Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22050 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22050 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a ZHEMANG ( CINA) il 15/01/1977
avverso l’ordinanza del 15/11/2024 del TRIBUNALE di MACERATA, Sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 15 novembre 2024 il Tribunale di Macerata, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari, rigettava la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto emesso i 16 settembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Macerata, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo “delle somme e dei beni così come indicati dalla Procura Europea – Sedi di Milano e Bologna con l’istanza del 10.9.2024, in particolare disponendo il sequestro diretto finalizzato alla confisca del profitto dei reati, somme di denaro o di beni con esso acquistati che siano nella disponibilità degli indagati (anche quali intestatari delle società individuali in oggetto), ovverosia nei termini indiati dalla Procura Europea nell’istanza del 10.9.2024 nei limiti degli importi rispettivamente indicati in
relazione a ciascun indagato dalla Procura Europea sedi di Milano e Bologna ed in subordine, nel caso di impossibilità a procedere al sequestro diretto di quanto sopra indicato, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni mobili e/o immobili, somme di denaro che siano nella disponibilità degli indagati, rispettivamente indicati dalla Procura Europea e sino alla concorrenza dei relativi importi così come determinati dalla Procura Europea, per ciascun indagato”.
La vicenda ha ad oggetto operazioni di riciclaggio di denaro contante provento di reati tributari che veniva inviato, a cura di imprenditori commerciali fittizi che lo avevano ricevuto, mediante bonifici bancari con false causali a imprese – tra le quali l’impresa individuale denominata “RAGIONE_SOCIALE“, formalmente riconducibile a COGNOME, odierno ricorrente, il quale, in realtà, a tenore dell’imputazione provvisoria, era un mero prestanome di NOME COGNOME, soggetto al vertice del sodalizio criminoso e indagato, tra l’altro, per il reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. -, che in realtà non svolgeva alcuna attività commerciale. Il denaro veniva quindi destinato a essere trasferito all’estero. Oggetto del sequestro erano due autovetture formalmente riconducibili al Zhao e i rapporti finanziari intestati alla detta impresa individuale, formalmente riconducibile a quest’ultimo.
Avverso l’ordinanza proponeva ricorso per cassazione il COGNOME per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando quattro motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 321, commi 1, 2 e 2-bis cod. proc. pen.
Evidenziava che il ricorrente non risultava indagato, che la Procura Europea non aveva avanzato alcuna richiesta nei suoi confronti e che pertanto il decreto di sequestro non poteva avere ad oggetto alcuna somma di denaro o bene riferibili al medesimo e alla sua impresa individuale.
Con il secondo motivo deduceva inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., per essere la motivazione assente o comunque apparente, avendo il Tribunale, con il provvedimento impugnato, omesso di pronunciarsi in merito a quanto dedotto con il primo motivo di ricorso.
Con il terzo motivo deduceva inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 321 cod. proc. pen., essendo mancante il fumus commissi delicti, e in relazione all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.,
essendo assente o comunque apparente la motivazione in relazione al fumus boni iuris.
Evidenziava che al ricorrente non era stato contestato alcun fatto specifico, osservava che il Tribunale aveva omesso di esaminare i movimenti del conto corrente fatto oggetto di sequestro, dimostrativi del fatto che l’impresa individuale facente capo al Zhao era totalmente estranea alle vicende delittuose in oggetto, e assumeva infine che aveva errato il Tribunale nell’affermare, in seno al provvedimento impugnato, che il conto corrente in oggetto sarebbe stato escluso da quelli aggrediti dalla misura cautelare reale.
Con il quarto motivo deduceva inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 240-bis cod. pen. e 123, comma 3, cod. proc. pen., essendo la motivazione assente o comunque apparente quanto alla assunta sproporzione fra quanto in sequestro e i redditi prodotti dall’impresa individuale facente capo al ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi dedotti, che devono essere trattati congiuntamente in quanto involgenti le medesime questioni, sono inammissibili.
Ed invero, sulla scorta della relazione conclusiva della Guardia di Finanza, e in particolare del capitolo 3.2, richiamato a pag. 3 del provvedimento impugnato, il Tribunale indica le due vetture in sequestro – l’Audi TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO e la Porsche Cayenne targata TARGA_VEICOLO – e i rapporti finanziari intestati all’impresa individuale denominata “RAGIONE_SOCIALE” come solo formalmente appartenenti al ricorrente, ritenuto un mero prestanome, poiché in realtà riconducibili a NOME COGNOME detto “NOME“, soggetto di nazionalità cinese ritenuto al vertice dell’associazione per delinquere contestata, ed utilizzatore delle vetture.
A fronte di tale assunto, con il ricorso non viene in alcun modo contestata qualità di intestatario fittizio dei beni sequestrati in capo allo Zhao, risultando la difesa incentrata su tutt’altro aspetto, e in particolare sul fatto che con l’imputazione provvisoria nessuna contestazione viene mossa nei confronti del ricorrente, così che, secondo l’assunto difensivo nessuna richiesta di sequestro può essere avanzata nei suoi confronti.
Osserva la Corte, rispetto a tale argomentazione, che il ricorrente risulta coinvolto nell’esecuzione del sequestro non in quanto persona sottoposta alle
indagini, bensì quale intestatario fittizio di alcuni dei beni sottoposti a vincolo, circostanza che risulta pacificamente dagli atti.
Deve, a questo punto, essere richiamato il consolidato orientamento della Corte di legittimità, condiviso da questo Collegio, secondo il quale, in caso di sequestro finalizzato alla confisca ex art. 240-bis cod. pen. avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, ma non è legittimato a contestare i presupposti per l’applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso, che solo il proposto può avere interesse a far valere (v., ex multis, Sez. 2, n. 1251 del 07/11/2024, COGNOME, Rv. 287474 01; v. anche, nello stesso senso, Sez. 2, n. 41861 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287165 – 01, secondo cui, in tema di sequestro preventivo, il terzo che assume di avere diritto alla restituzione del bene sequestrato non può contestare la sussistenza dei presupposti della misura cautelare, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene stesso e l’assenza di collegamento concorsuale con l’indagato; in motivazione, la Corte ha altresì evidenziato che, se si ritenesse il terzo legittimato a contestare i presupposti della misura, il ricorso dallo stesso azionato risulterebbe in ogni caso inammissibile per aspecificità dei motivi, atteso che il predetto, in quanto soggetto estraneo al reato, non sarebbe in grado di contestare il “fumus commissi delicti” o il “periculum in mora”).
Nella specie il ricorrente, non contestando la propria qualità di intestatario fittizio dei beni in sequestro, non ha rivendicato l’effettiva titolarità e proprietà dei detti beni, omettendo qualsivoglia argomentazione sul punto, ma ha contestato la ritenuta sproporzione fra quanto in sequestro e i redditi prodotti dall’impresa individuale facente capo al ricorrente, non essendo a ciò legittimato.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile; il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”
deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 12/03/2025