Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27818 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27818 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a San Giorgio a Cremano il 15/5/1979
avverso l’ordinanza del 26/3/2025 del Tribunale di Napoli
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 26 marzo 2025 il Tribunale di Napoli ha confermato il provvedimento emesso il 12 febbraio 2025 dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, con cui a NOME COGNOME è stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari, per avere partecipato a un’associazione per delinquere, finalizzata alla commissione di plurimi reati contro la Pubblica amministrazione e la fede pubblica, e per aver concorso nella consumazione dei
reati fine di cui ai capi 135), 136), 197), 198), 317) e 318), avendo ottenuto , false certificazioni necroscopiche in favore dell’Agenzia funebre “RAGIONE_SOCIALE NOME e NOME COGNOME“, in cambio del pagamento di somme di denaro.
Avverso l’ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione di legge, per omessa autonoma valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi, posti a fondamento della misura disposta. Il menzionato Giudice avrebbe solo apportato delle modifiche formali al testo già predisposto dal Pubblico ministero, anteponendo alle affermazioni di quest’ultimo frasi del tipo “il G.I.P. rileva che”, “il G.I.P. ritiene che” e, dunque, mere considerazioni di stile.
2.2. Violazione di legge per l’omesso interrogatorio preventivo ex art. 291, comma 1, cod. proc. pen., che non troverebbe altrimenti giustificazione in assenza del pericolo di inquinamento probatorio di cui all’art. 274, lettera a), cod. proc. pen.
2.3. Mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di partecipazione ad associazione per delinquere. Non sarebbero emersi contatti del ricorrente con altri sodali e partecipazioni a incontri, finalizzati a delineare una strategia corruttiva. Inoltr le imprese di pompe funebri si sarebbero adeguate a un modus operandi organizzato dai sanitari, coinvolti nelle indagini, subendo una vera e propria concussione ambientale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato, in quanto i motivi, in esso formulati, sono ne complesso infondati.
Il primo motivo, con cui è stata dedotta la mancata autonoma valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari, è, in parte, privo di specificità in parte, manifestamente infondato.
Va osservato, innanzitutto, che questa Corte ha già avuto modo di precisare (ex multis: Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Firozpoor, Rv. 277496 – 01; Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, COGNOME, Rv. 274760 – 01) che, in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti “de libertate”, il ricorrente per cassazione, che denunci la nullità dell’ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, ha l’onere di indicare gli
aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario, di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate.
Nel caso in esame, siffatto onere non è stato assolto dal ricorrente, che si è limitato a dedurre che il Giudice per le indagini preliminari aveva operato un mero rinvio alla richiesta di misura cautelare.
Fermo restando tale decisivo rilievo, può aggiungersi che è stato già osservato da questa Corte (Sez. 3, n. 35296 del 14/04/2016, P.M. in proc. Elezi, Rv. 268113 – 01; Sez. 5, n. 11922 del 2/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266428 – 01; Sez. 6, n. 40978 del 15/09/2015, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 264657 – 01) che le modifiche introdotte negli artt. 292 e 309 cod. proc. pen. dalla legge n. 47 del 16 aprile 2015 non hanno carattere innovativo, essendo stata solo esplicitata la necessità che, dall’ordinanza, emerga l’effettiva valutazione della vicenda da parte del giudicante. Con le anzidette modifiche, infatti, il legislatore ha avallato l’interpretazione secondo la quale provvedimento cautelare, oltre ad avere il necessario contenuto “informativo”, deve dimostrare l’effettiva valutazione da parte del giudicante e, quindi, il reale esercizio della giurisdizione.
Si è anche precisato che la prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell’art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., come modificato dalla legge cit., è osservata anche quando il giudice ripercorra, motivando “per relationem”, gli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati dalla richiesta del pubblico ministero, purché dia conto del proprio esame critico degli anzidetti elementi e delle ragioni per cui egli li ritenga idonei a supportare l’applicazione della misura (Sez. 6, n. 30774 del 20/06/2018, P.M. in proc. Vizzì, Rv. 273658 01).
Nel caso in esame, come rilevato nell’ordinanza impugnata, il Giudice per le indagini preliminari ha richiamato la richiesta del Pubblico ministero, ma ha effettuato un vaglio critico degli elementi emersi, come reso evidente dal fatto che ha distinto le misure da applicare in relazione ai diversi indagati, tenuto conto delle recidive, e ha rigettato la mozione cautelare per i soggetti a cui non erano contestati fatti associativi, ad eccezione di NOME COGNOME la cui qualifica di medico è stata valorizzata in senso negativo.
La doglianza del ricorrente trova smentita, quindi, alla luce dell’esame del provvedimento applicativo della misura cautelare, da cui emerge che il Giudice della cautela ha operato un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenut decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini
dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto.
3. Il secondo motivo è infondato.
3.1. La legge 9 agosto 2024 n. 114, entrata in vigore il successivo 25 agosto, ha modificato l’art. 291 cod. proc. pen., che disciplina il procedimento applicativo delle misure cautelari, introducendo la disposizione di cui all’art. 291, comma 1-quater, secondo la quale «Fermo il disposto dell’articolo 289, comma 2, secondo periodo, prima di disporre la misura, il giudice procede all’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini preliminari con le modalità indicate agli articoli 64 e 65, salvo che sussista taluna delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274, comma 1, lettere a) e b), oppure l’esigenza cautelare di cui all’articolo 274, comma 1, lettera c), in relazione ad uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a), o all’articolo 362, comma Iter, ovvero a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza».
L’obiettivo perseguito dall’interpolazione normativa è quello di assicurare un confronto preventivo e di permettere alla difesa di veicolare in modo effettivo al giudice, anteriormente all’applicazione della misura cautelare, argomenti a sostegno dell’innocenza o, comunque, dell’insussistenza dei presupposti per l’adozione della misura, senza doversi affidare all’onere del pubblico ministero (ex artt. 358 e 291 cod. proc. pen.) o all’iniziativa del deposito preventivo contemplato dall’art. 391-octies cod. proc. pen. Inoltre, come sottolineato in dottrina, «non può negarsi che un reale contraddittorio anticipato è una via ragionevole per rafforzare l’imparzialità e la terzietà del giudice per le indagini preliminari» e per «innalzare lo standard di garanzia negli interventi restrittiv cautela ri».
L’obbligo di procedere ad interrogatorio preventivo – presidiato dalla previsione di nullità dell’ordinanza cautelare che non sia stata preceduta dal compimento di esso, contenuta nel nuovo art. 292, comma 3-bis, cod. proc. pen. – è circoscritto ai casi in cui non ricorra una esigenza cautelare di carattere ostativo, essendo state considerate tali innanzitutto quelle di cui all’art. 274 comma 1, lett. a) e b), cod. proc. pen. Pertanto, allorché sussistano il “pericolo di inquinamento della prova” (art. 274, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.) oppure il “pericolo di fuga” (art. 274, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.), i procedimento applicativo della misura cautelare è quello originariamente previsto, che non ammette alcuna forma di coinvolgimento della persona sottoposta alle indagini, posticipato, invece, alla fase successiva all’esecuzione e attuato mediante l’interrogatorio di garanzia ex art. 294 cod. proc. pen.
Inoltre, il legislatore ha attribuito carattere ostativo alla “sussistenz dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., soltanto, però, se essa emerge “in relazione” a uno dei delitti indicati nell’art 407, comma 2, lett. a), o all’art. 362, comma 1-ter, cod. proc. pen., ovvero a gravi delitti commessi con l’uso di armi o con altri mezzi di violenza personale. Si tratta, nel primo caso, di ipotesi alle quali si correla la presunzione di complessità delle indagini preliminari che implica l’estensione del relativo termine di durata, oltre che, in gran parte dei casi, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.; nel secondo caso, di ipotesi di reato la cui prospettazione impone un intervento sollecito a tutela di esigenze ritenute primarie, conformemente all’impostazione complessiva della legge 19 luglio 2019, n. 69 (c.d. “Codice rosso”) e, sulla base delle integrazioni apportate dalla legge 27 luglio 2001, n. 134, un vincolo temporale all’assunzione di sommarie informazioni da persone determinate.
L’interrogatorio preventivo presuppone l’adempimento di un dovere informativo che, ai sensi dell’art. 291, comma 1-sexies, cod. proc. pen., viene configurato attraverso la previsione di un obbligo di comunicazione al pubblico ministero e di notificazione all’indagato ed al suo difensore di un atto, l’avviso d presentazione per rendere l’interrogatorio.
Alla facoltatività della sottoposizione all’interrogatorio preventivo s contrappone, per l’evenienza in cui esso abbia luogo, l’obbligo di documentazione integrale secondo le modalità previste dall’art. 141-bis cod. proc. pen. per l’ipotesi di interrogatorio della persona in stato di detenzione. Le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio preventivo, il cui compimento fa venire meno l’obbligo di procedere all’interrogatorio di garanzia, costituiscono elementi che devono, a pena di nullità dell’ordinanza cautelare, essere oggetto di specifica valutazione da parte del giudice e la relativa documentazione deve essere, secondo quanto previsto dal nuovo art. 309, comma 5, cod. proc. pen., necessariamente (“in ogni caso”) trasmessa al tribunale del riesame.
Come già detto, ai sensi dell’art. 292, comma 3-bis, cod. proc. pen., «l’ordinanza è nulla se non è preceduta dall’interrogatorio nei casi previsti dall’art. 291, comma 1-quater, nonché quando l’interrogatorio è nullo per violazione delle disposizioni di cui ai commi 1-septies e 1-octies del medesimo articolo».
3.2. L’espressa previsione della nullità, come è noto, è una sanzione correlata a un vizio strutturale dell’atto e ben può dirsi, dunque, che l’omissione dell’interrogatorio dia luogo a un vizio genetico del titolo cautelare.
La norma di nuovo conio, al contrario della disciplina dell’interrogatorio di garanzia posticipato ex art. 294 cod. proc. pen., delinea un’architettura
procedimentale che postula come prerequisito per l’emissione della misura personale l’interlocuzione preventiva con il suo destinatario, salve le pur ampie deroghe previste. Il contatto anticipato tra il giudice e il (potenziale) destinatar del provvedimento restrittivo costituisce un elemento fondante, e non solo cronologicamente antecedente, dell’esercizio del potere cautelare e la sua omissione arreca un vulnus all’esercizio delle prerogative difensive, poiché priva l’indagato del diritto di esporre quanto ritenuto a sua difesa.
Non viene in rilievo, come nel distinto schema di cui agli artt. 302 e 306 cod. proc. pen., una causa di inefficacia della misura, sopravvenuta rispetto all’emissione e all’applicazione del vincolo cautelare ed operante sul diverso piano della persistenza della misura stessa, ma l’accertata inesistenza originaria di un presupposto fisiologicamente legittimante il titolo cautelare.
3.3. Poiché il mancato interrogatorio preventivo rende configurabile un vizio che incide sulla validità dell’ordinanza genetica e sulla legittimità del potere coercitivo esercitato dal giudice, ne discende che il giudice del riesame non può esercitare il potere integrativo e sanante, pure previsto dall’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., che non può essere svolto, invece, quando l’ordinanza emessa sia inficiata da un vizio genetico.
L’omesso interrogatorio compromette le garanzie difensive dell’indagato e, come già affermato da questa Corte, ammettere, in tale caso, il potere integrativo del Tribunale significherebbe attribuire efficacia sanante della nullità non alla scelta della “parte”, indagato o difensore, cui è rimessa l’eccezione di nullità, ma al giudice (così Sez. 6, n. 17916 del 20/03/2025, Luciano, Rv. 288037 – 01).
Quanto ai poteri del Tribunale del riesame nel caso in cui l’ordinanza genetica sia stata emessa senza procedere all’interrogatorio preventivo, si è anche affermato (Sez. 2, n. 9113 del 9/01/2025, COGNOME non mass.; Sez. 6, n. 17916/2025 cit.) che «il pericolo di fuga ovvero il pericolo di inquinamento di prove che consentono al giudice di disporre la misura cautelare senza procedere all’interrogatorio preventivo previsto dall’art. 291, comma 1-quater, cod. proc. pen. devono sussistere oggettivamente, così che la sua mancanza, rilevata o ritenuta dal giudice dell’impugnazione, provoca l’annullamento dell’ordinanza dispositiva emessa sulla base di tali esigenze cautelari erroneamente ritenute dal giudice del provvedimento genetico».
L’interrogatorio preventivo, infatti, costituisce presupposto oggettivo per l’emissione della misura, derogabile solo in presenza della “sussistenza” – e, quindi, della realtà oggettiva – dei casi che limitano la natura generale della disposizione che lo ha introdotto.
3.4. La sussunzione dell’interrogatorio preventivo nel procedimento di applicazione dell’ordinanza, quale parte integrante dell’esercizio del potere dispositivo del giudice, rende configurabile, nel caso in cui sia stato omesso, la violazione delle prescrizioni di cui all’art. 291, comma 1-quater, cit. e, incidendo sulla sfera di operatività dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., che rigua l’intervento dell’indagato, concretizza una nullità che deve essere qualificata come a regime intermedio e che va fatta valere con la richiesta di riesame (v. Sez. 6, n. 17916/2025 cit.).
La mancata effettuazione dell’interrogatorio preventivo dà luogo ad una nullità diversa da quella dell’omesso interrogatorio di garanzia, che inficia la efficacia dell’ordinanza e che, secondo la giurisprudenza, non può neppure essere dedotta in sede di riesame (ex multis, Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202 – 01), nonché dai casi in cui, per violazione dei termini dell’invito a presentarsi o delle modalità dell’interrogatorio, si sia in presenz della violazione delle disposizioni recate dai commi 1-septies e 1-octies del medesimo articolo.
Già con riferimento all’interrogatorio dell’indagato, previsto dall’art. 289 cod. proc. pen., questa Corte aveva inquadrato il mancato espletamento dell’interrogatorio in un caso di nullità di ordine generale a regime c.d. intermedio, riconducibile all’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 4621 del 6/11/2009, COGNOME, Rv. 245539 – 01).
Tale nullità è soggetta, quale nullità generale, ai termini di rilevabilità di c all’art. 180 cod. proc. pen.
Quanto alle regole di deducibilità e di preclusione di cui all’art. 182 cod. proc. pen., le stesse devono essere valutate alla luce della peculiarità dello schema procedimentale: il comma 2 presuppone, infatti, che all’atto assista la parte, ciò che non è ravvisabile con riguardo all’adozione di un atto a sorpresa, quale l’ordinanza applicativa di misura cautelare non preceduta da interrogatorio.
Per giunta, l’assistenza della parte va correlata alla possibilità di immediato esercizio delle facoltà difensive e, dunque, all’effettiva presenza della parte tecnicamente assistita da un difensore (sul punto Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, Bianchi, Rv. 263024 -01, che ha precisato, inoltre, che «nel caso in cui la nullità dell’atto derivi da un mancato avviso di una garanzia difensiva, alla cui conoscenza l’avviso stesso è preordinato, la sua deducibilità, da parte dell’indagato o dell’imputato che vi abbia assistito, non è soggetta ai limit previsti dall’art. 182 comma secondo, cod. proc. pen.»: Rv. 263026 – 01).
Non diverse indicazioni si traggono dalle pronunce aventi ad oggetto peculiari ipotesi di nullità a regime intermedio, correlate alla mancata notifica dell’avviso di udienza al secondo difensore o a vizi della notifica (Sez. U, n.
39060 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244188 – 01; Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, COGNOME, Rv. 229504 – 01): in tali casi, infatti, si presuppone comunque che il vizio si consolidi alla presenza di una parte assistita, al momento della verifica della sua regolare costituzione, situazione non riproducibile nel caso dell’ordinanza applicativa di misura cautelare e della sua esecuzione.
In tale prospettiva non è necessario individuare uno specifico atto, cui correlare un effetto preclusivo, ma è sufficiente aver riguardo alle fasi procedimentali volte alla verifica della legittimità del titolo genetico, superate quali la questione della nullità dovrebbe ritenersi preclusa, con definitivo consolidamento della validità di quel titolo.
Questa Corte (Sez. 6, n. 17916/2025 cit.) ha già affermato che, vertendosi, invero, non in materia di inefficacia della misura, ma di invalidità del provvedimento cautelare, non sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 306 e 310 cod. proc. pen. e il mezzo tipico di deduzione della nullità è rappresentato dalla richiesta di riesame, che costituisce il rimedio preordinato alla verifica de presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare, consentendo all’indagato di ottenere un pieno controllo giurisdizionale sulla legittimità de provvedimento e, quindi, la verifica ex post della sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla legge per l’applicazione della misura, costituiti non solo dai gravi indizi e dalle esigenze cautelari ma anche dalla necessità (o meno) dell’interrogatorio preventivo. Non rileva a pena di decadenza, trattandosi di vizio genetico del titolo, la mancata deduzione della nullità nel corso dell’interrogatorio di garanzia, a prescindere dalle sue modalità e, cioè, sia nel caso in cui l’indagato abbia accettato il contraddittorio, rispondendo alle domande ed esponendo quanto ritenuto utile alla sua difesa, sia nel caso in cui si sia avvalso del diritto al silenzio. L’interrogatorio preventivo non è, infat surrogabile e l’indagato ha interesse, a prescindere dal concreto iter processuale, all’osservanza della disposizione che è parte integrante del potere coercitivo del giudice. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tutto ciò significa non che la questione non possa essere fin da quel momento dedotta, ma solo che la mancata formulazione di un’eccezione di nullità in quella sede non possa assumere rilievo preclusivo.
3.5. Siffatta opzione ermeneutica va preferita all’altra adottata da questa Corte (v. notizia di decisione della Sez. 2, udienza del 12 giugno 2025, relativa ai ricorsi n. 12215/2025, 12223/2025, 12246/2025, 12265/2025) secondo cui l’omissione del previo interrogatorio nei casi in cui esso sia dovuto integra una nullità a regime intermedio, che non può essere rilevata di ufficio dal tribunale del riesame nel caso 10 .cui non sia stata eccepita dall’interessato in sede di interrogatorio postumo di garanzia, nelle more svolto.
Non pare superfluo ricordare, al riguardo, che l’intervento normativo del 2024 ha lasciato integro (tra gli altri, e per quel che nella specie più direttamente interessa), in tema di riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva, l’assetto normativo delineato dall’art. 309 cod. proc. pen., che, come noto, al comma 9 dispone che il tribunale, se non deve dichiarare l’inammissibilità della richiesta, annulla, riforma e conferma l’ordinanza oggetto del riesame, decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza. Il tribunale può sia annullare il provvedimento impugnato, sia riformarlo in senso favorevole all’imputato, anche per motivi diversi da quelli enunciati, ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso. Inoltre, il Tribunale del riesame ha il potere/dovere di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato, salvo il caso di ordinanza che si sia limitata ad una sterile rassegna delle fonti di prova a carico dell’indagato e che manchi totalmente di qualsiasi riferimento contenutistico e di enucleazione degli specifici elementi reputati indizianti (Sez. 3, n. 3038 del 14/11/2023, dep. 2024, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 285747 – 01; Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272596 – 01; Sez. 6, n. 25631 del 24/05/2012, COGNOME, Rv. 254161 – 01).
Con l’unico limite del divieto di reformatio in peius, il tribunale, in sede di riesame, ha, quindi, la stessa cognizione piena del giudice che ha emesso la misura restrittiva.
Tale assetto è stato costantemente e uniformemente interpretato dalla giurisprudenza nel senso del controllo demandato al giudice del riesame sulla sussistenza degli elementi giustificativi della misura cautelare imposta. Il riesame è diretto al controllo dei presupposti formali e sostanziali della misura cautelare e con esso, quindi, sono deducibili e rilevabili d’ufficio i vizi genetici d provvedimento coercitivo (così, tra le altre, Sez. 3, n. 37608 del 9/6/2021, COGNOME, Rv. 282023 – 01).
Deve, infatti, ricordarsi che le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di rilevare che, a seguito delle novelle normative intervenute sull’originario quadro disegnato dal codice di rito, «il riesame ha assunto la funzione di strumento di controllo a garanzia della libertà personale nella dialettica tra le parti, attraverso un’effettiva e tempestiva verifica giudiziale, con l’attua discovery degli elementi a sostegno della richiesta cautelare. Da mezzo di difesa per costringere il P.M. a scoprire la sua strategia accusatoria, il riesame si è connotato, secondo l’evoluzione giurisprudenziale, di una logica di tipo sostanziale che consentisse la polarizzazione del controllo del tribunale sulla valutazione degli indizi, operata dal giudice cautelare, attraverso la trasmissione dei dati dai quali potessero desumersi gli elementi di colpevolezza, le esigenze
cautelari e l’adeguatezza della misura prescelta» (Sez. U, n. 19853 del 27/03/2002, P.M. in proc. NOME COGNOME Rv. 221393 – 01).
Alla luce di quanto precede, spettando al tribunale il controllo sui vizi genetici del titolo cautelare, deve ritenersi che a tale organo vada rimessa la verifica sulla sussistenza di un elemento costitutivo dell’ordinanza impositiva della misura cautelare, qual è, sulla base delle ragioni innanzi esposte, la presenza dell’interrogatorio o di una causa che ne consente la mancata effettuazione.
Tale verifica, come si è rilevato, non può essere preclusa dalla mancata proposizione dell’eccezione di nullità dinanzi al giudice che effettua l’interrogatorio di garanzia.
Manca una espressa previsione in questo senso e, del resto, tale giudice, come disposto dall’art. 294 cod. proc. pen., accerta la permanenza delle condizioni legittimanti l’applicabilità della misura e le esigenze cautelari previste dagli artt. 273, 274 e 275 cit., così che il suo sindacato non necessariamente investe i vizi genetici del titolo cautelare, ma si focalizza sulla persistenz dell’efficacia del titolo cautelare alla luce delle dichiarazioni rese dall’interrogato
Può aggiungersi che, soprattutto in casi peculiari, pur considerando che all’interrogatorio di garanzia partecipa il difensore dell’indagato o dell’imputato, tempi di svolgimento dello stesso, rispetto all’adozione della misura cautelare, sono ristrettissimi, così che, onerando la difesa della proposizione in quella sede dell’eccezione di nullità per la mancata effettuazione dell’interrogatorio preventivo – che può implicare l’esame puntuale del tema della sussistenza o meno delle condizioni che rendono obbligatorio tale incombente e l’indicazione di elementi utili a conforto della propria prospettazione – potrebbero sorgere dubbi sull’effettiva possibilità per l’indagato di svolgere appieno la sua difesa, salvo che non si debba optare per una eccezione sollevata al solo fine di non vedersi precludere la riproposizione dinanzi al Tribunale del riesame.
Circostanza, questa, che stride con il diritto a esercitare in modo consapevole ed effettivo la propria difesa.
In definitiva, non possono trarsi elementi significativi dalla causa di preclusione prevista dall’art. 182 cod. proc. pen., venendo invece in rilievo il diverso tema del consolidamento della misura, a fronte di vizi genetici, che può discendere solo dal passaggio procedinnentale deputato a quella verifica, costituito dal giudizio di riesame.
La reiezione definitiva dell’eccezione o la mancata proposizione della relativa istanza vale a rendere non più deducibile il vizio in esame, non diversamente da quanto affermato con riguardo alla nullità discendente dalla mancanza di
autonoma valutazione (Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, COGNOME, Rv. 282460 – 01).
A conforto di tale epilogo, ossia della possibilità (e dell’onere) di sollevar direttamente l’eccezione di nullità dinanzi al tribunale del riesame, è utile ricordare, ad es., che l’art. 309 cod. proc. pen. dispone che «il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa».
In tale ipotesi, connotata dalla sussistenza di un vizio genetico del titolo cautelare, non si è prospettata la necessità di investire della questione il giudice che svolge l’interrogatorio di garanzia prima di adire il tribunale.
A riscontro di siffatta analisi può invocarsi quanto rilevato dalle Sezioni Unite con riguardo al vizio rappresentato dalla mancata traduzione del titolo cautelare in lingua conosciuta dall’indagato. Nel condividere l’orientamento giurisprudenziale secondo cui le ipotesi di mancata o tardiva traduzione dei provvedimenti che dispongono una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero, che non conosce la lingua italiana, concretizzano un vizio dell’atto (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286356 01), le Sezioni Unite hanno, in particolare, affermato che, nel caso in cui la mancata conoscenza della lingua italiana da parte del cittadino straniero emerga già prima dell’emissione del provvedimento che disponga una misura cautelare personale, quest’ultima deve ritenersi adottata, ove la traduzione non sia eseguita in termini congrui, così come previsto dall’art. 143, comma 2, cod. proc. pen., in assenza di uno dei suoi elementi costitutivi, rappresentato dalla comprensione da parte del cittadino straniero delle ragioni che giustificano la privazione della sua libertà. Da questo inquadramento si è tratta la conclusione che il vizio derivante dalla mancata traduzione dell’ordinanza cautelare, laddove la circostanza che l’arrestato non conosce la lingua italiana emerga prima dell’adozione del provvedimento, non può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità, riguardando un’ipotesi di nullità che, in quanto, appunto, generale a regime intermedio, deve «essere eccepita con l’impugnazione dell’ordinanza applicativa dinanzi al tribunale del riesame, restando altrimenti preclusa la sua deducibilità e la sua rilevabilità». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Va aggiunto che l’opzione ermeneutica prescelta consente di tenere conto che l’incidenza diretta delle misure cautelari sulla libertà personale, da cui traggono origine le garanzie previste dell’art. 24, secondo comma, Cost., e 6, par. 3, lett. a), CEDU, impone di riconoscere la massima forza espansiva al diritto di difesa dell’indagato, assicurandogli di potere far valere il vizio dinanzi Tribunale senza il rischio di incorrere in preclusioni processuali.
3.6. Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso in esame, va innanzitutto rilevato che è errata l’affermazione del Tribunale relativa alla tardività dell’eccezione di nullità per la mancata effettuazione dell’interrogatorio preventivo. Secondo il Tribunale, in applicazione dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., la difesa avrebbe dovuto eccepire la nullità immediatamente dopo il suo compimento e cioè in sede di interrogatorio di garanzia, sostenuto dopo l’esecuzione della misura cautelare. Non avendolo fatto, l’indicata nullità, pur se ritenuta astrattamente esistente, deve ritenersi sanata dalla mancata tempestiva eccezione.
Ad ogni modo, tale errore non ha avuto incidenza decisiva, atteso che il Tribunale ha rimarcato che, nella vicenda in scrutinio, vi era il pericolo di inquinamento delle prove, correttamente evidenziato dal Giudice per le indagini preliminari.
In particolare, il Tribunale – sulla base delle circostanze e degli episodi elencati a pagina 2 del provvedimento impugnato (tra cui la manomissione della telecamera marca tempo, al fine di occultare o rendere più difficoltoso l’accertamento della presenza in servizio dei medici della Asl di INDIRIZZO, sui quali si stava indagando; l’avere il dott. NOME COGNOME mostrato a un titolare d una impresa funebre la copia della proroga delle indagini, emessa nei suoi confronti, della dott.ssa NOME COGNOME e di NOME COGNOME e l’avere i due, commentando l’accaduto, deciso di prendere contromisure per evitare di essere intercettati e proseguire indisturbati nell’attività illecita; la disponi dell’ordine di esibizione di documentazione necroscopica, emesso dalla Procura della Repubblica di Napoli) – ha affermato che la deduzione del Giudice per le indagini preliminari, secondo la quale lo svolgimento degli interrogatori avrebbe facilitato l’ulteriore proliferazione di tentativi di depistaggio, inquinamen probatorio di possibili testimoni e fonti di prova, distruzione di documenti, creazione di specifiche pezze di appoggio falsamente giustificative degli illeciti commessi, e quant’altro mirante ad ostacolare l’accertamento investigativo, era non solo corretta ma anche concreta in relazione non solo agli individui che avevano commesso atti illeciti con tali finalità, ma anche nei confronti di tutti soggetti indiziati di aderire al sodalizio organizzato, tra i quali anche l’odiern ricorrente.
Trattasi di rilievi che consentono di ritenere sussistente una causa ostativa all’effettuazione dell’interrogatorio preventivo, con la conseguenza che il potere del giudice della cautela è stato legittimamente esercitato, pur in difetto dell’interrogatorio preventivo.
Il terzo motivo non rientra tra quelli consentiti.
In definitiva, secondo il Tribunale, dalle indagini erano emersi numerosi elementi sintomatici dell’esistenza di un vincolo di natura associativa tra i vari indagati, stabile e duraturo nel tempo (la presenza di numerosi associati, identificati nel corso delle indagini, l’invariabilità del /ocus commissi delicti, l’adozione di un preciso modus operandi nella realizzazione delle condotte criminose, che si concretizzavano sempre con le stesse modalità, la durata della condotta illecita, una ripartizione dei compiti ben definita e predeterminata tra i diversi indagati, con integrazione e alternanza dei ruoli).
4.1. Quanto alla partecipazione del ricorrente, il Collegio del riesame ha ricordato le occasioni in cui il medesimo si era recato presso i medici e aveva ottenuto falsi certificati in cambio di elargizioni di denaro. Le immagini allegate agli atti lo mostravano, infatti, mentre partecipava attivamente alla realizzazione
dell’attività illecita, erogando all’occorrenza denaro in base alla tariffa prevista, i cambio della certificazione necroscopica richiesta.
Secondo il Tribunale, quindi, la sua ripetuta presenza negli uffici, l’interazione con gli altri indagati, la profonda conoscenza del meccanismo illecito e il fatto che riceveva direttamente certificati falsi sono tutti elementi indicati del fatto che agiva con piena consapevolezza e continuità nell’ambito di una prassi consolidata. Egli non era mero fruitore inconsapevole del sistema, alieno dagli schemi consolidati dell’agire delinquenziale, bensì stabile partecipe che, avendo aderito al pactum sceleds, costantemente sfruttava a suo vantaggio il circuito di corruzione e falsificazione per agevolare l’attività dell’impresa funebre, di cui era referente, garantendo alle famiglie dei defunti una più celere e scorrevole procedura funeraria, provvedendo poi a ricompensare i medici con indebite elargizioni di denaro, prefissate da apposite tariffe, scaricandone poi il costo sul committente delle esequie.
A fronte di siffatte argomentazioni giova ricordare che, come affermato dalla sentenza delle Sezioni unite di questa Corte n. 36958 del 27 maggio 2021 (COGNOME, Rv. 281889 – 01), sulla scia della precedente sentenza sempre del Massimo Consesso n. 33748 del 12 luglio 2005 (Mannino, Rv. 231670 – 01), la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza non per l’assunzione di uno status, ma per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio, per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
Al fine della valutazione dell’appartenenza, assume, quindi, assoluta decisività la possibilità di attribuire al soggetto la realizzazione di un qualsivogli “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva. Come hanno sottolineato le Sezioni Unite nel 2021, è evidente che la verifica centrale per la configurabilità di una condotta di partecipazione mafiosa si muove sul piano probatorio: è solo sulla scorta delle evidenze disponibili che sarà possibile valutare se, per le caratteristiche assunte dal caso concreto, la compenetrazione nel tessuto criminale abbia generato o meno un’effettiva “messa a disposizione”.
Tra gli elementi probatori, dai quali desumere la partecipazione mafiosa, vi sono non solo la commissione di delitti-scopo, ma anche tutte le ulteriori e diverse condotte, che risultano essere il compimento di attività causalmente orientate a favore dell’associazione, dalle quali emerga l’organicità del singolo che, reiterando condotte di semplice tenore esecutivo ovvero rafforzando e
agevolando l’attività dell’associazione, ponga in essere comportamenti teleologicamente rivolti al perseguimento degli obiettivi dell’associazione stessa.
A tali principi si è conformato il Tribunale di Napoli nel caso in esame.
Nell’ordinanza impugnata, infatti, sono stati individuati fatti concreti rivelatori dello stabile inserimento del ricorrente nel sodalizio, quali la su ripetuta presenza negli uffici, l’interazione con gli altri indagati, la profon conoscenza del meccanismo illecito e il fatto che riceveva direttamente certificati falsi.
A fronte della motivazione in disamina deve rilevarsi che il ricorrente non ha individuato passaggi o punti della decisione idonei a disarticolare o, comunque, a porre in crisi la complessiva tenuta del discorso logico-argomentativo delineato dal Collegio del riesame, essendosi limitato a sollecitare questa Corte a effettuare una diversa valutazione degli elementi indiziari, ma ciò è incompatibile con la natura del giudizio di legittimità, poiché pretende di imporre un’inammissibile rivisitazione di tipo alternativo, ovvero una rilettura di merito del complesso delle emergenze probatorie.
4.2. È infondata anche la doglianza con cui è stata censurata la qualificazione giuridica dei fatti.
Il Tribunale ha escluso che i fatti integrassero il reato di concussione, atteso che dall’esame degli atti emergeva in modo evidente che i dirigenti sanitari non avevano posto in essere alcuna condotta costrittiva o induttiva nei confronti del privato. La lettura delle intercettazioni restituiva non solo la libera convergenza delle volontà dei soggetti coinvolti verso il comune obiettivo illecito, ma anche l’esistenza di un vero e proprio rapporto sinallagmatico tra dirigente medico ed imprenditore, in cui il pagamento dell’illecito compenso era il frutto di un tacito accordo criminoso e della totale adesione al sistema esistente.
Siffatte argomentazioni sono corrette.
È agevole cogliere nei dati fattuali emersi, coordinati tra loro e valutati unitariamente, gli estremi di un patto corruttivo intercorso tra i pubblici ufficiali i titolari delle imprese funebri. Elementi a conforto di tale conclusione sono ravvisabili: nel concreto ed indubbio vantaggio che le imprese hanno tratto dalla condotta abusiva dei pubblici ufficiali; nella piena collaborazione che le imprese, nella prospettiva di conseguire tale obiettivo, hanno offerto per garantire l’efficienza del sistema illecito e il suo consolidamento; nel rapporto sostanzialmente paritetico tra le parti, con esclusione dello stato di soggezione.
Tutti tali elementi convergono verso l’ipotesi della corruzione, posto che evidenziano una situazione di sistematico pagamento di somme di denaro da parte di imprenditori, che miravano principalmente ad assicurarsi vantaggi al di
fuori degli schemi legali, approfittando proprio dei meccanismi criminosi e divenendo protagonista del sistema.
Va ricordato al riguardo che questa Corte ha già avuto modo di affermare che non integra la fattispecie di concussione
ex art. 317 cod. pen. o di induzione
ex art.
319
-quater cod. pen. la
condotta di semplice richiesta di denaro o altre utilità da parte del pubblico ufficiale in presenza di situazioni di mera pressione
ambientale, non accompagnata da atti di costrizione o di induzione (Sez. 6, n. 11946 del 25/02/2013, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 255323 – 01;
Sez. 6, n. 36154 del 9/04/2008, N., Rv. 241644 – 01). Atti, questi ultimi, che non si ravvisano nel caso in esame.
5. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 9 luglio 2025.