Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26915 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26915 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI SALERNO nel procedimento a carico di: NOME COGNOME nato a SARNO il 13/06/1957 avverso l’ordinanza del 24/03/2025 del TRIB. LIBERTA’ di SALERNO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Salerno, in sede di riesame di provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, ha annullato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, emessa il 21 febbraio 2025, che aveva applicato a NOME COGNOME gli arresti domiciliari ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza ed il pericolo di reiterazione d reati in relazione ai delitti di usura e tentata estorsione (capi 2 e 4 dell imputazione provvisoria).
Il Tribunale ha ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari avesse errato nel non procedere all’interrogatorio preventivo dell’indagato previsto dall’art.
291, comma 1-quater, cod. proc. pen., dal momento che, in sede di emissione dell’ordinanza genetica, lo stesso Giudice per le indagini preliminari aveva operato una diversa qualificazione giuridica dei fatti contestati dal Pubblico ministero, escludendo che i reati di usura ed estorsione di cui ai capi 2 e 4 potessero ritenersi aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1. cod.pen.
In tal modo, i reati contestati, siccome diversamente qualificati dal Giudice per le indagini preliminari, non rientravano tra le eccezioni previste dalla norma citata a proposito della necessità di procedere all’interrogatorio preventivo dell’indagato, in quanto esclusi dal novero dei delitti indicati dall’art. 407, comma 2, lett. a) cod. proc. pen.
Il tenore letterale dell’art. 291, comma 1-quater, cod. proc. pen., sarebbe tale, secondo il Tribunale, da escludere che il Giudice per le indagini preliminari dovesse fare riferimento non a quanto da lui stesso ritenuto in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, ma a quanto oggetto della imputazione provvisoria elevata dal Pubblico ministero.
Né sarebbe valorizzabile, secondo il Tribunale, ai fini di escludere la necessità di procedere ad interrogatorio preventivo dell’indagato, l’eventuale connessione dei reati contestati all’interessato con altro o altri reati contestati ad altri coindaga e rientranti nell’elenco di cui all’art. 407, comma 2, lett. a) cod. proc. pen.
Per tali ragioni, il Tribunale, ritenendo essersi verificata una nullità di caratter generale a regime intermedio rilevabile d’ufficio, ha annullato l’ordinanza applicativa della misura.
Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, deducendo, con unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla inosservanza da parte del Giudice per le indagini preliminari della previsione di cui all’art. 291, comma 1-quater, cod. proc. pen.
La parte pubblica ricorrente censura l’ordinanza impugnata sostenendo che la tesi del Tribunale comporterebbe una indebita anticipazione all’indagato di conclusioni adottate dal Giudice per le indagini preliminari nel segreto della camera di consiglio, sia rispetto alla qualificazione giuridica dei fatti che con riferimento alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari rispetto ai reati contestati dal Pubblico ministero, non considerando le refluenze della decisione sulle possibili impugnazioni del Pubblico ministero in materia cautelare.
Il ricorrente propugna la tesi che non dovrebbe procedersi ad interrogatorio nei casi nei quali vi possa essere – sotto il profilo della prognosi inerente al pericolo di recidiva – una relazione tra il reato contestato, non ostativo, ed altri reat ostativi, sulla base della capacità a delinquere dell’indagato, dei suoi precedenti, degli specifici rapporti tra le parti e del comportamento della persona offesa.
Il caso in esame ne sarebbe esempio, dal momento che le condotte dell’indagato andavano ad inserirsi in un quadro di rapporti con il coindagato COGNOME rientranti nell’ambito di reati ostativi di criminalità organizzata di tipo mafio contestati al COGNOME.
Utilizzando il criterio della connessione tra i reati, il Tribunale avrebbe dovut ritenere che l’interrogatorio, nel caso di specie, non fosse necessario, avuto riguardo alle altre contestazioni di cui all’indagine elevate ai numerosi coindagati per reati ostativi, non facilmente scindibili e meritevoli di una valutazion unitaria, anche tenuto conto della difficoltà di selezionare gli atti da depositare a Tribunale in modo da rendere ostensibili solo quelli riguardanti gli indagati da interrogare, al fine di evitare una inutile discovery frustrando “l’effetto sorpresa” nella esecuzione della misura nei confronti di quegli indagati per i quali l’interrogatorio preventivo non risultasse necessario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va accolto, sia pure per ragioni diverse da quelle indicate dal ricorrente.
1.1. Rileva innanzitutto il Collegio che non è consentita la deduzione di vizi di motivazione, ammessi nel giudizio di legittimità solo in relazione alle questioni di fatto, mentre il presente ricorso è incentrato su una questione di puro diritto. Del resto, questa Corte di legittimità, anche nella sua più autorevole composizione, ha avuto cura di precisare che, qualora la quaestio iuris sia correttamente risolta, anche se attraverso un percorso logico-argomentativo errato, le relative doglianze sarebbero comunque inammissibili, tenuto conto che l’interesse all’impugnazione trova esclusivo fondamento nella errata soluzione di una questione giuridica e non nella erroneità degli argomenti su cui riposa la soluzione, in ogni caso corretta, della questione (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027-05, ha ritenuto che, quando la soluzione adottata dal giudice non sia giuridicamente corretta, è necessario dedurre come motivo di ricorso l’intervenuta violazione di legge; Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, COGNOME, Rv. 251495-01, che ha precisato che «la soluzione da dare alle questioni di diritto, processuali o sostanziali che siano, non attiene però al contesto della giustificazione, ma al contesto della decisione, sicché quello che importa per la validità della sentenza è soltanto la correttezza di questa»; Sez. 5, n. 34497 del 07/07/2021, COGNOME, Rv. 281831-01; Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280173-01, in motivazione; Sez. 4, n. 47842 del 05/10/2018, L., Rv. 274035-01; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, NOME, 268360-01, in motivazione).
1.2. Venendo alla dedotta violazione della legge processuale, l’incolpaz provvisoria elevata nei confronti dell’odierno ricorrente è relativa a reati ed estorsione (capi 2 e 4) che il Giudice per le indagini preliminari ha r non essere aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.l.cod. pen.
Tuttavia, lo stesso giudice non ha proceduto all’interrogatorio preventi quanto ha ritenuto di dover fare riferimento all’originaria imputazione c contestata dal Pubblico ministero, che prevedeva l’aggravante in parola.
Va detto, altresì, che l’indagine nel suo complesso è a carico di so destinatari di misure cautelari personali anche in relazione al reato di cui 12, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1988, che è nel novero di quelli per i quali necessario disporre l’interrogatorio preventivo (capo 60 della imputazi provvisoria).
Tali principi trovano applicazione anche in sede di impugnazione, in quant costituendo il riesame ex art. 309 cod. proc. pen. un mezzo di impugnazione con effetto interamente devolutivo, preordinato alla verifica dei presup legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare (Sez. U, n. 26 05/07/1995, COGNOME, Rv. 202015 – 01; Sez. 2, n. 7327 del 16/12/202
COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 12995 del 05/02/2016, Uda, Rv. 266294 – 01) – il tribunale può annullare o riformare in senso favorevole all’imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell’atto di impugnazione, così come può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell’ordinanza cautelare (Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 278314 – 03; Sez. 6, n. 18853 del 15/03/2018, Puro, Rv. 273384 – 01).
È stato, dunque, condivisibilmente affermato che non «è possibile ritenere che il vaglio del giudice possa essere diversamente modulato in relazione, in una prima fase, ai fini della “scelta del rito” o del modulo procedimentale da seguire, rispetto ad una seconda fase riservata alla valutazione funditus dei gravi indizi e delle esigenze cautelari ai fini della adozione della misura», per cui «una volta ricevuti gli atti, il giudice è tenuto a svolgere una valutazione unitaria, ispirata ad u criterio uniforme, nel verificare la sussistenza di un adeguato compendio indiziario ovvero il ricorso di esigenze cautelari normativamente in grado di derogare alla regola generale dell’interrogatorio preventivo e, al contempo, di giustificare la adozione del provvedimento restrittivo della libertà personale» (Sez. 2, n. 12034/2025, cit.).
1.4. L’eventuale nullità dell’ordinanza genetica, prevista dall’art. 292, comma 3bis, cod. proc. pen., qualora non sia preceduta dall’interrogatorio preventivo nei casi in cui è previsto, è di ordine generale a regime intermedio, ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen., riguardando la violazione del diritto di difesa, con la conseguenza che deve essere dedotta con l’interrogatorio di garanzia postumo, nel frattempo svolto, che rappresenta il primo momento utile, ai sensi dell’art. 182 cod. proc. pen., restando altrimenti sanata.
Ne consegue che la relativa eccezione è proponibile in sede di riesame, ovvero la nullità è rilevabile d’ufficio dal Tribunale, solo se sia stata previamente sollevata in sede di interrogatorio e respinta dal giudice.
1.5. Il secondo aspetto che va analizzato – solo per completezza, tenuto conto che risulta assorbente la circostanza per cui, non essendo stata eccepita la nullità dell’ordinanza genetica, ai sensi dell’art. 292, comma 3-bis, cod. proc. pen., in sede di interrogatorio di garanzia postumo, la questione non poteva più essere rilevata di ufficio dal Tribunale – è quello relativo alla disciplina delle ipotes imputazioni oggettivamente complesse in presenza di una pluralità di reati ascritti allo stesso indagato, solo per alcuni dei quali sia prevista la deroga alla regola dell’interrogatorio preventivo, delle ipotesi in cui appaiano frazionate le esigenze cautelari in relazione ai diversi titoli di reato, qualora sussista il pericolo reiterazione in relazione ad un reato che imponga l’interrogatorio preventivo e quello di inquinamento probatorio specifico con riferimento alle ulteriori ipotesi
di reato e, infine, delle ipotesi di imputazioni soggettivamente complesse, laddove il procedimento riguardi più indagati ai quali è elevata contestazione per reati diversi, solo per alcuni dei quali è prevista la deroga all’espletamento dell’interrogatorio preventivo. Si tratta di casi, peraltro, frequenti nella prati che non risultano espressamente disciplinati dalla riforma del 2024 e che presentano le stesse criticità, di talchè non vi sono motivi per differenziarne la disciplina.
Rileva il Collegio che la novella di cui alla legge 9 agosto 2024, n. 114 ha inciso solo sull’art. 291 cod. proc. pen., inserendo il comma 1-quater, che prevede l’interrogatorio preventivo, lasciando inalterato il sistema complessivo delle misure cautelari, all’interno del quale non vi sono specifiche norme che prevedono ipotesi di separazione o “spacchettamento” del procedimento. Ed invero, l’art. 18 cod. proc. pen., che consente la separazione dei processi nelle ipotesi ivi elencate, riguarda la fase del giudizio, per cui non può trovare applicazione nella fase delle indagini preliminari; né, per ovvie ragioni, può ipotizzarsi una separazione dei procedimenti sull’accordo delle parti, sulla falsariga della previsione dell’art. 18, comma 2, cod. proc. pen.
In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare che la separazione dei processi è istituto tipicamente processuale, governato da precise regole di rito anche in vista di consentire alle parti di avanzare le loro ragioni e che, dunque, può scaturire solo da un vero e proprio provvedimento giurisdizionale adottato dal giudice, nella forma dell’ordinanza e nel rispetto del contraddittorio, che, per sua natura, non può riferirsi alla fase delle indagini preliminari (Sez. 6, n. 12729 del 17/10/1994, RAGIONE_SOCIALE, Rv.199980-01).
In particolare, nella fase delle indagini preliminari, quando procede nei confronti di più persone o per più imputazioni, è solo il pubblico ministero che è espressamente autorizzato dall’art. 130 disp. att. cod. proc. pen. a stralciare talune posizioni (persone o imputazioni), per le quali viene esercitata l’azione penale, sì da far conseguire “di fatto” una separazione del procedimento, atteso che la parte rimessa al giudice passa alla fase processuale, mentre l’altra parte resta nella fase procedimentale.
Trattasi di un potere autonomo del pubblico ministero, che deve essere esercitato nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge anche in tema di connessione e che è espressione del generale principio del favor separationis, cui è ispirato il codice di rito, finalizzato a favorire, quando una frazione del procedimento sia ormai pervenuta al punto di consentire l’atto che segna il passaggio dalla fase delle indagini a quella del processo, quelle scomposizioni di res iudicandae in grado di permettere una pronta decisione; un criterio, dunque, che consente al pubblico ministero, in presenza di indagini complesse o collegate, di stralciare talune
posizioni relative allo stesso imputato o di quelle riguardanti imputati diversi, in modo da non ritardarne la presa di contatto con il giudice. Come risulta evidente, si tratta di un fenomeno che presenta solo analogie di facciata con la separazione disciplinata dall’art. 18 cod. proc. pen.
Dalle considerazioni svolte consegue che il giudice per le indagini preliminari, a fronte di una richiesta cautelare che contempli imputazioni soggettivamente o oggettivamente complesse, non può separare singoli reati o singole posizioni al fine di effettuare l’interrogatorio preventivo laddove previsto, in quanto non vi sono disposizioni che lo consentono, per cui dovrà far riferimento alla disciplina derogatoria prevista per il reato ostativo, posticipando l’interrogatorio di garanzia all’esito dell’emissione della misura cautelare.
Del resto, plurimi sono i casi in cui il sistema processuale fa coesistere disposizioni che disciplinano in maniera differenziata alcuni momenti procedimentali o processuali in relazione a specifiche e differenti categorie di reato o di soggetti: in tali casi, confluendo in un unico procedimento più ipotesi di reato caratterizzate da una differente disciplina, sia per il loro accertamento nel corso delle indagini preliminari, che per la loro successiva verifica dibattimentale, si è ritenuto debba trovare applicazione il principio della prevalenza della normativa riguardante il reato più grave.
Così, a mero titolo esemplificativo e senza pretesa di esaustività, in tema di intercettazioni disposte all’interno di un procedimento con più indagati, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la valutazione del reato per il quale si procede, da cui dipende l’applicazione della disciplina ordinaria ovvero di quella speciale per la criminalità organizzata va fatta in relazione all’indagine nel suo complesso e non con riguardo alla responsabilità di ciascun indagato (Sez. 2, n. 31440 del 24/07/2020, COGNOME, Rv. 280062-01; Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017, COGNOME, Rv. 270565-01); con rifermento alle misure cautelari, in tema di retrodatazione nell’ipotesi di “contestazioni a catena”, l’art. 273, comma 3, cod. proc. pen. stabilisce che «i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave»; con riferimento alla proroga del termine delle indagini preliminari per reati ricompresi nelle ipotesi di cui all’articolo 406, comma 5-bis, cod. proc. pen., per i quali non occorre la notifica della richiesta all’indagato, né la fissazione dell’udienza camerale con la conseguente instaurazione del contraddittorio, si ritiene pacificamente che tale disciplina si estenda anche ai reati “comuni” contestati nello stesso procedimento; con riferimento alla fase dibattimentale, è stato sostenuto che la regola dettata dall’art. 190-bis cod. proc. pen., secondo cui, nei procedimenti per i reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., la rinnovazione dell’assunzione della testimonianza è consentita solo qualora sia
necessario sulla base di specifiche esigenze, si applica a tutti i reati oggetto del medesimo procedimento, anche se alcuni di essi siano diversi da quelli previsti dall’art. 51 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 3609 del 03/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275880 – 01; Sez. 1, n. 48710 del 14/06/2016, COGNOME, Rv. 268455 – 01, in motivazione).
Dunque, va esclusa l’ipotesi di scindere i reati, differenziando quelli per i quali è imposto dalla legge l’interrogatorio preventivo da quelli per i quali è posta la disciplina in deroga (Sez. 2, n. 12034/2025, cit.; Sez. 3, n. 19068 del 15/01/2025, V., non massimata allo stato), essendo attratti i reati non ostativi nella disciplina derogatoria di quelli ostativi, che inibisce l’espletamento dell’interrogatorio preventivo; ciò anche al fine di consentire una gestione unitaria del fascicolo, prevalendo – in considerazione della peculiare tipologia dei reati ostativi – l’esigenza di mantenere riservata l’iniziativa cautelare complessivamente considerata, sì da preservarne l’efficacia.
Ed invero, anche ragioni di ordine operativo depongono per una siffatta soluzione. In particolare, nel caso in cui si dovesse scegliere di procedere all’interrogatorio preventivo limitatamente ai reati per i quali è previsto, sarebbe oltremodo improbo per il pubblico ministero, in presenza di imputazioni connesse, selezionare gli atti da depositare, così da rendere ostensibili solo quelli riguardanti i reati non ostativi. Il rischio, dunque, è quello di una indebita anticipazione della discoveryanche in relazione a quei reati per i quali è escluso l’interrogatorio preventivo, neutralizzando in tal modo in maniera del tutto ingiustificata l’effetto sorpresa nell’esecuzione della misura e di conseguenza determinando un vulnus alla tutela delle esigenze cautelari sottese.
Ugualmente non percorribile risulta l’opzione alternativa di emettere l’ordinanza cautelare per i reati ostativi e poi procedere all’interrogatorio preventivo per gli altri titoli di reato, atteso che in questo caso il giudice potrebbe compiere un esame solo parziale delle condotte, qualora le stesse fossero relative a fatti tra loro connessi, ciò che impedirebbe una valutazione unitaria, essenziale ai fini della considerazione della loro complessiva gravità in relazione alle dedotte esigenze cautelari.
Del resto, è stato condivisibilmente rilevato che «la garanzia costituzionale del diritto di difesa non esclude che il legislatore possa darvi attuazione in modo diverso, tenuto conto dei diversi contesti procedimentali» (Sez. 2, n. 5548/2025, cit., che ha efficacemente richiamato Sez. U, n. 17274 del 26/03/2020, COGNOME, Rv. 279281 – 01, Corte cost., sent. n. 77 del 24/03/1997 e sent. n. 32 del 10/02/1999, Sez. U, n. 3 del 28/01/1998, COGNOME, Rv. 210258 – 01, nonché Sez. U, n. 44895 del 17/07/2014, COGNOME, Rv. 260926 – 01, che rimarcano il ruolo dell’interrogatorio di garanzia, consacrato quale diritto inviolabile, ex art. 13
Cost., del cittadino in vinculis), per cui non deve destare perplessità il fatto che, in presenza di determinati reati, nella comparazione tra le esigenze investigative e quelle difensive, l’interrogatorio di garanzia sia posticipato dopo l’emissione del titolo custodiale anche per quei reati per i quali avrebbe dovuto trovare applicazione la disciplina generale dell’interrogatorio preventivo, essendo tale soluzione imposta dalla necessità di tutelare la segretezza delle indagini e l’effetto sorpresa nella esecuzione del titolo cautelare, oltre che giustificata dalla gravità di taluni dei reati per cui si procede.
1.6. La regola dell’attrazione del reato non ostativo nella disciplina speciale prevista per il reato ostativo, tuttavia, non può tradursi in una interpretatio abrogans della novella legislativa, per cui è necessario addivenire ad una opzione ermeneutica che riesca a contemperare l’intervento cautelare “a sorpresa” con quello garantito dal “contraddittorio”. Orbene, la soluzione che consente di conciliare entrambe le esigenze in gioco, quelle investigative e quelle difensive, queste ultime chiaramente sottese all’introduzione dell’art. 291, comma 1quater, cod. proc. pen., a parere del Collegio, è quella di fondare il criterio di discrimine sulla connessione tra i reati, nel senso che, solo qualora i reati contestati siano avvinti da una connessione qualificata ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., ovvero siano probatoriamente collegati ai sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b) e c), cod. proc. pen., la disciplina prevista per il reato ostativo applicherà anche ai reati non ostativi, mentre, laddove i reati siano tenuti insieme in virtù di situazioni del tutto occasionali o da mere ragioni di opportunità processuale, dovranno essere trattati in modo differente ai fini cautelari, non ricorrendo in siffatta ipotesi nessuno degli inconvenienti sopra evidenziati.
1.7. Nel caso di specie, risulta che sia stata confermata ad opera del Tribunale del riesame la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato ostativo di cui all’art. 12, comma 3, d. Igs. 286 del 1998, a carico di altri coindagati, reato che risulta probatoriamente collegato a quelli contestati al ricorrente, ai sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b) e c), cod. proc. pen., in quanto il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, reato estraneo al programma associativo, veniva effettuato anche attraverso società compiacenti facenti capo al sodalizio di cui al capo 1) ed emerge dall’attività di captazione autorizzata nel presente procedimento. Dunque, i reati ritenuti dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti del ricorrente, pur non essendo ostativi, devono essere attratti nella disciplina derogatoria per le considerazioni sopra svolte, con la conseguenza che non doveva essere svolto l’interrogatorio preventivo.
1.8. Manifestamente infondato è, poi, il rilievo per cui l’art. 291, comma 1-quater, cod. proc. pen., collega l’obbligo dell’interrogatorio preventivo al solo profilo dell’insussistenza delle esigenze cautelari e non anche alla carenza della gravità
indiziaria, con la conseguenza che il Tribunale del riesame avrebbe fatto erronea applicazione della norma processuale. Osserva, in proposito, il Collegio che detto assunto non tiene conto che, in assenza del presupposto di cui all’art. 273 cod. proc. pen., sarebbe un non senso disquisire in ordine ai pericula libertatis, atteso che la ritenuta gravità indiziaria costituisce l’antecedente logico per poter poi affrontare il tema delle esigenze cautelari. In altri termini, se la sussistenza di un reato ostativo – in relazione al quale non ricorrono le esigenze cautelari di cui alla lett. a) e b) dell’art. 274 cod. proc. pen. ovvero di prevenzione speciale con riferimento al catalogo di reati previsti dagli artt. 407, comma 2, lettera a) e 362, comma 1-ter, ovvero a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale – impedisce che si deroghi alla regola generale che impone l’interrogatorio preventivo prima dell’emissione della misura cautelare, a fortiori non vi sono ragioni per derogarvi qualora, ancora più radicalmente, sia stata ritenuta l’insussistenza di un siffatto reato.
1.9. Del tutto infondata, inoltre, risulta l’affermazione secondo la quale il regime derogatorio, in presenza di esigenze cautelari specialpreventive, opererebbe anche quando il reato per il quale interviene la cautela non è compreso tra quelli indicati negli artt. 407, comma 2, lettera a) e 362, comma 1-ter, cod. proc. pen., atteso che sarebbe sufficiente la sussistenza del pericolo di reiterazione di un reato compreso tra quelli ostativi, desunta da elementi ulteriori, quali la capacità a delinquere, i precedenti penali, i rapporti tra le parti ed il comportamento della persona offesa.
Sul punto, invero, va evidenziato che una siffatta opzione ermeneutica non fa i conti con il dato normativo, che, con riferimento alla tutela delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., impone che il reato per quale viene emesso il titolo cautelare sia ricompreso nel catalogo tassativo di cui agli artt. 407, comma 2, lettera a) e 362, comma 1-ter, cod. proc. pen., con la conseguenza che dà luogo ad un’ipotesi non consentita di analogia in malam partem. In buona sostanza, il reato ostativo, oggetto dell’ordinanza cautelare, costituisce presupposto ineludibile per l’applicazione della disciplina che deroga alla regola dell’interrogatorio preventivo, di talchè – in mancanza – l’emissione dell’ordinanza cautelare è nulla, se non preceduta dall’interrogatorio.
1.10. Alla luce delle considerazioni svolte, va accolto il ricorso del Pubblico Ministero, sia pure per ragioni diverse da quelle addotte dal ricorrente.
2. Resta solo da precisare che la presente decisione non è esecutiva, atteso che, a fronte di un iniziale annullamento dell’ordinanza genetica, va salvaguardato il valore della libertà personale dell’indagato, fino a che il Tribunale del riesame non si sia nuovamente pronunciato, non potendosi escludere un nuovo annullamento per ragioni diverse ovvero una riforma dell’ordinanza in ragione di
una diversa valutazione dell’intensità delle esigenze cautelari da tutelare.
Diversamente, nel caso di conferma del titolo cautelare, all’esito del giudizio di rinvio, la decisione sarà immediatamente esecutiva, secondo la regola generale
di cui all’art. 588, comma 2, cod. proc. pen.
Sul punto, è ormai consolidato l’orientamento, espresso da questa Corte anche nella sua più autorevole composizione, secondo il quale l’ordinanza con cui il
tribunale del riesame, a seguito di annullamento con rinvio disposto su ricorso del pubblico ministero, confermi l’originaria ordinanza di custodia cautelare, in
un primo tempo annullata dal medesimo tribunale, è immediatamente esecutiva e determina il ripristino dello stato di custodia, anche in caso di nuova
proposizione di ricorso per cassazione (Sez. U, n. 19214 del 23/04/2020,
COGNOME, Rv. 279092, in motivazione, seguite da Sez. 2, n. 12431 del
11/02/2021, COGNOME Rv. 280769 – 01, non massimata sul punto; Sez. 2, n.
21826 del 27/04/2022, Diana, Rv. 283365 – 01, non massimata sul punto; cfr., in termini conformi, Sez. 2, n. 12883 del 15/01/2016, Macrì, non massimata;
Sez. 3, n. 2888 del 19/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258371 – 01; Sez. 5, n.
39029 del 16/09/2008, COGNOME, Rv. 242316 – 01; Sez. 6, n. 20479 del 12/05/2005, Laagoub, Rv. 232264 – 01; Sez. 1, n. 8722 del 03/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 228158 – 01). È stato sostenuto, invero, che in tali casi non trova applicazione per analogia l’effetto sospensivo previsto dall’art. 310, comma 3, cod. proc. pen., in relazione alle decisioni assunte nell’appello cautelare, in quanto questa ultima norma è «di stretta interpretazione, derogando la stessa al principio generale di cui all’art. 588, comma secondo, cod. proc. pen., per cui le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale non hanno in alcun caso effetto sospensivo» (Sez. U, Giacobbe, cit.).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Salerno competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Così deciso in Roma, il 12/06/2025.