Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12034 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12034 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a BRESCIA il 01/02/1992
avverso l’ordinanza del 17/12/2024 del TRIB. LIBERTA di Brescia udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 17/12/2024 il Tribunale di Brescia ha respinto l’istanza di riesame che era stata proposta .iell’interesse di NOME COGNOME contro il provvedimento con il quale il GIP, avendo ravvisato, a suo carico, gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di cui ai capi 2), 4), 7), 8) della provvisoria incolpazione nonché le relative esigenze cautelari di natura specialpreventiva di rilevante spessore, aveva accolto la richiesta dei PM ed adottato la misura della custodia cautelare in carcere;
ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del difensore di fiducia che deduce:
2.1 manifesta illogicità della motivazione in punto di controllo nel giudizio cautelare: con riguardo alla seconda delle eccezioni processuali sollevate in sede di riesame, richiama le considerazioni che erano state spese con il motivo nuovo articolato in esito all’interrogatorio di garanzia e, in particolare, le dichiarazio rese da NOME COGNOME riporta, inoltre, le considerazioni spese dal GIP come dal Tribunale del riesame sottolineandone il contrasto con i principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità in merito al potere-dovere del Tribunale di operare un autonomo inquadramento dei fatto portato alla sua attenzione; sottolinea, ancora, come il Tribunale abbia operato un sintetico riferimento alle risultanze investigative senza tuttavia dar conto di come una fugace impressione potesse fondare un giudizio di gravità indiziarla oltre che, per altro verso, il carattere specioso del riferimento ad altri episodi di disponibilità di armi da parte del ricorrente;
2.2 manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 273 cod. proc. pen. con riguardo alla circostanza aggravante contestata sul capo 7) e nullità dell’ordinanza custodiale: rileva nuovamente come le parole del COGNOME dessero atto di una impressione soggettiva del sorvegliante non suscettibile di assumere valenza indiziaria;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni di séguito esposte.
NOME COGNOME era stato attinto dalla misura della custodia cautelare in carcere adottata con provvedimento dell’08/11/2024 del GIP di Brescia che aveva ravvisato, a suo carico, gravi indizi di colpevolezza in merito a vari fatti di furto ricettazione e rapina in un caso – quello delineato al capo 7) della provvisoria imputazione – aggravata dall’uso dell’arma.
Con l’istanza di riesame la difesa aveva sollevato due questioni di natura processuale: aveva in primo luogo eccepito la nullità dell’ordinanza del GIP per difetto di una autonoma motivazione del provvedimento custodiale rispetto al contenuto della richiesta del PM; in secondo luogo, aveva eccepito la nullità
dell’ordinanza per mancato espletamento dell’interrogatorio preventivo di cui all’art. 291 comma 1-quater cod. proc. pen..
Il Tribunale ha respinto l’istanza di riesame argomentando sia quanto alla prima che quanto alla seconda questione e, infine, ribadendo la sussistenza di un idoneo livello di gravità indiziaria oltre che sul ricorso di esigenze di natura cautelare non altrimenti fronteggiabili.
Il ricorso articolato in questa sede nell’interesse del Melis si sofferma esclusivamente sulla motivazione spesa dal Tribunale in merito all’eccezione di nullità dell’ordinanza per mancato espletamento dell’interrogatorio preventivo.
3.1 L’art. 2, comma 1, lett. f), della legge 10 agosto 2024 n. 114 (pubblicata in G.U. 10 agosto 2024, n.187, ed entrata in vigore il 25 agosto 2024) ha modificato i commi 2-ter e 2-quater dell’art. 292 cod. proc. pen. e, per quanto rileva in questa sede, ha introdotto il comma 3-bis stabilendo che “l’ordinanza è nulla se non è preceduta dall’interrogatorio nei casi previsti dall’articolo 291, comma 1-quater, nonché quando l’interrogatorio è nullo per violazione delle disposizioni di cui ai commi 1-septies e 1-octies del medesimo articolo”.
La stessa legge 114 del 2024, con l’art. 2, comma 1, lett. e), ha modificato l’art. 291 cod. proc. pen. introducendo i commi 1-quater, 1quinquies, 1-sexies, 1-septies, 1-octies e 1-novies: in particolare, il comma 1-quater stabilisce che “fermo il disposto dell’articolo 289, comma 2, secondo periodo, prima di disporre la misura, il giudice procede all’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini preliminari con le modalità indicate agli articoli 64 e 65, salvo che sussista taluna delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274, comma 1, lettere a) e b), oppure l’esigenza cautelare di cui all’articolo 274, comma 1, lettera c), in 2 relazione ad uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a), o all’articolo 362, comma 1-ter, ovvero a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale”.
3.2 Come è stato da ultimo chiarito da questa Corte (cfr., Sez. 2, n. 5548 del 09/01/2025, COGNOME), con motivazione assolutamente condivisibile, che fa leva sia sul piano sistematico che sul dato letterale, l’obbligo di garantire il contraddittorio “anticipato” deve ritenersi certamente applicabile a tutte le richieste di misura cautelare pendenti alla data di entrata in vigore della novella.
3.3 II legislatore, dunque, ha ritenuto opportuno valorizzare le esigenze di ostensione anticipata delle ragioni difensive rispetto alla adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale seguendo uno schema procedimentale non sconosciuto all’ordinamento ma già previsto sia in materia di responsabilità amministrativa degli enti (art. 47, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231) che
per la adozione del provvedimento cautelare di sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 7, I. 16 aprile 2015, n. 47).
Il meccanismo “a contraddittorio anticipato” risulta oggi generalizzato ancorché l’ampia casistica delle deroghe, più o meno “nominate” porti a contenerne l’operatività in termini probabilmente significativi – è stato inoltre completato dalla previsione della nullità del provvedimento cautelare che fosse stato adottato senza il rispetto della corretta cadenza procedimentale, ed in termini che la giurisprudenza aveva già affermato quanto alle conseguenze dell’omesso interrogatorio preventivo nel caso di adozione delle misure interdittive (cfr., Sez. 1, n. 15794 del 17/01/2011, COGNOME, Rv. 249963 – 01; Sez. 6, n. 46218 del 06/11/2009, COGNOME, Rv. 245539 – 01, in cui la Corte aveva spiegato che l’applicazione della misura cautelare interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio deve essere preceduta dall’interrogatorio della persona sottoposta ad indagine, pena altrimenti la nullità a regime intermedio per omesso intervento della difesa, pur quando detta misura abbia ad oggetto oltre che un delitto contro la P.A., anche altro reato diverso per il quale sussistano elementi di gravità indiziaria; cfr., ancora, sulla qualificazione in termini di nullità generale a regime intermedio, Sez. 6, n. 2304 del 15/05/2000, COGNOME, Rv. 216236 – 01 e Sez. 6, n. 2412 del 24/05/2000, Corea, Rv. 217318 – 0t).
3.4 La struttura del comma 1 -quater del novellato art. 291 cod. proc. pen. prevede, tuttavia, come anticipato, una serie di deroghe che consentono di procedere all’adozione della misura richiesta dal PM senza acquisire l’interrogatorio “preventivo” da assicurare invece, secondo il meccanismo tradizionale, nei termini e con le modalità di cui all’art. 294 cod. proc. pen..
Si tratta, in primo luogo, delle ipotesi nelle quali “sussista taluna delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274, comma 1, lettere a) e b)”, ovvero il pericolo di fuga o il pericolo di inquinamento probatorio; in secondo luogo, quando la residuale esigenza cautelare sussistente, ovvero quella di cui alla lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen., sia ravvisata con riferimento ad “uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a), o all’articolo 362, comma 1 -ter” (ipotesi che da ricondurre ad un catalogo di casi “nominati”) ovvero “a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale” (ipotesi che evoca, invece, un catalogo di casi “innominati”).
3.5 Prima di affrontare la questione – pure già vagliata e correttamente affrontata nella già richiamata sentenza n. 5548 del 09/01/2025, COGNOME – della natura del vaglio che il giudice è tenuto ad operare sulla richiesta del PM con
riguardo alla effettiva o meramente dedotta sussistenza dei presupposti per derogare alla necessaria acquisizione dell’interrogatorio preventivo, è necessario in primo luogo verificare la ricaduta della nuova disciplina nell’ipotesi, tutt’altro che remota e, anzi, prevalente, di provvedimenti cautelari adottati per più titoli di reato, taluno dei quali soltanto riconducibile tra quelli che consentono la deroga alla necessità dell’interrogatorio preventivo; ovvero, di provvedimenti cautelari adottati nei confronti di più soggetti per i quali siano ravvisati gravi indizi d colpevolezza per diverse ipotesi di reato e/o paventate esigenze cauteiari di natura diversa, taluna soltanto delle quali tali da consentire la deroga alla regola tendenzialmente generale.
Come è stato efficacemente osservato, la disposizione di nuovo conio, nell’introdurre quale regola generale quella dell’interrogatorio preventivo rispetto alla adozione della misura, sembra avere avuto di mira l’ipotesi più semplice, ovvero quella di un provvedimento cautelare da adottarsi nei confronti di un solo destinatario e per un’unica ipotesi di reato: spetta pertanto all’interprete il compito di individuare le linee direttive cui far riferimento per colmare quella che indubbiamente è una lacuna normativa che non può, tuttavia, essere ovviata sul piano pratico attraverso una artificiosa frammentazione delle richieste di adozione di misure singolarmente presentate per singole ipotesi di reato e per ciascun singolo destinatario pur nell’ambito di una indagine che coinvolga una molteplicità di soggetti e di eventi delittuosi.
Limitando l’indagine all’ipotesi ricorrente nel caso di specie, si tratta pertanto di verificare se, in presenza di una pluralità di “titoli” cautelari, talun soltanto dei quali tale da giustificare la deroga alla regola dell’interrogatorio preventivo, il giudice, cui pervenga la richiesta, possa o meno procedere alla adozione della misura per tutti i titoli di reato per i quali è stata verificata necessaria gravità indiziaria provvedendo alla acquisizione dell’interrogatorio ai sensi dell’art. 294 cod. proc. pen. sull’intera vicenda cautelare ivi compresi, per l’appunto, quei reati per i quali sarebbe stato altrimenti necessario – a pena di nullità – provvedere ai sensi del modello delineato dall’art. 291 comma 1 -quater cod. proc. pen..
Il collegio è dell’avviso che – come peraltro avvenuto nel caso di specie – il giudice non possa procedere separatamente per singole contestazioni di reato e debba, invece, provvedere sulla complessiva richiesta del PM seguendo lo schema procedimentale imposto dal titolo di reato che fonda la deroga alla regola generale dell’interrogatorio preventivo.
Milita, in tal senso, la stessa ratio che accomuna le ipotesi di deviazione dallo schema ordinario e che è ravvisabile nella tutela della riservatezza delle
indagini e della conseguente necessità di preservare il meccanismo della adozione della misura “a sorpresa”, tale da scongiurare, ad esempio, la fuga o l’inquinamento delle prove che possano intervenire nelle more della acquisizione dell’interrogatorio preventivo una volta avvenuta, con la comunicazione dell’invito a presentarsi di cui al comma 1-sexies, con gli avvisi di cui al successivo comma 1-sexies e, soprattutto, con le facoltà di accesso agli esiti delle indagini di cui al comma 1-octies; la stessa esigenza è stata poi ravvisata dal legislatore per quanto concerne le categorie (nominata e innominata) di reati la cui obiettiva gravità ha consigliato di conservare il sistema della adozione della misura con posticipazione dell’interrogatorio di garanzia.
Ebbene, il sistema processuale conosce l’ipotesi della coesistenza di disposizioni che disciplinano in n – laniera differenziata alcuni momenti procedimentali o processuali in relazione a specifiche e differenti categorie di reato o di soggetti.
È sufficiente evocare quel complesso di norme sostanziali e processuali quello che è stato descritto come “diritto penale dell’emergenza”, costituito dal complesso di norme di natura sostanziale o processuale destinate specificamente a contrastare il fenomeno della criminalità organizzata ma che, ma mano, per volontà del legislatore, hanno visto estendere la loro operatività ben al di fuori di questo ambito, nel tentativo di fronteggiare aspetti della devianza sempre diversi ma accomunati, ad un certo punto, dalla “specialità” della disciplina che finisce per non essere più tale ma, in definitiva, ordinariamente coesistente con quella “generale”.
Come accennato, plurimi sono i casi in cui, confluendo, in un unico procedimento, più ipotesi di reato caratterizzate da una differente disciplina sia per il loro accertamento nel corso delle indagini preliminari che per la loro successiva verifica dibattimentale, si è ritenuto doversi applicare il principio della prevalenza della normativa riguardante il reato più grave (ovvero più allarmante dal punto di vista del legislatore).
Così, si è affermato che “in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni la valutazione del reato per il quale si procede, da cui dipende l’applicazione della disciplina ordinaria ovvero di quella speciale per la criminalità organizzata di cui al di. 13 maggio 1991, n. 151, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, va fatta in relazione all’indagine nel suo complesso e non con riguardo alla responsabilità di ciascun indagato” (cfr., Sez. 2, n. 31440 del 24/07/2020, GLYPH Galea, GLYPH Rv. 280062 GLYPH – GLYPH 01; GLYPH conf., Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017, COGNOME, Rv. 270565 – 01).
Per quanto riguarda, poi, la disciplina che soprintende allo svolgimento del processo in sede dibattimentale, si è sostenuto che la regola dettata dall’art. 190bis cod. proc. pen., secondo cui, nei procedimenti per i reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., la rinnovazione dell’assunzione della testimonianza è consentita solo qualora sia necessario sulla base di specifiche esigenze, si applica a tutti i reati oggetto del medesimo procedimento, anche se alcuni di essi siano diversi da quelli previsti dall’art. 51 cod. proc. pen. (cfr., così Sez. 6, n. 3609 del 03/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275880 – 01, nella cui motivazione la Corte ha precisato che l’art.190-bis cod. proc. pen. fa riferimento al procedimento e non ai singoli reati in esso trattati e che, inoltre, l’eventuale differenziazione del regime probatorio determinerebbe un irrazionale frazionamento della sequenza procedimentale, comportando l’applicazione di regimi diversificati a seconda dell’imputazione in relazione alla quale la prova viene assunta; conf., Sez. 1, n. 48710 del 14/06/2016, COGNOME, Rv. 268455; Sez. 6, n. 20810 del 12/05/2010, COGNOME, Rv. 247395).
Con specifico riferimento all’ambito delle misure cautelari, è inoltre pertinente il richiamo al disposto di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., laddove disciplina il meccanismo della “retrodatazione” nel caso di contestazioni “a catena” per reati connessi ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b) e c) limitatamente ai reati commessi per eseguirne altri, stabilisce che “i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o pubblicata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave” da ritenersi tale, come è stato chiarito, in astratto e non in relazione alla pena che fosse stata inflitta (cfr., in tal senso, Sez. 5, n. 35123 del 02/07/2014, COGNOME, Rv. 260487 – 01, secondo cui, nel caso di “contestazioni a catena”, per la individuazione della “imputazione più grave”, cui sono commisurati i termini di durata della custodia, ex art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., anche dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, deve farsi riferimento alla pena astrattamente prevista dalla legge per il reato per cui si procede e non a quella in concreto inflitta nella decisione di condanna non definitiva).
Significativa, perché fondata sulla stessa ratio che soprintende ai casi di deroga alla regola dell’interrogatorio preventivo, è la disciplina dettata in materia di proroga delle indagini per reati ricompresi nelle ipotesi di cui all’articolo 406 comma 5-bis del codice di procedura penale e per i quali non occorre la notifica della richiesta all’indagato né la fissazione dell’udienza camerale cori la conseguente instaurazione del contraddittorio, essendo consentito al GIP di decidere de plano.
Anche in tal caso, infatti, la peculiarità dei reati per i quali è stata prevista una deroga espressa alla disciplina generale, ha giustificato la valutazione del legislatore nel senso di far prevalere l’esigenza di segretezza/riservatezza delle indagini per delitti di particolare allarme sociale su quella di tutela delle prerogative difensive con l’instaurazione del contraddittorio garantito con l’avviso e l’eventuale successiva udienza camerale con conseguente necessario disvelamento dell’esistenza di un’indagine in corso.
Pacificamente, nel caso in cui un fascicolo sia iscritto per reati sottoposti alla speciale disciplina derogatoria da ultimo menzionata unitamente ad altri reati “comuni”, la disciplina “derogatoria” stabilita per i primi si applica per tutti i rea interessati cosicché non occorre la notifica della proroga per quelli “comuni”, prevalendo la disciplina dettata dalla legge speciale su quella generale ovvero, per meglio dire, applicandosi – per tutti – quella speciale e che attiene al procedimento e non già al singolo reato.
D’altra parte, e tornando al tema delle richieste di misura cautelare, va anche segnalato che la adozione di modelli procedimentali diversificati per i diversi reati per i quali sia stata formulata una richiesta unica ne impedirebbe una valutazione unitaria certamente essenziale se non altro ai fini della considerazione della loro complessiva gravità in relazione alle paventate e dedotte esigenze cautelari.
3.6 Altro profilo su cui occorre soffermarsi ma che, come già anticipato, è stato affrontato nella sentenza n. 5548 del 09/01/2025, COGNOME, di questa Sezione, è quello dei criteri di valutazione che il giudice deve adottare per decidere se procedere o meno all’interrogatorio preventivo dal momento che la disposizione di nuovo conio non chiarisce se, a tal fine, rilevi la richiesta di PM o se, invece, spetti al giudice valutare, sulla base degli atti di indagine trasmessi, quali esigenze cautelari siano effettivamente ravvisabili ovvero e se i fatti in relazione ai quali si configura il pericolo di recidiva specifica siano stati correttamente qualificati in termini tali da consentire di procedere all’adozione della misura senza previo interrogatorio.
Il comma 1 -quater dell’art. 291 cod. proc. pen. stabilisce che si proceda all’interrogatorio preventivo “salvo che sussista espressione che, ragionevolmente, va tuttavia intesa come equivalente a “salvo che il giudice ravvisi …” o “ritenga sussistenti …” taluna delle esigenze cautelari di cui alle lett. a) e ovvero il pericolo di reiterazione per le categorie “nominate” o “innominate” di reati ivi indicate.
Il tema, come accennato, è stato esaustivamente affrontato e risolto dalla sentenza “COGNOME” in coerenza con il principio, assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la domanda cautelare preclude al giudice la possibilità di mutare il fatto posto a fondamento della imputazione provvisoria ovvero di disporre misure più gravi di quelle richieste, ma non impedisce, anche in sede di impugnazione de libertate, di operarne una diversa qualificazione giuridica né di ravvisare gli indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari per ragioni diverse o ulteriori rispetto a quelle prospettate dall’organo di accusa (cfr., Sez. 1, n. 36255 del 30/06/2023, Adalil, non mass.; Sez. 1, n. 28525 del 08/9/2020, Signore, Rv. 279643-01; Sez. 3, n. 43731 dell’8/9/2016, COGNOME, Rv. 267935- 01; Sez. 3, n. 29966 del 1/4/2014, C., Rv. 260253-01; da ultimo, Sez. 2, n. 42438 del 06/11/2024, E., Rv. 287260 – 01, nella cui motivazione la Corte ha escluso che in sede cautelare sia applicabile il principio dettato dall’art. 521 cod. proc. pen., in quanto il giudice cautelare, una volta investito della domanda, è funzionalmente competente ad esercitare i più ampi poteri di valutazione degli indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, sicché non è illegittimo il suo provvedimento che, in mancanza di un’esigenza ma in presenza di altre, ne valorizzi in via autonoma la sussistenza).
Nel contempo, è stato ribadito che il riesame di una misura cautelare personale “… è un mezzo di impugnazione con effetto interamente devolutivo, preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare” sicché “il tribunale, pertanto, può annullare o riformare in senso favorevole all’imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell’atto di impugnazione, così come può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell’ordinanza cautelare” (cfr., ancora, la sentenza “COGNOME” con relativi riferimenti alla pure costante ed univoca giurisprudenza di questa Corte).
D’altro canto, è pacifico che il “principio della domanda” va inteso nel senso che il presupposto dell’adozione di misure cautelari è – esclusivamente – la richiesta del PM, la cui (sola) mancanza determina la nullità – reputata insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen. – del provvedimento (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 52540 del 17/10/2017, Teatro, Rv. 271251; Sez. 6, n. 33858 del 10/7/2008, COGNOME, Rv. 240799); il giudice investito della richiesta del PM non può mutare il fatto posto a fondamento della imputazione cautelare di disporre misure più gravi di quelle richieste, ma non impedisce, anche in sede di impugnazione, di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica né di ravvisare gli indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari per ragioni diverse o ulteriori rispetto a quelle prospettate dall’organo di
accusa (cfr., Sez. 1, n. 28525 dell’8/9/2020, Signore, Rv. 279643; Sez. 3, n. 43731 dell’8/9/2016, COGNOME e altro, Rv. 267935; Sez. 3, n. 29966 dell’1/4/2014, C., Rv. 260253).
Si è peraltro affermato che il principio della “domanda cautelare”, in base al quale il giudice procede solo su richiesta del pubblico ministero, così come non richiede che quest’ultima, oltre agli elementi su cui essa si fonda ed a quelli a favore dell’indagato, contenga anche l’indicazione dei “pericula” in relazione ai quali possano ravvisarsi le esigenze cauteiari, allo stesso modo non impedisce al giudice di valutare, a prescindere dagli specifici contenuti della richiesta, la sussistenza dei relativi presupposti, ivi comprese le esigenze cautelari (cfr., Sez. 2, n. 6325 del 21/11/2006, dep. 14/02/2007, Chaoui, Rv. 235826 – 01; cfr., tra le non massimate, Sez. 6, n. 51066 dei 3.10.2017, La Selva; Sez. 2, n. 53374 del 17.9.2014, Testa).
3.7 Né, sotto altro profilo, è possibile ritenere che il vaglio del giudice possa essere diversamente modulato in relazione, in una prima fase, ai fini della “scelta del rito” o del modulo procedimentale da seguire, rispetto ad una seconda fase riservata alla valutazione funditus dei gravi indizi e delle esigenze cautelari ai fini della adozione della misura.
Il collegio stima opportuno chiarire che, una volta ricevuti gli atti, il giudice è tenuto a svolgere una valutazione unitaria, ispirata ad un criterio uniforme, nel verificare la sussistenza di un adeguato compendio indiziario ovvero il ricorso di esigenze cautelari normativamente in grado di derogare alla regola generale dell’interrogatorio preventivo e, al contempo, di giustificare la adozione del provvedimento restrittivo della libertà personale.
Ne consegue, allora, che l’interrogatorio preventivo dovrà essere svolto quando il giudice, valutando il materiale investigativo trasmesso dal PM con la richiesta, e procedendo ad una prima valutazione, strumentale alla scelta del modulo procedimentale, ritenta insussistente il ricorso delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. a) e b), cod. proc. pen., ovvero che sussista il pericolo di commissione di reati non sussumibili, tuttavia, nel novero di quelli di cui all’art. 407, co.2, lett. a), o all’art. 362, comma 1-ter, ovvero, ancora, riconducibili nella categoria dei gravi delitti commessi con l’uso di armi o con altri mezzi di violenza personale; va tuttavia chiarito che tale valutazione non può evidentemente pregiudicare o condizionare quella destinata ad orientare la adozione del provvedimento finale che dovrà tener conto, come espressamente stabilito a pena di nullità dall’art. 292, comma 3-bis cod. proc. pen., proprio degli elementi forniti dall’indagato in sede di interrogatorio “preventivo”.
Tanto premesso, va ribadito che nel giudizio cautelare la sommarietà della valutazione attiene al novero degli elementi fondanti il giudizio di responsabilità/ascrivibilità del fatto (che non deve essere tale da superare ogni ragionevole dubbio) in termini, in tal caso, non già di certezza, ma di elevata probabilità; la sommarietà non attiene, invece, al tipo di verifica che, con riguardo a quel compendio indiziario, non può e non deve essere diverso da quello che deve investire le prove acquisite nel giudizio di merito (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 8948 del 10/11/2022, dep. 2023, Pino, Rv. 284262 – 01, in cui la Corte ha spiegato che gli indizi di colpevolezza non devono essere valutati secondo i medesimi criteri richiesti per il giudizio di merito, essendo sufficiente la sola gravità di essi, evidenziata da qualsiasi elemento idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità della responsabilità dell’indagato, e non anche la precisione e la concordanza).
Tanto premesso, e tornando al caso di specie, va rilevato che il GIP aveva escluso la necessità di procedere all’interrogatorio preventivo (per tutte le ipotesi di reato per le quali era stata avanzata la richiesta di adozione della misura cautelare) ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza dell’indagato in relazione al delitto di rapina impropria aggravata dall’uso dell’arma, nel caso di specie consistente in uno spray urticante utilizzato per minacciare l’addetto alla sicurezza dell’esercizio ESSELUNGA.
4.1 A fronte della contestazione difensiva, secondo cui il COGNOME si sarebbe limitato a riferire che il ricorrente impugnava “… qualcosa che sembrava uno spray …” e lo minacciava dicendo che avrebbe usato un coltello, il Tribunale ha affermato che “… la contestazione provvisoria di cui al capo 7) nei termini di rapina impropria aggravata dall’uso dell’arma non è avulsa dalle emergenze di indagine, ma aderisce, in termini ovviamente di ipotesi, a quanto dichiarato dall’addetto alla sicurezza in sede di denuncia”.
In particolare, i giudici del riesame hanno respinto l’eccezione di nullità della misura cautelare sollevata dalla difesa ai sensi dell’art. 292, comma 3-bis cod. proc. pen. sostenendo che “… quanto contestato dalla difesa – vale a dire la sussistenza della circostanza aggravante prevista dall’art. 628, comma 3, c.p.p. richiamato dall’art. 407, c. 2 lett. a) n. 2, c.p.p. in relazione all’obbligatorie dell’interrogatorio preventivo – attiene alla sfera del merito della vicenda e, quindi, risultano corrette le motivazioni addotte dal giudice gravato nel corso dell’udienza”.
Hanno spiegato che “… sarà oggetto di approfondimento nella naturale sede dibattimentale la valutazione della sussistenza di tale circostanza non potendosi pretendere dal giudice della cautela, in sede di interrogatorio di garanzia,
l’approfondimento nel merito, doveroso essendo esclusivamente un controllo formale fra le prime risultanze investigative e la ipotesi accusatoria come formulata”.
4.2 Il provvedimento impugnato è errato sotto diversi profili.
E’ necessario in primo luogo puntualizzare che la bomboletta contenente spray urticante è considerato “arma”, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge 110 del 1975, nel caso in cui le particolari circostanze di tempo e di luogo della detenzione depongano per la destinazione della “res” a finalità univocamente illecita e del tutto incompatibile con quella di autodifesa, per la quale ne è consentito il porto in luogo pubblico (cfr., così, Sez. 2, n. 14608 del 14/03/2023, COGNOME, Rv. 284404 – 01, in cui la Corte ha precisato che solo in presenza delle caratteristiche di offensività stabilite dal combinato disposto degli artt. 2, comma 3, legge n. 110 del 1975 e 1 d.m. n. 203 del 2011, da accertare in giudizio, la detenzione di dette bombolette configura la contravvenzione di porto abusivo di armi, di cui all’art. 699 cod. pen.; cfr., anche, Sez. 6, n. 30140 del 07/07/2021, COGNOME, Rv. 281833 – 01; Sez. 1, n. 15083 del 10/02/2021, D’Italia, Rv. 280903 – 01).
Nei caso di specie, è lo stesso Tribunale a far presente, richiamando le dichiarazioni della persona offesa già evocate nell’ordinanza genetica, che il Caroilo si era limitato a segnalare che l’indagato aveva in mano “… qualcosa che sembrava uno spray …” ma che, invero, nessun riscontro è stato acquisito sul punto, né sulla reaie natura dell’oggetto né, tantomeno, sulla tipologia dello spray (se tale effettivamente di questo si era trattato).
Ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’arma, pur non essendo indispensabile che l’arma sia addirittura impugnata per minacciare è necessario che il reo sia palesemente armato, ovvero che l’arma che essa sia portata in modo da poter intimidire, cioè in modo da lasciare ragionevolmente prevedere e temere un suo impiego quale mezzo di violenza o minaccia per costringere il soggetto passivo a subire quanto intimatogli (cfr., Sez. 2, n. 25902 del 24/06/2008, COGNOME, Rv. 240632 – 01, resa in una fattispecie in materia di estorsione).
Per contro, si è chiarito che la semplice simulazione della disponibilità di un’arma non integra l’aggravante di cui all’art. 628, comma secondo, n. 3), cod. pen. (cfr., in questi termini, Sez. 2, n. 4160 del 16/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274898 – 02, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva ritenuto l’aggravante per il solo fatto che le vittime avevano riferito di essersi sentite pungere alla schiena da “qualcosa che sembrava un oggetto acuminato”,
che non avevano visto e che non era stato successivamente rinvenuto; conf., Sez. 2, n. 32427 del 23/06/2010, COGNOME, Rv. 248358 – 01).
Ebbene, i giudici del merito cautelare non hanno potuto superare la obiezione difensiva secondo cui la disponibilità di uno spray (urticante ?) da parte dell’odierno ricorrente non fosse stato nel caso di specie altro che il frutto di una soggettiva impressione della persona offesa; tanto più che la minaccia riferita dal COGNOME come profferita dal COGNOME era stata nel senso di ventilare l’uso di un coltello (la cui disponibilità, da parte dell’indagato, non era stata nemmeno “intuita” dalla stessa persona offesa).
Poiché l’effettivo ricorso dell’aggravante dell’uso dell’arma aveva fondato la scelta procedimentale del GUP di “bypassare” l’interrogatorio preventivo, consegue che l’erroneità di tale diagnosi – in quanto operata in violazione dei principi sopra richiamati in tema di valutazione degli indizi di colpevolezza comporta la nullità del provvedimento genetico ai sensi del pure richiamato comma 3-bis dell’art. 292 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio arribunale di Brescia, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, 18/02/2025