Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 217 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 217 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME n. Saponara (Me) 16/03/1965 avverso la sentenza n. 496/23 della Corte di appello di Messina del 10/02/2023
letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME sentito del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; sentito per il ricorrente l’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Messina ha confermato l’assoluzione, pronunciata in primo grado con la formula perché il fatto non costituisce reato, di NOME COGNOME dall’accusa di calunnia (art. 368 cod. pen.) in danno di NOME COGNOME respingendo tanto l’appello proposto dall’imputato volto a conseguire una pronuncia assolutoria piena, quanto quello della persona offesa COGNOME teso in senso opposto ad ottenere la riforma della decisione di primo grado, con la condanna dell’imputato agli effetti civili.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che deduce un unico e articolato motivo di censura con cui lamenta la violazione degli artt. 51, 43 e 595 cod. pen., per avere la sentenza impugnata motivato in guisa illogica e contraddittoria con riferimento ai principi ed ai criteri d operatività dell’esimente del diritto di critica nonché per avere motivato in modo contraddittorio e illogico ed in caso mancante con riferimento agli aspetti sostanziali della decisione riguardanti l’assoluzione per carenza dell’elemento psicologico e non anche per quello materiale, risultando il vizio dal testo della sentenza impugnata.
Secondo il ricorrente le gravi dichiarazioni, obiettivamente diffamatorie, rese dalla parte civile, NOME COGNOME già Sindaco del Comune di Rometta (Me) riguardanti la contiguità del proprio defunto padre con ambienti mafiosi ed il suo coinvolgimento nel delitto di NOME COGNOME esulavano del tutto dal diritto di critica politica, quale riconosciuto al COGNOME per averle profferite nel corso di una veemente tenzone elettorale.
Si trattava, infatti, di propalazioni del tutto false e dunque la denuncia da lui presentata nei confronti del COGNOME per diffamazione risultava pienamente fondata, non potendosi giammai atteggiare a calunnia sotto il profilo materiale del reato.
La parte civile ha fatto pervenire memoria recante dal:a del 4 novembre 2023 con cui ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancanza di specificità del motivo perché indeterminato e per mancanza id correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnate e quelle poste a fondamento della impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché fondato su ragioni palesemente improponibili in sede di legittimità.
Dall’esame dell’atto d’impugnazione emerge con assoluta evidenza come il ricorrente pretenda di dimostrare il carattere non calunnioso della denuncia da lui sporta nei confronti della parte civile NOME COGNOME incentrando oltre tutto le sue argomentazioni non sulla condotta che gli viene addebitata quanto su quella tenuta dalla parte civile e che, secondo la sua prospettazione, aveva dato luogo alla denuncia sporta, asseritamente fondata ma ritenuta penalmente rilevante dal Pubblico Ministero e come tale dante luogo all’azione penale.
Ora non v’è alcun dubbio, a parere del Collegio, che sussiste un ‘preciso interesse giuridico del ricorrente finalizzato alla cassazione della sentenza’ impugnata (pag. 10 ricorso) consistente nel conseguire una pronuncia assolutoria con formula piena rispetto a quella adottata dalla Corte territoriale.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale assolutamente prevalente di questa Corte di cassazione, da cui non si ritiene di doversi discostare, sussiste, infatti, l’interesse dell’imputato all’impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria “perché il fatto non sussiste”, considerato che, a parte le conseguenze di natura morale, l’interesse giuridico risiede nei diversi e più favorevoli effetti che gli artt. 652 e 653, cod. proc. pen. connettono al secondo tipo di dispositivi nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare (tra le altre v. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, PG in proc. COGNOME, Rv. 276524; Sez. 6, n. 49831 del 19/04/2018, Annese, Rv. 274285; Sez. 6, n. 16843 del 01/03/2018, Acquavella e al., Rv. 273178; Sez. 4, n. 26109 del 05/05/2016, COGNOME, Rv. 268996).
Osta, però, all’accoglimento dell’impugnazione la circostanza che le doglianze formulate rimangono ampiamente al di sotto della soglia dell’ammissibilità, dal momento che esse tendono con tutta evidenza a indurre questa Corte di legittimità a sovrapporre le proprie valutazioni in fatto a quelle demandate in via esclusiva ai giudici del merito del giudizio.
La denuncia dell’indebito riconoscimento, in favore della parte civile COGNOME, dell’esimente del diritto di critica (politica) di cui all’art. 51 cod. pen., avvie infatti, sulla base di una orientata ricostruzione delle articolate vicende che fanno da sfondo alla fattispecie in esame (condizionamento di elettori, omicidio di NOME COGNOME, contiguità ad ambienti mafiosi del genitore del ricorrente
COGNOME esclusivamente in punto di fatto, come tale non sindacabile dal giudice di legittimità, nonostante l’asserito ma indimostrato collegamento tra tali aspetti e la motivazione della sentenza impugnata.
In tema di giudizio di cassazione, è, invero, preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata nonché l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormenl:e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto ·a quelli adottati dal ·giudice del merito (ex pluribus v. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601).
Alla dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione segue, pertanto e come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in euro tremila.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.