Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27212 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27212 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Napoli il 01/01/1967 avverso l’ordinanza del 19/03/2025 del Tribunale di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del 19 marzo 2025 con cui il Tribunale di Napoli ha accolto l’appello proposto dalla Procura della Repubblica di Napoli avverso l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, in data 28 gennaio 2025, aveva disposto nei confronti del COGNOME la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere esclusivamente in relazione al reato di estorsione aggravata di cui al numero 2) del capo di incolpazione con contestuale rigetto della richiesta in relazione ai reati di tentata estorsione ed interposizione fittizia.
Il ricorrente, con l’unico motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi
indizi di reità in relazione ai reati di tentata estorsione ed interposizione fittizia di cui ai numeri 1) e 3).
2.1. A giudizio della difesa, la ricostruzione prospettata dal Tribunale risulterebbe fondata esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME contributo che sarebbe stato reso nell’ambito di una dinamica conflittuale originata da un accordo di spartizione paritaria del mercato cui il ricorrente si sarebbe successivamente sottratto.
Le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa NOME COGNOME secondo il ricorrente, non sarebbero sufficienti a dimostrare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di tentata estorsione in quanto prive di riscontri esterni individualizzanti, riscontri necessari stante la veste di indagato in reato connesso rivestita dall’COGNOME.
È stato evidenziato, in particolare, come il giudice della cautela avesse correttamente rimarcato che i riscontri acquisiti nel corso delle indagini (videoregistrazioni e conversazioni intercettate) difetterebbero del necessario carattere individualizzante in relazione alle condotte descritte nei numeri 1) e 3) dell’incolpazione.
A giudizio della difesa, le intercettazioni telefoniche e ambientali, lungi dal comprovare condotte effettive di intimidazione, dimostrerebbero piuttosto uno stato di frustrazione del COGNOME, manifestatosi in espressioni verbali prive di attuazione concreta ed inidonee a generare uno stato di soggezione nella persona offesa.
2.2. Il ricorrente, con riguardo alla contestazione del delitto di cui all’art. 512bis cod. pen., ha lamentato la mancanza di elementi indiziari da cui desumere che la condotta ascritta al COGNOME (intestazione dell’autorimessa COGNOME alla figlia NOME) fosse effettivamente finalizzata a sottrarre detta impresa individuale al pericolo di ablazione derivante dall’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale.
È stato, inoltre, sostenuto che l’accertamento del fine elusivo non potrebbe essere desunto dalla sussistenza di un rapporto parentale tra interponente e interposto, in considerazione del fatto che la finalità di neutralizzare un possibile sequestro risulta, di fatto, vanificata proprio dal vincolo familiare, rendendo l’interposizione inefficace in base alla normativa vigente.
2.3. A giudizio della difesa, non emergerebbero elementi indiziari idonei a dimostrare che l’attività imprenditoriale del COGNOME fosse funzionalmente asservita agli interessi del clan COGNOME e, infatti, nessuna analoga
contestazione sarebbe stata elevata nei confronti di altri esponenti del clan camorristico.
È stato, in proposito, richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante dell’agevolazione dell’associazione di stampo mafioso, è necessario che l’intestazione fittizia persegua l’interesse dell’associazione nel suo complesso e non già l’esclusivo tornaconto personale del soggetto agente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni che seguono.
COGNOME La doglianza con cui il ricorrente lamenta la carenza di indizi in ordine alla sussistenza del reato di estorsione è in parte manifestamente infondata ed in parte non consentita in sede di legittimità.
1.1. Preliminarmente deve essere evidenziato che il Tribunale ha correttamente applicato il principio di diritto secondo cui, in sede cautelare, gli elementi di riscontro alle chiamate in reità o correità possono essere anche solo parzialmente o tendenzialmente individualizzanti “in quanto la verifica dell’attendibilità di tali dichiarazioni pertiene ad una fase segnata dalla fluidità dell’incolpazione, in cui non è richiesta certezza della colpevolezza ed è invece sufficiente un consistente grado di probabilità” (Sez. 4, n. 22740 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 279515-01; Sez. 1, n. 18385 del 04/03/2025, Miranda, non massimata; Sez. 4, n. 14813 del 20/03/2025, Cicalese, non massimata).
Al fine dell’adozione della misura, invero, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento indiziario idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati.
Orbene, nel caso di specie, il Tribunale si è adeguato al suddetto principio, ancorando la propria deliberazione ad elementi specifici risultanti dagli atti, tanto da trarre dalla loro valutazione globale e non frazionata un giudizio in termini di elevata probabilità circa l’attribuzione all’indagato del reato di tentata estorsione, senza incorrere, peraltro, in salti logici o argomentazioni contraddittorie.
Ne consegue la manifesta infondatezza della doglianza con cui il ricorrente ha lamentato l’assenza di riscontri individualizzanti relativi al reato di tentata estorsione.
1.2. La credibilità soggettiva dell’indagato in reato connesso NOME COGNOME e l’attendibilità intrinseca ed estrinseca delle sue dichiarazioni risulta essere stata valutata dai giudici dell’appello in maniera logica, congrua e lineare, anche in considerazione della significativa portata indiziaria delle conversazioni
intercettate e dei servizi di osservazione che hanno fornito elementi di riscontro al complessivo racconto del denunciante (vedi pag. 6 e 7 del provvedimento impugnato).
L’iter argomentativo appare esente da vizi logici, fondandosi su di una compiuta e logica analisi critica delle dichiarazioni dell’COGNOME in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, univocità e coerenza, in quanto conducenti all’affermazione di piena credibilità delle asserzioni dell’COGNOME.
In ragione della loro natura eminentemente fattuale, gli apprezzamenti dei giudici dell’appello, sorretti da un impianto motivazionale rispettoso dei criteri di razionalità decisoria, non possono essere rivalutati in questa sede in quanto espressione della discrezionalità valutativa riservata al giudice del fatto.
Va, in proposito, ricordato che non è compito del giudice di legittimità stabilire se la decisione di merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti né condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia, come nel caso di specie, compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
La Corte di Cassazione, che è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, non può, infatti, divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento indiziario, riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l’apprezzamento della logicità della motivazione (vedi Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, COGNOME, dep. 2021, Rv. 280601 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01).
1.3. Infine, quanto alla censura con cui la difesa eccepisce l’inidoneità delle intercettazioni a dimostrare la natura intimidatoria delle espressioni utilizzate dal COGNOME è necessario ribadire che, in sede di legittimità, è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia laddove il decidente ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e tale difformità risulti decisiva ed incontestabile così da rendere manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (cfr., Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516-01; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558-01; Sez. 5, n. 2245 del 14/12/2022, dep. 2023, Vallepiano, non mass.).
La valutazione dei contenuti delle conversazioni captate è, infatti, un apprezzamento di merito che investe il significato e, dunque la capacità
dimostrativa della prova, sicché la sua critica è ammessa in sede di legittimità solo ove si rilevi una illogicità manifesta e decisiva della motivazione o una decisiva discordanza tra la prova raccolta e quella valutata (Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, Vecchio, Rv. 257784-01; Sez. 1, n. 3019 del 27/09/2022, dep. 2023, Cremona, non massimata; Sez. 2, n. 6414 del 23/11/2022, dep. 2023, COGNOME, non massimata), elementi non ravvisabili nel caso di specie.
La censura con cui il COGNOME eccepisce carenza indiziaria in relazione al reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. è aspecifica.
2.1. Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, l’ordinanza impugnata è correttamente motivata stante l’adeguatezza delle linee argomentative e la congruenza logica del discorso giustificativo della decisione, con particolare riguardo alla sussistenza del reato di cui all’art. 512-bis cod. pen.
Il Tribunale ha, infatti indicato, nel corpo della esauriente e fondata motivazione, gli elementi da cui desumere che l’intestazione dell’autorimessa alla figlia NOME era frutto del timore del Rapillo di esser sottoposto a misura di prevenzione e fondato su una chiara volontà elusiva; in particolare i giudici del riesame hanno correttamente valorizzato le conversazioni intercettate e le videoriprese attestanti il ruolo di dominus dell’attività commerciale rivestito dal ricorrente nonché le dichiarazioni sostanzialmente confessorie rese dallo stesso COGNOME in sede di interrogatorio di garanzia (vedi pag. 7 dell’ordinanza oggetto di
ricorso).
2.2. Il Tribunale, peraltro, ha correttamente motivato in ordine alla piena utilizzabilità del verbale di interrogatorio del COGNOME depositato dal Pubblico ministero nel procedimento di appello (vedi pag. 7 dell’ordinanza impugnata).
È stato, in particolare, dato seguito al consolidato principio di diritto secondo cui, nel procedimento conseguente all’appello avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di misura cautelare personale, il Pubblico ministero ha facoltà di produrre elementi indiziari nuovi, preesistenti o sopravvenuti, in relazione ad ogni profilo rilevante ai fini della decisione sulla cautela (vedi Sez. 5, n. 17970 del 07/02/2020, COGNOME Rv. 279398-01; Sez. 2, n. 3854 del 30/11/2021, Aprovitola, Rv. 282687 – 03; da ultimo Sez. 5, n. 15899 del 12/02/2025, Del Signore, non massimata).
2.3. Tutto ciò premesso deve essere affermato che la motivazione dell’ordinanza impugnata è conforme alle risultanze investigative ed all’orientamento giurisprudenziale in tema di accertamento dell’elemento psicologico del reato di interposizione fittizia.
Va ribadito, in proposito, che il dolo specifico del reato previsto dall’art. 512-bis cod. pen. consiste nel fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione e ben può essere configurabile anche prima che la detta procedura sia intrapresa, quando l’interessato, come nel caso di specie, possa fondatamente presumerne l’inizio (vedi sul punto Sez. 5, n. 1886 del 07/12/2021, COGNOME, Rv. 282645 – 01).
Si tratta, infatti, di un reato istantaneo con effetti permanenti a forma libera, che si consuma nel momento in cui viene realizzata l’intestazione fittizia protesa ad eludere le disposizioni legislative in tema di misure di prevenzione, di modo che, per questa sua caratteristica, risulta irrilevante che il provvedimento di prevenzione non sia stato ancora disposto.
Lo “scopo elusivo” che connota il necessario dolo specifico prescinde, pertanto, dalla concreta possibilità dell’adozione di misure di prevenzione patrimoniali all’esito del relativo procedimento, essendo integrato anche soltanto dal fondato timore dell’inizio di esso, a prescindere da quello che potrebbe esserne il concreto esito.
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto, con motivazione ineccepibile in punto di logica, che l’intestazione dell’autorimessa alla figlia NOME ha rappresentato lo schermo dietro il quale il COGNOME ha tentato di porre al riparo la sua attività dai rischi di una possibile confisca di prevenzione, potendo a tal fine confidare sulla compiacente collaborazione prestata un soggetto appartenente alla sua cerchia familiare (vedi pag. 7 del provvedimento impugnato). Ogni interpretazione alternativa all’opzione riconosciuta nell’ordinanza impugnata appare connotata da astrattezza ed illogicità, oltre che prive di alcun fondamento storico-fattuale.
2.4. Del tutto infondato è l’ulteriore argomento difensivo secondo il quale la condotta in esame, in quanto effettuata in favore della figlia, sarebbe di per sé inidonea ad integrare il reato rubricato; questo Collegio condivide infatti l’univoco orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 512-bis cod. pen., è sufficiente l’attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, ben altre utilità, anche nel caso in cui i beni siano stati intestati ad un familiare.
La presunzione di interposizione fittizia prevista dall’art. 26, D.L.gs. 159/2011 non impedisce, invero, di configurare tale fattispecie di reato né rende necessario GLYPH l’ulteriore GLYPH accertamento GLYPH della GLYPH concreta GLYPH capacità GLYPH elusiva dell’operazione patrimoniale (Sez. U., n. 12621 del 22/12/2016, COGNOME, Rv. 270087 – 01; Sez. 6, n. 22568 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270035-01; Sez. 1, n. 39846 del 23/05/2023, Salerno, Rv. 285368 – 02). /t
3. GLYPH
il ricorrente afferma l’insussistenza dell’aggravante
La doglianza con cui dell’agevolazione mafiosa
in relazione al reato di interposizione fittizia è
manifestamente infondata.
che i giudici dell’appello hanno
Deve essere, in proposito, evidenziato cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.,
espressamente escluso l’aggravante di costituito oggetto dell’impugnazione
rimarcando che tale aggravante non aveva proposta dal Pubblico ministero.
4. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché,
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila,
così equitativamente fissata.
Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in libertà dell’indagato, deve provvedersi ai sensi dell’art. 28 reg. esec. cod. proc.
pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso, il 26 giu no 2025
GLYPH
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