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Intermediazione assicurativa abusiva: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7540/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto condannato per intermediazione assicurativa abusiva. L’imputato, radiato dall’albo, sosteneva di aver agito come semplice ‘nuncius’. La Corte ha ribadito che proporre polizze e gestire i rapporti con i clienti integra il reato, e che il giudizio di legittimità non consente una nuova valutazione dei fatti, ma solo un controllo sulla corretta applicazione della legge.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Intermediazione Assicurativa Abusiva: Quando Proporre una Polizza Diventa Reato

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 7540 del 2024, torna a pronunciarsi sul tema dell’intermediazione assicurativa abusiva, un reato che punisce chiunque eserciti l’attività di mediatore senza la necessaria iscrizione al Registro Unico degli Intermediari (RUI). Il caso analizzato offre spunti importanti per definire i confini di questa condotta illecita, chiarendo la differenza tra un semplice messaggero e un vero e proprio intermediario.

I Fatti del Caso: Da Intermediario a “Semplice Messaggero”?

Il protagonista della vicenda è un soggetto condannato in primo e secondo grado per aver esercitato abusivamente l’attività di intermediazione assicurativa. La sua difesa si basava su un punto cruciale: egli sosteneva di non aver svolto alcuna attività di mediazione, ma di aver agito come un semplice nuncius, ovvero un mero portavoce tra la compagnia assicurativa e i clienti, senza contribuire alla formazione della loro volontà contrattuale. In pratica, si dipingeva come un semplice “latore” di proposte e documenti.

Tuttavia, le corti di merito avevano ricostruito una realtà differente. Era emerso che l’imputato, che era stato radiato dal registro degli intermediari, in realtà teneva in via esclusiva i contatti con i clienti della compagnia, proponeva loro le polizze e gestiva tutti i rapporti successivi alla stipula. Di fronte alla conferma della condanna in Appello, seppur con una riduzione della pena, l’imputato ha deciso di ricorrere in Cassazione.

La condanna per intermediazione assicurativa abusiva

L’accusa mossa all’imputato è quella prevista dall’art. 305, comma 2, del d.lgs. 209/2005 (Codice delle Assicurazioni Private), che punisce “chiunque esercita l’attività di intermediazione assicurativa o riassicurativa in difetto di iscrizione al registro”. La legge definisce l’intermediazione come l’attività che consiste nel “presentare o proporre prodotti assicurativi e riassicurativi o nel prestare assistenza e consulenza finalizzate a tale attività” e, se previsto, nella “conclusione dei contratti”.

I giudici di merito hanno ritenuto che la condotta dell’imputato rientrasse pienamente in questa definizione. L’attività di proporre polizze e gestire in esclusiva i rapporti con la clientela non poteva essere declassata a quella di un semplice messaggero, ma costituiva a tutti gli effetti un’attività di mediazione che richiede, per legge, l’iscrizione all’apposito registro.

Le Motivazioni della Cassazione: Nessun Riesame dei Fatti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiudendo definitivamente la vicenda. La motivazione di questa decisione è di natura prevalentemente processuale, ma fondamentale per comprendere i limiti del giudizio di legittimità. Gli Ermellini hanno sottolineato che il ricorso non denunciava un’errata applicazione della legge, ma tentava di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti. L’imputato, in sostanza, chiedeva alla Cassazione di riconsiderare le prove e di interpretarle in modo diverso rispetto a quanto fatto dai giudici di primo e secondo grado, un’operazione preclusa in sede di legittimità.

La Corte ha ribadito che il suo compito non è quello di giudicare nuovamente il fatto, ma di verificare la correttezza logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e coerente, immune da censure, affermando che la condotta dell’imputato integrava in fatto un’attività di intermediazione assicurativa. Inoltre, la Cassazione ha ricordato un suo precedente orientamento secondo cui, per configurare il reato, è sufficiente svolgere anche una sola delle condotte di intermediazione previste dalla norma.

Conclusioni: Le Implicazioni della Sentenza

Questa sentenza riafferma due principi cardine. Il primo riguarda il diritto penale sostanziale: l’attività di intermediazione assicurativa abusiva è un reato che si configura anche con la semplice proposta di prodotti assicurativi o con l’assistenza finalizzata alla stipula, se svolta da un soggetto non iscritto al RUI. Non è necessario un’attività complessa e continuativa; basta un singolo atto per integrare la fattispecie. Il secondo principio è di natura processuale: la Corte di Cassazione non è un terzo grado di merito. Non si può ricorrere alla Suprema Corte sperando in una “rilettura” delle prove a proprio favore. Il suo sindacato è limitato alla verifica della corretta applicazione delle norme e della logicità della motivazione, senza poter entrare nel merito delle scelte valutative compiute dai giudici precedenti.

Qualsiasi attività di contatto con un cliente per una polizza è considerata intermediazione assicurativa?
Sì, secondo la sentenza, attività come presentare o proporre prodotti assicurativi, gestire i contatti con i clienti e i rapporti successivi alla stipula integrano l’attività di intermediazione assicurativa, che richiede l’iscrizione a un apposito registro.

È necessario svolgere l’attività in modo continuativo per commettere il reato di intermediazione assicurativa abusiva?
No. La Corte ha ribadito che ai fini della configurabilità del reato è sufficiente che l’agente, non iscritto al registro, svolga anche una sola delle condotte di intermediazione previste dalla norma.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove e i fatti di un processo?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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