Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4192 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4192 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a VIBO VALENTIA il 28/03/1978 avverso l’ordinanza del 11/04/2023 del TRIBUNALE di BOLOGNA Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
AtPubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME po’ ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Nonostante la richiesta di trattazione e la regolarità degli avvisi, nessuno è comparso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.. Il Tribunale per il riesame delle misure cautelari di Bologna confermava il sequestro preventivo “impeditivo” (art. 321, comma 1 cod. proc. pen.) della struttura aziendale delle società “RAGIONE_SOCIALE“, nonché delle quote sociali di NOME COGNOME; i beni appresi venivano ritenuti funzionali alla consumazione del reato di intestazione fittizia contestato a NOME COGNOME in concorso con NOME COGNOME.
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Segnatamente: si contestava a GLYPH NOME COGNOME di avere COGNOME svolto la funzione di prestanome nelle società in sequestro, al fine di evitare che i reali gestori, appartenenti alla ‘ndrangheta, patissero vincoli di prevenzione.
Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1. violazione di legge: la motivazione in ordine al fumus commissi delicti sarebbe apparente in quanto non sarebbe stato dimostrato (a) il ruolo di NOME COGNOME nella gestione delle società sequestrate, (b) la consapevolezza di NOME di concorrere nel reato di intestazione fittizia, (c) la pertinenzialità dei beni sequestrati rispetto al perseguito.
2.1.1. Il motivo non è consentito in quanto, nella materia della cautela reale, con il ricorso per cassazione possono dedursi solo violazioni di legge (dunque anche il caso di motivazione apparente o inesistente), ma non il vizio di motivazione (Tale principio, . enucleato già nel 2004 con una pronuncia a Sezioni Unite (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710), è stato ulteriormente sviluppato e chiarito, sempre con pronuncia a Sezioni Unite, nel 2008 (Sez. U, n.25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692), e successivamente ribadito in numerose pronunce provenienti dalle sezioni semplici (tra le altre, Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 01 Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi, Rv. 252430; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, COGNOME, Rv. 248129).
Nel caso in esame, la motivazione, non certo apparente, in ordine a tutti i punti contestati è persuasiva ed accurata, dato che il tribunale ha indicato le ragioni poste a fondamento della sussistenza della gravità indiziaria del reato di intestazione fittizia; g elementi indiziari raccolti consentivano infatti di ritenere che NOME COGNOME aveva consapevolmente svolto la funzione di prestanome per “coprire” i reali gestori delle società, appartenenti alla ‘ndrangheta, che intendevano evitare l’applicazione di misure di prevenzione.
Veniva specificamente rilevato che NOME COGNOME, agendo quale gestore di fatto della società “RAGIONE_SOCIALE” per conto dei proprietari effettivi, COGNOME, RAGIONE_SOCIALE abbia poi, senza soluzione di continuità, proseguito nella illecita operazione di reimpiego dei capitali investiti nella “Forno Imolese” nelle due nuove società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” intestandole fittiziamente alla moglie NOME COGNOME (pagg. 3 e 4 del provvedimento impugnato).
2.2. Violazione di legge: la cautela imposta non sarebbe proporzionata al pericolo rilevato.
2.2.1.La doglianza è manifestamente infondata in quanto il tribunale, contrariamente a quanto dedotto, si faceva carico della valutazione della “proporzionalità” della misura imposta rispetto all’esigenza perseguita valutando il bilanciamento tra il diritt individuale di protezione della proprietà e le esigenze di tutela collettiva; veniva rileva
che, nel caso in esame, l’affidamento delle due aziende ad un amministratore giudiziario permetteva alle società vincolate di proseguire la normale attività imprenditoriale nel rispetto delle esigenze economiche della proprietà e di quelle dei dipendenti (pag. 5 del provvedimento impugnato).
Si tratta di una motivazione che non si presta ad alcuna censura.
3.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il giorno 19 novembre 2024.