5 aprile 2024.