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Intermediazione scommesse illegale: la Cassazione

La Cassazione conferma la condanna per un gestore di un centro scommesse per il reato di intermediazione scommesse illegale. Il ricorso è inammissibile perché la raccolta di scommesse per conto di un bookmaker senza autorizzazione integra il delitto previsto dall’art. 4, comma 4-bis, l. 401/1989, e non una semplice contravvenzione.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Intermediazione Scommesse Illegale: Delitto, non Contravvenzione secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 30936 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale in materia di giochi e scommesse, confermando che l’intermediazione scommesse illegale costituisce un delitto e non una semplice contravvenzione. Questa pronuncia chiarisce la linea di demarcazione tra le diverse fattispecie di reato, offrendo un’analisi rigorosa delle condotte punibili e delle responsabilità per i gestori di centri di raccolta scommesse.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla condanna, confermata in appello, del gestore di un centro scommesse. L’imputato era stato ritenuto colpevole di aver organizzato un’attività di raccolta di scommesse sportive per conto di un bookmaker, senza possedere la necessaria autorizzazione di pubblica sicurezza prevista dall’art. 88 del TULPS.

Le indagini avevano accertato che il locale era stato allestito in modo da fungere da vero e proprio intermediario: monitor, palinsesti, e postazioni PC erano a disposizione, ma tutti i sistemi per l’immissione delle giocate erano rivolti verso il bancone, sotto il controllo esclusivo del gestore. Inoltre, tutte le scommesse, effettuate in orari diversi, provenivano da un unico conto gioco online, a dimostrazione del fatto che i clienti non agivano autonomamente ma si affidavano al gestore per piazzare le loro puntate, consegnandogli il denaro.

I Motivi del Ricorso e l’Intermediazione Scommesse Illegale

L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:

1. Assenza di prove: Sosteneva la mancanza di prove concrete della sua attività di intermediazione, lamentando che i giudici di merito non avessero valutato adeguatamente l’assenza di clienti nel locale al momento del controllo.
2. Errata qualificazione giuridica del fatto: In subordine, chiedeva che la sua condotta venisse riqualificata come la meno grave contravvenzione prevista dall’art. 4, comma 1, della legge n. 401/1989, anziché come il delitto contestato ai sensi del comma 4-bis dello stesso articolo. Secondo la difesa, la sua attività consisteva semplicemente nell’operare con modalità e tecniche diverse da quelle previste dalla legge, non in una totale assenza di autorizzazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni della difesa con motivazioni chiare e nette.

In primo luogo, riguardo alla presunta carenza di prove, la Corte ha sottolineato che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. I giudici di legittimità non possono riesaminare il materiale probatorio, ma solo verificare la logicità e coerenza della motivazione della sentenza impugnata. Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva ampiamente e logicamente dimostrato l’attività di intermediazione scommesse illegale sulla base di elementi concreti: la struttura del locale, l’uso di un singolo conto gioco e l’impossibilità per i clienti di scommettere direttamente.

Il punto cruciale della sentenza risiede nella distinzione tra il delitto e la contravvenzione. La Corte ha spiegato che:

* Il delitto previsto dall’art. 4, comma 4-bis, l. 401/1989 punisce chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza, svolga un’attività organizzata per l’accettazione o la raccolta di scommesse. Questa norma si applica a chi, come l’imputato, agisce come intermediario per un bookmaker senza essere autorizzato, raccogliendo denaro e piazzando scommesse per conto terzi.
* La contravvenzione prevista dall’art. 4, comma 1, l. 401/1989 sanziona invece chi, pur essendo titolare della prescritta concessione, esercita l’attività con modalità e tecniche diverse da quelle previste dalla legge.

La condotta dell’imputato rientrava palesemente nella prima fattispecie, poiché egli operava come intermediario non autorizzato di un bookmaker, integrando così pienamente il reato di intermediazione scommesse illegale.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso, ribadendo che l’allestimento di una struttura dedicata alla raccolta di scommesse per conto di un bookmaker, in assenza delle autorizzazioni di legge, costituisce un delitto e non una semplice irregolarità amministrativa o una contravvenzione. Questa decisione serve da monito per tutti gli operatori del settore: l’attività di intermediazione nella raccolta di scommesse richiede il pieno rispetto delle normative vigenti e il possesso delle licenze necessarie. Agire al di fuori di questo perimetro legale espone a gravi conseguenze penali, come la condanna a una pena detentiva e a una pesante multa.

Cosa si intende per intermediazione scommesse illegale secondo questa sentenza?
Si intende l’attività organizzata di raccolta di scommesse su eventi sportivi per conto di un bookmaker, svolta da un soggetto privo della necessaria autorizzazione di pubblica sicurezza (ex art. 88 TULPS). Questa attività include la raccolta di denaro dai clienti, la comunicazione delle quote e l’immissione delle giocate tramite un conto gioco gestito dall’intermediario.

Perché la condotta è stata considerata un delitto e non una contravvenzione?
La condotta è stata classificata come delitto (art. 4, comma 4-bis, l. 401/1989) perché l’imputato agiva senza alcuna concessione o autorizzazione per l’attività di intermediazione. La contravvenzione (art. 4, comma 1, l. 401/1989) si applica invece a chi è già titolare di una concessione, ma opera con modalità diverse da quelle consentite.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove del processo?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo compito non è quello di riesaminare le prove e i fatti già accertati dai giudici di primo e secondo grado. Il suo esame è limitato alla verifica della corretta applicazione della legge e della logicità della motivazione della sentenza impugnata, non potendo trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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