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Intermediazione stupefacenti: quando è reato? Cassazione

Un soggetto in custodia cautelare per spaccio ricorre in Cassazione, sostenendo di essere stato un semplice mediatore. La Corte rigetta il ricorso, confermando che l’intermediazione stupefacenti è reato anche se l’acquirente conosce già il fornitore. La sentenza ribadisce che qualsiasi contributo, materiale o psicologico, che faciliti l’incontro tra venditore e acquirente integra il delitto di spaccio. Gli elementi probatori, incluse le intercettazioni, sono stati ritenuti sufficienti a delineare un ruolo attivo dell’indagato nella rete di spaccio.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Intermediazione Stupefacenti: La Cassazione Conferma la Responsabilità del Mediatore

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, torna a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di reati legati agli stupefacenti: il ruolo del mediatore. La pronuncia chiarisce i confini della responsabilità penale per chi si adopera nell’intermediazione stupefacenti, confermando un orientamento rigoroso. Anche un contributo minimo a collegare venditore e acquirente può integrare il reato di spaccio, indipendentemente dal fatto che i due si conoscano già.

Il Caso in Analisi

Il caso trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Cosenza nei confronti di un individuo, indagato per una serie di cessioni di sostanze stupefacenti, anche in concorso. L’indagato proponeva richiesta di riesame al Tribunale di Catanzaro, che però la rigettava, confermando la misura restrittiva. Contro questa decisione, l’indagato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, chiedendone l’annullamento sulla base di tre motivi principali.

I Motivi del Ricorso e l’Intermediazione Stupefacenti

La difesa ha articolato il ricorso su tre principali doglianze, cercando di smontare il quadro accusatorio e la legittimità della misura cautelare.

Il Ruolo di Semplice Mediatore

In primo luogo, la difesa sosteneva una violazione di legge e un vizio di motivazione riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Secondo la tesi difensiva, l’indagato non era uno spacciatore, ma un mero intermediario che agiva per conto di un altro soggetto, limitandosi a informare potenziali acquirenti della disponibilità di droga. Le intercettazioni, a dire della difesa, erano state valutate in modo frammentario e atomistico.

L’Inutilizzabilità delle Dichiarazioni degli Acquirenti

Il secondo motivo di ricorso denunciava la violazione di diverse norme del codice di procedura penale. La difesa riteneva che le dichiarazioni rese dagli acquirenti della sostanza stupefacente avrebbero dovuto essere considerate inutilizzabili, in quanto costoro avrebbero dovuto assumere la qualità di indagati, avendo anch’essi partecipato a vario titolo alla compravendita illecita.

Violazione del Diritto di Difesa

Infine, si lamentava che l’attualità delle esigenze cautelari fosse stata fondata su dichiarazioni accusatorie prodotte dalla Procura solo in sede di riesame. Tali elementi non erano presenti nel fascicolo originario sottoposto al GIP, e al difensore non sarebbe stato concesso un termine per valutarle adeguatamente, violando così il diritto di difesa.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato in ogni suo punto, rigettandolo.

Sul primo motivo, i giudici hanno stabilito che sia il giudice della cautela sia il Tribunale del riesame avevano correttamente valutato il quadro indiziario. Le prove raccolte (dialoghi intercettati, captazioni ambientali, dichiarazioni di acquirenti e riconoscimenti fotografici) delineavano chiaramente un ruolo attivo e rilevante dell’indagato all’interno di una rete capillare di spaccio. La tesi difensiva di un mero ruolo passivo è stata smontata, evidenziando come l’indagato acquistasse droga da un fornitore per poi rivenderla ad altri. La Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio giuridico fondamentale: la condotta di intermediazione stupefacenti è punibile ai sensi dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 anche quando il destinatario finale conosce già personalmente il fornitore. È sufficiente, infatti, qualsiasi contributo materiale o psicologico volto a collegare venditore e acquirente per integrare il reato.

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile e generico. La Corte ha osservato che la difesa faceva riferimento a conversazioni intercettate, che sono pienamente utilizzabili come prova, e non a dichiarazioni formali soggette alle garanzie degli articoli 63 e 64 c.p.p. Anzi, proprio quelle conversazioni confermavano ulteriormente il ruolo centrale dell’indagato.

Infine, il terzo motivo è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha sottolineato che la difesa, pur lamentando la produzione di nuove prove in sede di riesame, non aveva dimostrato di aver richiesto un termine a difesa per poterle esaminare, rendendo la doglianza puramente astratta. La prospettazione è stata ritenuta generica e sganciata da un’analisi critica della motivazione del provvedimento impugnato.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio di grande importanza pratica: nel contrasto al traffico di droga, non esistono ruoli ‘minori’ che possano andare esenti da responsabilità. L’attività di intermediazione stupefacenti è considerata a tutti gli effetti una condotta che contribuisce alla catena dello spaccio e, come tale, è pienamente punibile. La decisione evidenzia come sia sufficiente un contributo attivo nel facilitare la transazione illecita per essere considerati penalmente responsabili, a prescindere dalla preesistenza di contatti tra le parti principali. Questo orientamento conferma la volontà del legislatore e della giurisprudenza di colpire ogni anello della filiera del narcotraffico.

Quando è punibile la condotta di ‘intermediazione stupefacenti’?
Secondo la sentenza, la condotta di intermediazione è punibile anche quando il destinatario della sostanza stupefacente conosce personalmente e direttamente il fornitore. È sufficiente qualsiasi contributo di ordine materiale o psicologico destinato a collegare venditore e acquirente per integrare il reato.

Le dichiarazioni degli acquirenti di droga possono essere usate come prova contro il venditore/intermediario?
Sì. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto pienamente utilizzabili le prove derivanti da conversazioni intercettate con gli acquirenti. Le obiezioni difensive sull’inutilizzabilità delle loro dichiarazioni sono state respinte perché generiche e perché, nel caso specifico, si trattava di intercettazioni e non di interrogatori formali.

Cosa succede se la Procura produce nuove prove durante l’udienza di riesame?
La difesa ha il diritto di esaminare le nuove prove. Tuttavia, come sottolineato dalla Corte, se la difesa non richiede esplicitamente un ‘termine a difesa’ per valutare i nuovi atti, non può successivamente lamentare in Cassazione una violazione del proprio diritto, rendendo il motivo di ricorso inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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