Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22613 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22613 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Lecce il 09/01/1970; nel procedimento a carico del medesimo; avverso il decreto del 23/10/2023 della Procura della Repubblica del tribunale di
Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto di cui in epigrafe, il Procuratore Aggiunto del tribunale di Lecce disponeva l’esecuzione della confisca di aree oggetto di sentenza del tribunale di Lecce, n. 257 del 27.9.2012, divenuta irrevocabile il 17.7.2017, con cui NOME NOME era stato dichiarato responsabile dei reati di cui agli artt. 44 lett. c) del DPR 380/01 e 181 del Dlgs. 42/2004, disponendo altresì la demolizione delle opere abusive e il ripristino dello stato dei luoghi. Nonché la confisca di aree oggetto di ritenuta illegittima trasformazione urbanistica ovvero di lottizzazione abusiva e l’acquisizione al patrimonio del Comune di Gallipoli. Il procuratore Aggiunto, in particolare, disponeva che si rendessero inaccessibili i terreni e manufatti, di cui alle aree confiscate, rispetto a persone fisiche e giuridiche diverse dal Comune di Gallipoli, che le aveva acquisite al patrimonio per effetto della confisca predetta.
Avverso il predetto provvedimento COGNOME AngeloCOGNOME in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE mediante il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione.
Si deduce la sussistenza di un atto abnorme e si osserva che la competenza a dare esecuzione alla confisca farebbe capo alla cancelleria del giudice che l’ha disposta. Si evidenzia che gli artt. 568 e 679 cod. proc. pen. escludono la confisca dal novero delle misure di sicurezza per la cui realizzazione è prevista l’iniziativa del pubblico ministero. Si aggiunge che , essendo ormai intervenuta confisca a favore del patrimonio comunale, nulla più dovrebbe essere eseguito. E si contesta la tesi per cui sarebbero intervenuti atti, aventi ad oggetto lotti di terreno confiscati, dopo la trascrizione in favore del comune di Gallipoli. Si aggiunge che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe promesso in vendita, in data 20.7.2011, le aree in questione, alla RAGIONE_SOCIALE, la quale sarebbe stata anche immessa nel possesso. Emersa poi, la celebrazione di un procedimento penale per abusi edilizi, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe notificato atto di citazione in relazione al contratto preliminare ed il tribunale, nel marzo del 2015, avrebbe ordinato al Conservatore dei RR. II. di Lecce di procedere alla trascrizione. Sarebbe quindi stata annullata, previo ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, una ordinanza comunale volte a consentire al comune di entrare in possesso dei terreni in parola. E sarebbe pendente un procedimento civile sul rilascio al Comune, da parte della Meridiem e ICM, dei beni confiscati.
Il provvedimento impugnato, in tale quadro entrerebbe in conflitto con statuizioni del giudice civile relative al contenzioso instaurato tra la società RAGIONE_SOCIALE e il comune di Gallipoli per il possesso delle aree in parola.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile. Nella prospettazione del ricorrente, che agisce in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, tale società avrebbe, con contratto preliminare, promesso in vendita le aree confiscate in questione a favore della società RAGIONE_SOCIALE così immettendola nel possesso. Si contesta che il provvedimento impugnato inciderebbe in maniera abnorme sulle tematiche di possesso oggetto di procedimenti giurisdizionali civili tra il Comune di Gallipoli, che ha acquisito i terreni in ragione della deliberata lottizzazione abusiva dei medesimi con correlata confisca degli stessi, e la predetta RAGIONE_SOCIALE, oltre che con la RAGIONE_SOCIALE, quale originaria proprietaria. Tuttavia, dalle sentenze allegate emerge che il COGNOME è stato condannato avendo agito quale rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE. Non si spiega e non si allegano le ragioni per cui la titolarità sarebbe risultata in capo alla RAGIONE_SOCIALE, di cui il COGNOME
attualmente agisce quale rappresentante legale. Neppure si illustra l’interesse al ricorso della società RAGIONE_SOCIALE, pur dando per buona una sua titolarità dei terreni in realtà poi confiscati, posto che si rivendica che gli stessi spetterebbero alla società RAGIONE_SOCIALE, quale titolare del relativo possesso, così che eventuali effetti favorevoli della impugnazione in esame non potrebbero che tradursi, al più, in maniera immediata e diretta, come necessario, in favore della RAGIONE_SOCIALE. Da qui il difetto di legittimazione del COGNOME, con conseguente assenza di interesse all’impugnazione , posto il principio per cui l’interesse ad impugnare si identifica con l’interesse al risultato del giudizio sull’impugnazione; ne consegue che, nella valutazione della sussistenza o meno dell’interesse della parte ad impugnare, è necessario prendere in esame i due aspetti di tale interesse e cioè quello processuale e quello sostanziale. Quest’ultimo deve risolversi in un “vantaggio”, in una “utilità” in senso obiettivo, per la parte impugnante. Se dunque, l’impugnazione proposta dall’imputato, per una qualsiasi causa, non può portare ad una modificazione degli effetti del provvedimento impugnato, non può cioè conseguire il risultato di porre riparo al pregiudizio dedotto, non vi è interesse (cfr. Sez. 6, n. 1473 del 02/04/1997 Cc. (dep. 20/05/1997 ) Rv. 207488 -01 Pacifico). Le Sezioni unite hanno ribadito questo concetto, laddove hanno rappresentato che l’interesse richiesto dall’art.568, comma 4, cod. proc. pen., quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il mezzo di impugnazione proposto sia idoneo a costituire, attraverso la eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009 Ud. (dep. 17/07/2009 ) Rv. 244110 -01).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Cos ì deciso in Roma, il 5 giugno 2025