Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23399 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23399 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TAURIANOVA il 18/07/1975
avverso l’ordinanza del 27/02/2025 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia ha applicato con provvedimento del 13 febbraio 2025 la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di COGNOME NOME e altri indagati in ordine al reato p. e p. dagli artt. 99, 110 e 81, comma 2, cod. pen. e 73, commi 1 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 perché, in concorso tra loro, illecitamente detenevano ai fini della cessione sostanza stupefacente del tipo hashish per un totale di gr. 59,5 e del tipo cocaina per un totale di gr. 32. Con la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale. In Filandari l’11 febbraio 2025.
Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame in materia di misure cautelari, ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME osservando quanto segue.
A seguito di un articolato servizio di o.c.p. i Carabinieri della Stazione di Filandari, Francica e Mileto avevano osservato che nei pressi dell’abitazione di NOME COGNOME, sita in Filandari, alla INDIRIZZO si svolgeva attività di spaccio di sostanze stupefacenti. Gli operanti rilevavano la presenza di un complice, che ivi svolgeva evidente funzione di
“vedetta”, monitorando le diverse vie d’accesso all’abitazione, mentre il Pititto si recava più volte presso un casolare ubicato a circa 100 metri di distanza dal suo domicilio, con in mano una busta di carta. A seguito di perquisizione, nel casolare era stata rinvenuta sostanza risultata essere, a seguito di narcotest, stupefacente del tipo hashish e cocaina, per quantitativi complessivi, rispettivamente, di 59,5 e 32 grammi, oltre a un bilancino elettronico di precisione. Nell’abitazione del Pititto era s tata rinvenuta la somma di euro 235,00, oltre a euro 200,00 in banconote di vario taglio sulla persona del COGNOME ed euro 250,00 presso l’abitazione del complice.
I giudici del merito cautelare hanno ritenuto che il quantitativo complessivo di sostanza stupefacente detenuta fosse indicativo della finalità di spaccio, essendo tale da consentire di ricavare, con elevata probabilità e pur in assenza, allo stato, di accertamenti tecnici di dettaglio sul principio attivo, un numero assai elevato di dosi medie singole. Anche la differenziazione delle sostanze e le modalità di occultamento, nonché il rinvenimento di un bilancino di precisione, deponevano nel senso dell’impo stazione accusatoria.
A ciò si è aggiunta la valorizzazione della biografia penale del COGNOME, da cui risultano plurime condanne, ivi inclusa una per reato della stessa specie e indole.
Dopo aver valutato positivamente il giudizio di gravità indiziaria espresso dal primo giudice, il Tribunale ha negato la possibilità di sussumere il fatto nell’ipotesi della cd. lieve entità, di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n.309/90, avuto riguardo alla non trascurabile quantità di stupefacente oggetto di illecita detenzione, alla diversificazione delle sostanze e alle modalità organizzative dell’attività seriale di spaccio (basata sul sistema delle c.d. “vedette”), oltre che alle somme non modiche di denaro in possesso dell’indagato, disoccupato dal 2022. Si è, inoltre, richiamata l’annotazione di p.g. del 10 febbraio 2025, dalla quale risultava che anche dai servizi di o.c.p. precedenti l’arresto si era registrato un anomalo andirivieni presso l’abitazione del ricorrente di soggetti che con questi avevano contatti fugaci, per poi allontanarsi, ritenuto ulteriore indice della stabile dedizione del prevenuto a traffici illeciti del tipo di quello per cui si procede.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione censurando l’ordinanza impugnata, con il primo motivo, per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 73, comma 5, T.U. Stup. nonché agli artt. 273, 192, 125 cod. proc. pen. e 27, 111, comma 6, Cost. e 6 CEDU. Secondo la difesa, vi sono tutti i presupposti previsti dalla legge e dalla giurisprudenza di legittimità per l’applicazione dell’art. 73, comma 5, T.U. Stup., trattandosi di condotta di minore portata lesiva dei beni giuridici protetti dalla norma, valutabile in base a elementi qualitativi e quantitativi insieme ad altri parametri citati dalla norma (mezzi, modalità e circostanze dell’azione). Il Tribunale del riesame ha, invece, rigettato la richiesta di riqualificazione della condotta in violazione di legge e con motivazione apparente. La detenzione di sostanza stupefacente di tipologia differenziata
non è ostativa alla qualificazione del fatto come di lieve entità, in quanto l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione. (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076- 01)
La motivazione, inoltre, secondo la difesa è contraddittoria (nella forma del travisamento della prova) nella parte in cui esclude l’applicazione del comma 5 dell’art. 73 T.U. Stup. in ragione del quantitativo di stupefacente rinvenuto in quanto impiega una informazione probatoria inesistente, non essendo stata misurata la quantità di principio attivo contenuto nella sostanza in quanto il solo narcotest consente di provare la natura stupefacente di una determinata sostanza, ma non fornisce la prova relativa alla quantità del principio attivo contenuto. Si aggiunge che i quantitativi detenuti (32 grammi di cocaina e 59,5 grammi di hashish) non sono tali da connotare negativamente e in maniera assorbente la vicenda, al punto da obliterare il peso degli ulteriori indici tassativamente previsti dalla fattispecie.
La difesa ritiene illogica e meramente apparente la motivazione nella parte in cui esclude l’applicazione del comma 5 del delitto in commento in ragione del rinvenimento di 200,00 euro in banconote di vario taglio. L’esigua somma di denaro avrebbe dovuto, al contrario, costituire indicatore favorevole al riconoscimento dell’ipotesi lieve, essendo sintomatica dell’esigua estensione del traffico gestito.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione agli artt.274 e 275 cod. proc. pen.
In relazione alle esigenze cautelari, il Tribunale non ha tenuto conto di elementi in grado di incidere sulla valutazione della personalità dell’indagato, omettendo di valutare che il semplice contatto con l’A.G., l’arresto, la sottoposizione alla misura domestica, la celebrazione dell’udienza di convalida, il rilievo mediatico della vicenda, sono idonei a sortire un sufficiente effetto deterrente, senza necessità alcuna che venga mantenuta la misura cautelare in atto. Frutto di travisamento della prova, che si riverbera sulla logicità della motivazione, è la considerazione che le indagini espletate abbiano dato prova dell’inserimento del COGNOME nei circuiti criminosi e criminogeni correlati al variegato mondo del narcotraffico quando egli, al contrario, ha avuto contatti solo con il correo, al quale è legato da rapporti parentali.
Risulta totalmente assente la specifica motivazione circa l’attualità e concretezza delle esigenze cautelari e in merito all’inidoneità di altre misure meno afflittive, fondandosi il giudizio su elementi ipotetici e astratti.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché generico.
Secondo il pacifico insegnamento di questa Corte, l’interesse all’impugnazione (art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.) va inteso come pretesa all’eliminazione della lesione attuale di un diritto o di altra situazione soggettiva tutelata dalla legge, e non già quale pretesa all’affermazione di un astratto principio giuridico o all’esattezza teorica della decisione, che non realizzano il vantaggio pratico cui deve tendere ogni impugnazione. In questa prospettiva, in passato, proprio con riferimento al “fatto lieve”, è stato valorizzato l’interesse all’inquadramento del fatto nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, T.U. Stup. in quanto il limite edittale di pena di tale fattispecie avrebbe impedito l’adozione della custodia cautelare in carcere (Sez. 6, n..10941 del 15/02/2017, Leocata, Rv. 269783 – 01), mentre con riguardo alla misura degli arresti domiciliari si era già evidenziato che la sanzione prevista per la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n.309/1990, pari ad anni quattro di reclusione, consentiva l’applicazione della misura degli arresti domiciliari (Sez. 4 n. 38940 del 20/06/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 41003 del 07/10/2015, Rv. 264762 – 01: «Non sussiste l’interesse al ricorso per cassazione avverso un provvedimento de libertate quando sia dedotta l’erronea qualificazione giuridica del reato in ordine ad un capo d’imputazione del tutto ininfluente ai fini della realizzazione di un risultato pratico tutelabile con l’impugnazione esperita. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto insussistente l’interesse del ricorrente a richiedere l’inquadramento del fatto ascrittogli nella più lieve ipotesi di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in quanto aspetto privo di valenza ostativa rispetto all’applicazione della misura cautelare impostagli).
A maggior ragione tali considerazioni valgono nel caso in esame, trattandosi di ipotesi di reato concernente un fatto successivo al 15 novembre 2023, ove si consideri che la sanzione edittale del reato previsto dall’art. 73, comma 5, T.U. Stup. a seguito della modifica operata dal l’art. 4, comma 3, d.l. 15 settembre 2023, n. 123 conv. con modif. dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, sostiene ora anche la misura cautelare della custodia in carcere al pari dell’ipotesi delittuosa di cui all’editto accusatori o.
Trova, dunque, applicazione il principio già enunciato da questa Corte in base al quale «in tema di misure cautelari personali, sussiste l’interesse a impugnare quando l’indagato tende a ottenere una diversa qualificazione giuridica del fatto dalla quale consegua per lui una concreta utilità, mentre non rileva la sua mera pretesa all’esattezza teorica della decisione che non realizzi alcun vantaggio pratico» (Sez. 6, n. 46387 del 24/10/2023, Giordano, Rv. 285481 -01).
A fronte di tali premesse, il Collegio evidenzia che il motivo di ricorso è privo dell ‘ indicazione del concreto interesse perseguito e, nel merito, a fronte di un ‘ ampia e
completa motivazione, risulta privo di adeguato confronto con gli argomenti sviluppati dal tribunale.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto aspecifico.
Con riferimento al profilo delle esigenze cautelari, il Tribunale del riesame ha valorizzato le modalità della condotta, considerate indicative di professionalità, spregiudicatezza e pervicacia criminosa; la facilità con cui il prevenuto è stato in grado di procacciarsi stupefacente di diverse tipologie, per quantitativi, in sé, non modici, è stata ritenuta indice del suo radicato inserimento nei circuiti criminosi e criminogeni correlati al variegato mondo del narcotraffico. La disponibilità di strumentazione atta alla pesatura, valutata unitamente all’assenza di stabile attività lavorativa, ha indotto i giudici del riesame a considerare concreto e attuale il pericolo di recidivanza da parte di soggetto considerato stabilmente dedito ad attività del tipo di quelle per cui si procede.
L’inidoneità di misure non restrittive a scongiurare il ravvisato pericolo di reiterazione è stata desunta dal fatto che la condotta per la quale si procede sia stata posta in essere dall’indagato in costanza di sottoposizione all’obbligo di presentazione alla p.g. nell’ambito di altro procedimento; elemento considerato rilevante per tratteggiare in termini negativi la personalità del ricorrente, rispetto al quale neanche l’esistenza di precedenti condanne, ovvero la sottoposizione a misure cautelari – oltre che al rimedio della Sorveglianza Speciale di RAGIONE_SOCIALE. hanno sortito effetto deterrente.
Con tali argomenti il ricorrente si confronta solo apparentemente, proponendo una censura che per tale ragione non supera il vaglio di ammissibilità.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell’art.616 cod.proc.pen. l’onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso, 13/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME