Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17297 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17297 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore generale presso Corte d’appello di Roma nel procedimento a carico di: Falso NOMECOGNOME nata in Germania il 14/08/1966 avverso la sentenza del 13/11/2024 del Tribunale di Cassino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha chiesto raccoglimento del ricorso; lette le conclusioni del difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME che ha chiesto raccoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Cassino ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME in relazione al delitto di atti persecutori nei riguardi della vicina di casa, COGNOME NOME perché estinto per prescrizione.
Ha tuttavia, nel contempo, condannato l’imputata al pagamento, in favore della Crolla, di euro 5.000,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria, quale risarcimento dei danni non patrimoniali, nonché di euro 2.000,00, oltre IVA e CPA,
quali spese di costituzione parte civile.
Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Roma.
Ha chiesto, “nell’interesse della corretta applicazione della legge ed anche in quello dell’imputata ai sensi dell’art.568, comma 4 bis, cpp”, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili e alle spese processuali liquidate in favore della parte civile, evidenziando che, ex artt. 538 e 578, comma 1, cod. proc. pen., il giudice penale, in primo grado, avrebbe potuto decidere sulla domanda della parte civile solo in caso di condanna: laddove, solo nel caso di declaratoria di prescrizione in appello, a seguito di condanna in primo grado, sarebbe stato possibile pronunciarsi sulle statuizioni civili.
Con memoria inviata a questa Corte, l’imputata ha chiesto accogliersi il ricorso del Procuratore Generale.
Ha evidenziato che, come insegnato da questa Corte, “il Pubblico Ministero, avuto riguardo alla natura di parte pubblica che lo caratterizza ed alla fondamentale funzione di vigilanza sull’osservanza delle leggi e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia che gli è assegnata dall’art. 73 dell’ordinamento giudiziario, deve ritenersi titolare di un interesse ad impugnare ogniqualvolta ravvisi la violazione o l’erronea applicazione di una norma giuridica”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
In base al principiò generale posto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., anche il ricorso per cassazione del Pubblico Ministero diretto a ottenere l’esatta applicazione della legge deve essere caratterizzato dalla concretezza e attualità dell’interesse, da verificare in relazione all’idoneità dell’impugnazione a rimuovere gli effetti che si assumono pregiudizievoli (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, De Marino, Rv. 244110-01).
Tra tali effetti pregiudizievoli la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto vi fossero anche quelli di cui sono titolari le parti private, a condizione, però, che siano correlati a violazione del principio di legalità o per far valere questioni d’interesse pubblico, quali le nullità assolute rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo.
Invero, come già evidenziato da questa Corte, il Pubblico Ministero, organo
istituzionalmente deputato alla vigilanza circa «la osservanza delle leggi e la pronta e regolare amministrazione della giustizia», ha interesse «a contrastare l’ingiustizia di provvedimenti, a tutela sia della funzione punitiva dello Stato che rappresenta, sia della posizione dell’imputato e della parte offesa, nei limiti in cui gli interessi particolari di questi soggetti coincidano con l’interesse generale protetto», e dunque «soltanto per contrastare provvedimenti emessi in violazione del principio di legalità o per far valere questioni d’interesse pubblico, rilevabili ex officio in ogni stato e grado del processo», non potendo sostituirsi alla parti private per censurare «statuizioni ritenute pregiudizievoli degli interessi civili, in un processo dispositivo nel quale viene garantita la posizione, tendenzialmente paritetica, dei vari soggetti»: sicché, non essendo «prevista come esigenza di ordine pubblico la difesa degli interessi civili, che possono essere tutelati con azioni spettanti ai rispettivi titolari, il Pubblico Ministero rimane estraneo al rapporto processuale civile e non è portatore di un interesse concreto e giuridicamente apprezzabile, in tale ambito e in siffatti limiti, per svolgere una attività surrogatoria», volta a superare la stessa «inerzia della parte privata che, rimanendo acquiescente alla decisione sfavorevole, ha consentito il formarsi del giudicato sul punto» (Sez. 5, n. 10366 del 14/04/1999, Rv. 214189-01, in motivazione).
In tale ottica, l’art. 77 r.d. n.12/1941 («Il pubblico ministero, nei casi e nelle forme stabiliti dalle leggi di procedura, può proporre ricorso per cassazione nell’interesse della legge, ed impugnare per revocazione le sentenze civili, nonché chiedere la revisione delle sentenze penali»), richiamato dalla parte civile, e il comma 4-bis dell’art. 568 cod. proc. pen., evocato nel ricorso ed inserito dalla novella di cui al d.lgs. n.11/2018 («Il pubblico ministero propone impugnazione diretta a conseguire effetti favorevoli all’imputato solo con ricorso per cassazione»), consentono di derogare all’ordinaria ripartizione delle facoltà processuali, abilitando l’organo pubblico a impugnare anche quelle decisioni che hanno riconosciuto fondata la tesi di accusa, a condizione che si verifichino i detti presupposti (come, ad esempio, lì dove il Pubblico Ministero ritenga, a tutela dell’imputato, di dover evitare un possibile errore giudiziario).
Insomma, il comma 4-bis dell’art. 568 cod. proc. pen., nel confermare il rimedio ovvero il ricorso per Cassazione – dato al Pubblico Ministero già dall’art.77 dell’ordinamento giudiziario, «specifica» la regola «contenuta nel precedente quarto comma della medesima disposizione, che appunto richiede un interesse all’impugnazione della parte processuale che la propone, attribuendo al Pubblico Ministero, chiamato dall’art. 73, primo comma, ord. giud. a vegliare alla osservanza delle leggi ed alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, il
potere di dedurre nel giudizio di legittimità violazioni di legge nell’interesse dell’imputato» (così Sez. 3, n. 13081 del 10/01/2024, Rv. 286145-01, in motivazione): sempre, dunque, a patto che tale interesse emerga chiaramente e l’accoglimento del ricorso non possa comportare, nel prosieguo, ipotetici esiti peggiorativi per la parte privata nel cui apparente interesse, contestualmente, si agisca (Sez. 4, n. 50281 del 5/10/2023, non massimata).
Per ovvie considerazioni di coerenza del sistema, e per evitare che l’acquiescenza di una parte privata ad una data decisione presa in violazione di legge sia vanificata su – ipotetica e casuale – iniziativa del rappresentante della pubblica accusa, eludendo, ad esempio, le disposizioni del codice di rito che prevedono la sanatoria di nullità, le norme anzidette non possono ritenersi abilitare il Pubblico Ministero ad eccepire qualsivoglia violazione di legge verificatasi nel corso del processo, a cui l’ordinamento non attribuisca importanza tale da “sopravvivere” alla detta inerzia della parte che avrebbe interesse a sollevarla, ma deve ritenersi legittimato a prospettare solo violazioni del principio di legalità o dell’interesse pubblico rilevabili d’ufficio (ad esempio, tali da integrare nullità assolute rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado): entro tali limiti, laddove dette violazioni ledano (anche) interessi delle parti private, può contestualmente (ed indirettamente) tutelare questi ultimi.
Ed infatti, è stato chiarito (da Sez. 1, n. 6747 del 11/11/2022, dep. 2023, Rv. 284126-01) esservi carenza di interesse del Pubblico Ministero a ricorrere avverso la sentenza dichiarativa di estinzione del reato ex art. 35 d.lgs. 274/2000, in caso di omessa interlocuzione della parte civile, proprio perché la violazione del contraddittorio non integra nullità assoluta ed insanabile in ogni stato e grado del giudizio e, dunque, logicamente deducibile da chiunque, in quanto evidentemente ritenuta, dal legislatore, a presidio di interessi preminenti ed irrinunciabili, che anche chi rappresenta la pubblica accusa («nell’interesse della legge», ai sensi dell’art. 77 r.d. n.12/1941) può e deve, quindi, chiedere di tutelare.
Pertanto, nelle ipotesi di statuizioni contra legem, le quali non integrino nullità assolute rilevabili in ogni stato e grado o violazioni del principio di legalità è evidente che non possa esservi un interesse pubblico da tutelare al di là dell’iniziativa delle parti private, come si desume dal menzionato art. 180 cod. proc. pen., nonché, per le nullità non di ordine generale, dall’art. 182, comma 1, seconda ipotesi, cod. proc. pen. (secondo cui tali nullità non possono, in radice, esser sollevate da chi «non ha interesse all’osservanza della disposizione violata»): essendo, per contro, ex art. 183, lettera a), cod. proc. pen., espressamente prevista la loro sanatoria «se la parte interessata ha rinunciato espressamente ad eccepirle ovvero ha accettato gli effetti dell’atto» (per un simile argomentare si
veda, in motivazione, la già citata Sez. 1, n. 6747 del 11/11/2022, dep. 2023, Rv. 284126-01).
Si spiega, dunque, perché si sia costantemente affermato, da parte di questa Corte, che il Pubblico Ministero non è legittimato ad impugnare un provvedimento all’esclusivo fine di tutelare gli interessi civili della parte privata, né a surrogars all’acquiescenza di quest’ultima e al giudicato sul punto che si formi (Sez. 4, n. 2346 del 11/04/2000, Rv. 216230-01, in tema di omessa condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile): sicché lo stesso non ha interesse neppure a chiedere, a tutela degli interessi civili delle persone offese dal reato, il mutamento della formula assolutoria, ove pure frutto di erronea applicazione della legge, essendo estraneo al rapporto processuale civile instauratosi incidentalmente nel processo penale ed indifferente ai profili di soccombenza propri dell’azione civile risarcitoria (Sez. 6, n. 43952 del 13/10/2015, Rv. 26513101; Sez. 1, n. 9174 del 10/01/2007, Rv. 236241-01; Sez. 1, n. 14174 del 20/03/2018, Rv. 272568-01, in motivazione).
In tal senso, anche l’illegittima regolamentazione delle spese processuali è stata, coerentemente, ritenuta estranea all’interesse del Pubblico Ministero: così, ad esempio, Sez. 4, n. 6287 del 30/11/2023, dep. 2024, Rv. 285803-01, secondo cui è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per Cassazione del Pubblico Ministero avverso la decisione con cui la parte civile, nonostante la revoca della costituzione in giudizio, sia stata condannata alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’imputato assolto (in senso analogo, su una ipotetica illegittima condanna alle spese della parte civile, Sez. 4, n. 14276 del 30/01/2019, Rv. 275576-01). In simili casi, si è affermato trattarsi di statuizioni aventi ad oggetto interessi di natura squisitamente civilistica, alla cui impugnazione è legittimata la sola parte civile.
3. Tanto determina l’inammissibilità del ricorso.
Nella specie, la pubblica accusa ha inteso semplicemente tutelare l’interesse privato dell’imputato, condannato al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di costituzione di parte civile. Per giunta, l’acquiescenza insita nell’omessa impugnazione (al di là di quanto poi dedotto in questa sede, una volta spirato il termine per impugnare) ben potrebbe essere frutto di una deliberata scelta dell’imputato: che, in ipotesi, può aver ritenuto preferibile la condanna emessa in questa sede, piuttosto che quella ipoteticamente conseguibile in sede civile.
Ad ogni modo, è evidente che non si sia prospettata, in ricorso, la violazione di alcun interesse pubblico rilevabile d’ufficio: e tanto basta per dichiarare privo di interesse ad impugnare il ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del P.G.
Così deciso il 09/04/2025.