Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3033 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3033 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MORCONE il 10/07/1974
avverso l’ordinanza del 06/09/2024 del TRIB. LIBERTA di BENEVENTO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza del 6 settembre 2024 il Tribunale di Benevento- Sezione per il riesame, dichiarava inammissibile l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME, confermando l’ordinanza del Gip del Tribunale di Benevento, che aveva convalidato il sequestro preventivo avente ad oggetto i macchinari industriali presenti nella sede della fallita RAGIONE_SOCIALE in ordine ai delit bancarotta societaria fraudolenta documentale e patrimoniale.
Avverso tale ordinanza, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione agli artt. 322 e 568 cod. proc. pen.
La difesa del ricorrente premetteva che il Tribunale del riesame aveva confermato l’ordinanza del G.i.p., affermando che non sussisteva l’interesse di COGNOME, in quanto quest’ultimo non era legale rappresentante né della società fallita RAGIONE_SOCIALE né dela società terza RAGIONE_SOCIALE presso la quale erano stati sequestrati i macchinari.
Riteneva il ricorrente che l’orientamento prevalente in giurisprudenza sovrapponga la nozioni di interesse ad impugnare con la conseguenza favorevole all’impugnazione della restituzione, compromettendo la possibilità di contestare il provvedimento per l’imputato che non abbia una relazione fattuale e giuridica con i beni sottoposti a misura cautelare reale.
Aggiungeva la difesa del ricorrente che il prevalente indirizzo ermeneutico restringe fortemente il dettato dell’art. 322 cod. proc. pen., che invece include nel novero legittimati ad impugnare anche gli indagati e gli imputati. Al contrario, evidenzia il ricorrente, l’interesse ad impugnare, essendo così ampia la platea dei soggetti legittimati, prescinde dalla mera restituzione dei beni e potrebbe riguardare l’intera fondatezza dell’impianto accusatorio.
Calando queste argomentazioni nel caso concreto, il ricorrente afferma di avere uno specifico interesse ad impugnare, quale indagato, cosicché il Tribunale del riesame avrebbe dovuto confrontarsi con le la documentazione allegata, dalla quale risultava che in epoca remota COGNOME era stato rappresentante legale della fallita, ed ora era invece dipendente della RAGIONE_SOCIALE rappresentandosi la liceità della cessione dei beni dall’una all’altra società.
L’accoglimento del ricorso avrebbe consentito, in sostanza, non solo di ottenere il dissequestro, ma anche avrebbe contribuito a definire i contorni della vicenda criminosa, consentendo al ricorrente di provare la legittima provenienza dei beni e facendo, di conseguenza, venire meno la contestazione del reato di bancarotta distrattiva.
Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione agli artt. 247 e 250 cod. proc. pen.
Il ricorrente premetteva di aver contestato la legittimità della perquisizione, ma il Tribunale del riesame di Benevento non si sarebbe confrontato con tale doglianza.
Rilevava il ricorrente che nel decreto di perquisizione il reato indicato risultava essere quello di bancarotta fraudolenta documentale specifica (ex art. 216, comma 1 , n.2., I: fall.), cosicché la perquisizione doveva avere ad oggetto la ricerca delle
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stesse. Afferma il ricorrente, però, che la sottrazione e la distruzione delle scritture oggetto dell’imputazione postuli, sul piano logico, la loro assenza, rendendo superflua e vana la ricerca a mezzo perquisizione.
Se, quindi, oggetto della ricerca a mezzo perquisizione era la diversa documentazione comprovante rapporti commerciali tra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente sottolinea come la perquisizione abbia avuto finalità intrusiva per ricavare elementi in ordine non alla prova di un reato già realizzato, bensì per condotte di reato ulteriori non ancora ipotizzate.
Il Pubblico ministero ha concluso come indicato in epigrafe, rappresentando come il . ricorso sia inammissibile in quanto l’indagato ora ricorrente non è proprietario dei beni, non ricopre cariche all’interno della società che ha subito il sequestro preventivo, né nella fallita, quindi non ha titolo per impugnare e chiedere la restituzione dei beni.
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto la perquisizione era funzionale alla ricerca della documentazione della fallita, quindi pienamente legittima.
Il difensore del ricorrente ha depositato note conclusive insistendo nelle ragioni del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, per le ragioni che seguono.
Va innanzi tutto ricordato che in materia di misure cautelari reali il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge e che, pertanto, è consentito dedurre censure attinenti la motivazione del provvedimento impugnato solo nei limiti in cui oggetto di doglianza sia l’assoluta mancanza di un apparato giustificativo della decisione o, quanto meno il difetto dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza del medesimo, tanto da evidenziarne l’inidoneità a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. un. n. 25932 del 29 maggio 2008, Ivanov, rv 239692; Sez. Un., n. 5876 del 28 gennaio 2004, COGNOME, rv. 226710).
L’ordinanza del Tribunale di Benevento, qui impugnata, fa buon governo dei principi in materia, il che rende manifestamente infondati i motivi di ricorso, che vanno trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
Va chiarito che il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal Pubblico ministero sannita ineriva al delitto di bancarotta fraudolenta documentale di tipo specifico – per sottrazione o distruzione dei libri contabili – e aveva ad oggetto la ricerca e il sequestro delle scritture contabili della società fallita RAGIONE_SOCIALE nonch della documentazione commerciale relativa ai rapporti fra la menzionata società e la RAGIONE_SOCIALE e alle operazioni di acquisto di beni già appartenenti alla fallita da parte della RAGIONE_SOCIALE I luoghi della perquisizione, infatti, erano quelli ove aveva sede quest’ultima società, ma in precedenza erano stati occupati dalla fallita RAGIONE_SOCIALE
Indagato risultava NOME COGNOME quale amministratore unico della fallita dal 26 novembre 2019.
La polizia giudiziaria, recatasi nella indicata sede, riscontrava, per quel che qui rileva, la presenza di NOME COGNOME, attuale amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, il quale però delegava il proprio figlio NOME, attuale ricorrente, ad assistere alle operazioni di perquisizione.
La documentazione relativa ai rapporti fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE veniva sequestrata; inoltre, la polizia giudiziaria – per quanto emerge dal verbale di perquisizione e sequestro – rinveniva anche alcuni macchinari, in relazione ai quali l’attuale ricorrente – in quanto delegato – non era in grado di dimostrare la provenienza dei beni. Veniva, pertanto, disposto il sequestro d’urgenza degli stessi – in quanto non indicati come oggetto di ricerca nel decreto di perquisizione e sequestro genetico – risultando, altresì, che effettivamente la RAGIONE_SOCIALE fosse subentrata nei locali della RAGIONE_SOCIALE. Difatti, RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato l’immobile nell’ambito di una precedente procedura di esecuzione immobiliare presso il Tribunale di Benevento in danno di RAGIONE_SOCIALE
In tale sede, per altro, D.RAGIONE_SOCIALE aveva esonerato il custode dal mettere in esecuzione lo sgombero dei macchinari e dei beni già presenti, sia anche non richiedendo imponendo il mutamento di sede della I.M.S., che occupava lo stesso immobile. Inoltre, risultava una richiesta di D.RAGIONE_SOCIALE di locazione dei macchinari, il cui esito non emergeva in atti.
Alla luce di tali emergenze, il G.i.p. del Tribunale di Benevento, su istanza del Pubblico ministero, convalidava il sequestro dei macchinari e della relativa documentazione, rilevando la sussistenza del fumus del reato per NOME COGNOME in ordine ai delitti di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale per distrazione, riconoscendogli il ruolo di amministratore di fatto della fallita (fol 2 del provvedimento genetico) dal 2019 in avanti e, in precedenza, quello di amministratore di diritto.
Indicava, poi, i macchinari quale profitto del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, essendo i beni rinvenuti presso la D.P. Group i medesimi già utilizzati dalla I.M.S., ritenendo giustificato il sequestro, sia quanto alle ragioni
urgenza, che alla necessità di evitare l’aggravarsi delle conseguenze del reato, impedendo così la protrazione della condotta di reato.
Tanto ricostruito, il Tribunale del riesame ha ritenuto consentito il sequestro preventivo impeditivo e funzionale alla confisca nel caso in esame, rilevando come il curatore fallimentare non avesse mai provveduto all’inventario dei beni sequestrati.
Quanto alla legittimazione del ricorrente, il Tribunale la escludeva perché NOME COGNOME non vantava alcun diritto alla restituzione dei beni, non essendo legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, risultando tale interesse in capo al curatore fallimentare, né risultando il ricorrente legale rappresentate della RAGIONE_SOCIALE società presso la quale i beni erano stati sequestrati.
5. Il ricorso è inammissibile in quanto in primo luogo il Tribunale di Benevento correttamente richiama il principio per cui, rispetto alla fallita, l’interesse al restituzione è esclusivamente del curatore fallimentare. Infatti, solo quest’ultimo è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale (Sez. U, n. 45936 del 26/09/2019, Fall. Di Mantova, Rv. 277257 – 01), il che è stato affermato anche in relazione alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, rilevando come sia inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto dall’imputato avverso il provvedimento di confisca di uno o più beni della fallita, non potendo egli vantare alcun diritto alla restituzione (Sez. 5, n. 27050 del 30/04/2021, Cantile, Rv. 281627 – 01).
Tale ultima sentenza, in motivazione, ha precisato che legittimato ad impugnare la misura ablatoria è il curatore fallimentare, in quanto portatore dell’interesse dei creditori alla rimozione di statuizioni incidenti sulla consistenza patrimoniale dell’attivo.
Nello stesso senso, si è affermato che in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per dstrazione, qualora a seguito di azione revocatoria fallimentare sia stata dichiarata l’inefficacia di un atto dispositivo del fallito nei confronti di terzo, la legittimazione a impugnare i provvedimenti relativi al sequestro preventivo innpeditivo del bene distratto spetta solo al curatore, e non anche al terzo proprietario, poiché, in caso di accoglimento dell’impugnazione, il destinatario esclusivo del bene è il solo curatore (Sez. 5, n. 1826 del 17/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285754 – 01).
D’altro canto, va qui richiamato l’orientamento maggioritario che indica, in caso di censure a un provvedimento di natura reale, che l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo è legittimato a presentare richiesta di
riesame del titolo cautelare, e quindi anche appello reale, solo in quanto vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro, vale a dire al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale (Sez. 3, n. 16352 del 11/01/2021, COGNOME, Rv. 281098 – 01; Sez. 1, n. 6779 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 274992 – 01; massime conformi: n. 50315 del 2015 Rv. 265463 – 01, n. 52060 del 2019 Rv. 277753 – 04, n. 47313 del 2017 Rv. 271231 – 01, n. 30008 del 2016 Rv. 267336 – 01, n. 35072 del 2016 Rv. 267672 – 01, n. 35015 del 2020 Rv. 280005 – 01, n. 17852 del 2015 Rv. 263756 – 01, n. 7292 del 2014 Rv. 259412- 01, n. 20118 del 2015 Rv. 263799 – 01, n. 6779 del 2019 Rv. 274992 – 01, n.3602 del 2019 Rv. 276545 – 01, n. 9947 del 2016 Rv. 266713 01).
In sostanza il ricorrente, amministratore di diritto e poi di fatto della fallita, seguito della sentenza dichiarativa di fallimento non risultava più titolare di un attuale interesse alla restituzione.
In relazione alla RAGIONE_SOCIALE, non emerge dal provvedimento impugnato e da quello genetico, né dalla stessa prospettazione del ricorrente, l’esistenza di un ruolo di quest’ultimo nella società che aveva la materiale disponibilità dei macchinari.
A riguardo è stato autorevolmente affermato che la valutazione dell’interesse ad impugnare, sussistente allorché il gravame sia in concreto idoneo a determinare, con l’eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più favorevole per l’impugnante, ‘va operata con riferimento alla prospettazione rappresentata nel mezzo di impugnazione e non alla effettiva fondatezza della pretesa azionata (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275953 – 02; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, COGNOME, Rv. 203093).
Cosicché il ricorrente, per un verso non vanta alcun interesse, determinato dalla posizione formale, alla restituzione dei beni in sequestro, ma neanche chiarisce in modo specifico quale sia l’attuale e concreto interesse ad ottenere una pronuncia di annullamento, se non affermando che in modo indiretto verrebbe a essere resa sindacabile la propria qualità di indagato, che però è relativa alla qualità di amministratore di fatto e di diritto della fallita cedente, il che riconduc alla carenza di interesse già illustrata.
D’altro canto’ nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare non può essere basata sul concetto di soccombenza – a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da
una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 17/02/2012, COGNOME, Rv. 251693 – 01).
E tale utilità deve avere il carattere della immediatezza pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente, che deve essere oggetto di una specifica indicazione di utilità concreta perseguita con il mezzo di gravame (cfr. Sez. U, n. 4419 del 25/01/2005, Gioia, Rv. 229982, fra le altre).
E dunque, se è vero che l’art. 322 cod. proc. pen. indica, come evidenzia la difesa (seppur riferendosi all’art. 322-bis), il pubblico ministero, l’imputato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto a ottenere la restituzione, quali soggetti legittimati – categorie, queste ultime due, nelle quali non rientra NOME COGNOME per le ragioni fin qui esposte – al ricorrente spettava dimostrare un proprio interesse concreto e attuale alla proposizione dell’impugnazione, nei termini fin qui evidenziati. Ma nel caso in esame il ricorrente, né con il ricorso né con la memoria difensiva, prospetta alcun effettivo, attuale e concreto interesse ad impugnare il provvedimento di sequestro e poi quello del Tribunale del riesame, interesse che non può desumersi dalla mera qualità di indagato per il reato in riferimento al quale è stato disposto il sequestro (cfr. Sez. 5 Cantile, in motivazione; Sez. 6, n. 11496 del 21/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 262612 – 01).
In sostanza l’art. 322 cod. proc. pen. non attribuisce un risolutivo ‘status’ di legittimazione per la sola qualità formale, ma richiede comunque la sussistenza dell’interesse concreto e attuale ex art. 568 cod. proc. pen. La facoltà di attivare i procedimenti di gravame non è assoluta e indiscriminata, infatti, ma è subordinata alla ‘presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulti idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e l’eliminazione o la riforma della decisione gravata, il che solo rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso. E ciò consegue alla circostanza che la legge processuale non ammette l’esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto. (Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME Rv. 202269 – 01).
Deve, pertanto, affermarsi che in terra di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, è inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione proposta dall’indagato avverso il sequestro preventivo dei beni oggetto della distrazione, allorché non prospetti un interesse concreto ed attuale
alla proposizione del rimedio, che non può consistere nella mera qualità di indagato per il reato in riferimento al quale è stato disposto il sequestro, risultando quale legittimato a richiedere la restituzione il curatore fallimentare.
Anche la doglianza relativa alla contraddizione intrinseca del decreto di perquisizione – che sarebbe stata diretta alla ricerca della documentazione contabile sottratta o distrutta, per la stessa tesi dell’Accusa quindi non più reperibile – è manifestamente infondata e aspecifica.
È aspecifica perché il decreto di sequestro era diretto anche al rinvenimento di documentazione relativa ai rapporti fra la fallita e la D.P. Group, dunque risultava sostenuto da una diversa ratio decidendi non specificamente ‘attaccata’.
È infatti inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti, in quanto da una pronuncia favorevole su di esse non potrebbe derivare all’impugnante quella modificazione della sua situazione processuale in cui si sostanzia l’interesse che, per espresso dettato normativo, deve sottostare ad ogni impugnazione (Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 27119 del 05/03/2015, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 264267; Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, Bimonte, Rv. 272448)
È manifestamente infondata, in quanto il delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica è integrato anche qualora emerga che la sottrazione o la distruzione abbiano riguardato solo ‘parte’ dei libri e delle altre scritture contabili (cfr. art. 216, comma 1, n. 2, prima parte, I. fall.; così anche Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, COGNOME, Rv. 284677, in motivazione). In sostanza, il delitto per cui la perquisizione è stata eseguita è integrato anche solo se le condotte abbiano riguardato non tutte le scritture contabili: pertanto l’attività di ricerca della prov ha una sua ragione nell’eventuale rinvenimento dell’altra ‘parte’ ovvero per l’accertamento dell’inesistenza di ‘tutte’ le scritture contabili, oltre ad essere, evidentemente, funzionale anche al compito del pubblico ministero di procedere agli accertamenti ex art. 358 cod. proc. pen., tesi al rinvenimento di elementi di favore per l’indagato, qualora ‘tutte’ le scritture fossero state rinvenute, come rilevato dal Tribunale del riesame.
Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente va condannato al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 03/12/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente